« Introduzione alla sottodisciplina delle relazioni internazionali » : différence entre les versions
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Il cambiamento climatico è un esempio perfetto dell'influenza dei processi costruttivi sulle norme internazionali. Per molto tempo, la questione del riscaldamento globale è stata controversa e le prove dell'impatto dell'attività umana sul clima sono state messe in discussione. Tuttavia, grazie all'impegno costante di scienziati, organizzazioni non governative, cittadini e altri attori non statali, la comprensione e l'accettazione della realtà del cambiamento climatico si sono gradualmente evolute. Questo processo ha comportato strategie di persuasione, campagne di sensibilizzazione, sforzi educativi e una serie di complesse interazioni all'interno di varie istituzioni e piattaforme internazionali. Questi attori hanno utilizzato le piattaforme internazionali, come le conferenze sul clima delle Nazioni Unite, per diffondere informazioni, condividere ricerche e dati e promuovere un discorso sulla necessità di agire per mitigare i cambiamenti climatici. Hanno anche sfruttato queste opportunità per costruire reti e alleanze, influenzare le politiche e fare pressione per l'azione a favore del clima. Nel corso del tempo, questo processo ha contribuito a creare una "comunità di Stati" che condividono una comprensione e una preoccupazione comune per il cambiamento climatico. Questo è un buon esempio di come i processi costruttivisti possano svolgere un ruolo nella formazione delle norme internazionali e nell'influenzare il comportamento degli Stati. Detto questo, è importante notare che il processo non è finito. Nonostante i progressi compiuti, ci sono ancora differenze tra gli Stati sul modo in cui rispondono alla sfida del cambiamento climatico. Inoltre, sebbene la maggiore consapevolezza del problema abbia portato a impegni più forti per la riduzione delle emissioni, resta da vedere in che misura questi impegni saranno rispettati. | Il cambiamento climatico è un esempio perfetto dell'influenza dei processi costruttivi sulle norme internazionali. Per molto tempo, la questione del riscaldamento globale è stata controversa e le prove dell'impatto dell'attività umana sul clima sono state messe in discussione. Tuttavia, grazie all'impegno costante di scienziati, organizzazioni non governative, cittadini e altri attori non statali, la comprensione e l'accettazione della realtà del cambiamento climatico si sono gradualmente evolute. Questo processo ha comportato strategie di persuasione, campagne di sensibilizzazione, sforzi educativi e una serie di complesse interazioni all'interno di varie istituzioni e piattaforme internazionali. Questi attori hanno utilizzato le piattaforme internazionali, come le conferenze sul clima delle Nazioni Unite, per diffondere informazioni, condividere ricerche e dati e promuovere un discorso sulla necessità di agire per mitigare i cambiamenti climatici. Hanno anche sfruttato queste opportunità per costruire reti e alleanze, influenzare le politiche e fare pressione per l'azione a favore del clima. Nel corso del tempo, questo processo ha contribuito a creare una "comunità di Stati" che condividono una comprensione e una preoccupazione comune per il cambiamento climatico. Questo è un buon esempio di come i processi costruttivisti possano svolgere un ruolo nella formazione delle norme internazionali e nell'influenzare il comportamento degli Stati. Detto questo, è importante notare che il processo non è finito. Nonostante i progressi compiuti, ci sono ancora differenze tra gli Stati sul modo in cui rispondono alla sfida del cambiamento climatico. Inoltre, sebbene la maggiore consapevolezza del problema abbia portato a impegni più forti per la riduzione delle emissioni, resta da vedere in che misura questi impegni saranno rispettati. | ||
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Il mondo sta assistendo a un importante cambiamento nelle dinamiche del potere internazionale con l'emergere di Stati non occidentali sulla scena mondiale. Paesi come la Cina e l'India, con le loro economie in rapida crescita, stanno acquisendo una crescente influenza e stanno ridisegnando i rapporti di forza all'interno delle strutture internazionali esistenti. Si tratta di un fenomeno senza precedenti per una serie di ragioni. Storicamente, il potere nel sistema internazionale è stato dominato dagli Stati occidentali, con istituzioni e norme in gran parte progettate e controllate da loro. L'emergere di potenze non occidentali in questo sistema potrebbe portare a una rivalutazione e a una riforma di queste strutture. | |||
L' | L'ascesa di queste potenze pone anche sfide uniche. Ad esempio, la Cina, in quanto potenza in ascesa, ha un sistema politico che differisce significativamente da quello degli Stati occidentali dominanti. Questo può portare a tensioni e conflitti su questioni di governance globale, diritti umani e commercio. Inoltre, il processo di emergere di queste nuove potenze non è uniforme. Alcuni Paesi, come la Cina, hanno compiuto enormi progressi economici e sono diventati attori di primo piano nell'economia globale, mentre altri, come l'India, nonostante le loro dimensioni e il loro potenziale economico, stanno ancora lottando con sfide interne come la povertà e la disuguaglianza. È chiaro che l'emergere di queste nuove potenze sta trasformando il sistema internazionale. Ciò può offrire opportunità per una maggiore diversità e una rappresentanza più equilibrata nella governance globale. Tuttavia, solleva anche nuove sfide per la cooperazione internazionale e la gestione delle controversie globali.[[Fichier:MKGI gravity center of world economy to 2015.png|vignette|centré]] | ||
I dati di Maddison offrono una ricca prospettiva storica sull'evoluzione dell'economia globale negli ultimi due millenni. Quantificando e confrontando il prodotto interno lordo (PIL) di diverse regioni del mondo nel corso della storia, è possibile osservare i cambiamenti nelle tendenze economiche globali e capire come l'equilibrio del potere economico si sia spostato nel tempo. Prendendo come punto di partenza l'epoca romana, ad esempio, possiamo osservare l'ascesa e il declino di diverse potenze economiche. I dati potrebbero mostrare come, in alcuni periodi, l'Impero romano abbia dominato l'economia mondiale, e poi come il centro dell'economia mondiale si sia gradualmente spostato a ovest, verso l'Europa e il Nord America, con la Rivoluzione industriale. Allo stesso modo, i dati di Maddison potrebbero mostrare come, negli ultimi decenni, il centro dell'economia mondiale abbia iniziato a spostarsi verso est, con il rapido emergere delle economie asiatiche. Questa tendenza si riflette chiaramente nell'attuale performance economica di Paesi come la Cina e l'India. Questi dati, se visualizzati in forma grafica, possono aiutare a mettere in prospettiva le fluttuazioni storiche del potere economico globale e ad anticipare le possibili traiettorie future. Si tratta di uno strumento prezioso per comprendere le dinamiche dell'economia globale, sia dal punto di vista storico che prospettico. | |||
L' | L'analisi dei dati storici di Maddison mostra che il centro dell'economia mondiale si trovava vicino al confine tra India e Cina 2.000 anni fa. Sebbene queste due civiltà fossero già all'epoca grandi potenze economiche, la loro influenza non era assoluta, in quanto anche l'Impero romano era una forza economica importante. L'Impero romano, con il suo vasto territorio che abbracciava l'Europa, il Nord Africa e il Medio Oriente, esercitava un notevole potere economico. Le sue attività economiche, compreso il commercio con altre regioni, hanno quindi contribuito a spostare il centro dell'economia mondiale verso ovest. Questa analisi dimostra la dinamica del potere economico globale nel corso della storia. Le principali forze economiche non sono statiche, ma si evolvono in base allo sviluppo delle civiltà, all'innovazione tecnologica, alle risorse disponibili, alle politiche economiche, al commercio internazionale e a molti altri fattori. Le tendenze del passato non sono garanzia di posizioni future, il che rende l'analisi dell'economia globale complessa e affascinante. | ||
L' | L'epoca della Rivoluzione industriale, che va dal 1820 al 1913 circa, ha portato un significativo sconvolgimento nella struttura economica mondiale. Durante questo periodo, le nazioni occidentali realizzarono progressi tecnologici senza precedenti che modificarono radicalmente i loro modi di produzione e, di conseguenza, la loro posizione nell'economia globale. La rivoluzione industriale segnò il passaggio da un'economia basata principalmente sull'agricoltura e sull'artigianato a un'economia caratterizzata da una produzione industriale di massa meccanizzata. L'Occidente, in particolare paesi come la Gran Bretagna, la Germania e gli Stati Uniti, sono stati all'avanguardia in questi cambiamenti, sviluppando, tra l'altro, industrie tessili, siderurgiche, carbonifere e ferroviarie. La modernizzazione che accompagnò questa rivoluzione diede a queste nazioni occidentali un vantaggio significativo in termini di produzione industriale, potere economico e ricchezza globale. Ciò ha comportato un significativo spostamento del centro dell'economia mondiale verso l'Occidente. | ||
Dopo la Seconda guerra mondiale, la posizione degli Stati Uniti come prima potenza economica mondiale iniziò a consolidarsi. Ciò è stato attribuito principalmente alla sua economia relativamente intatta dopo il conflitto, al suo dominio in molti settori chiave e alla sua capacità di innovare e adattarsi rapidamente alle nuove tecnologie. In Europa, il dopoguerra è stato caratterizzato da un periodo di intensa ricostruzione e dall'istituzione della Comunità economica europea, precursore dell'Unione europea. Queste iniziative hanno contribuito a fare dell'Europa un grande polo economico, spostando il centro del potere economico verso ovest. Tuttavia, con l'introduzione delle riforme economiche in Cina alla fine degli anni '70, il centro del potere economico ha iniziato a spostarsi nuovamente verso est. Queste riforme, che hanno portato a una maggiore apertura economica e a una graduale liberalizzazione del mercato, hanno trasformato la Cina in una grande potenza economica, con una rapida crescita e una crescente influenza sull'economia mondiale. Di conseguenza, il centro dell'economia mondiale, un tempo saldamente ancorato in Occidente, ha iniziato a spostarsi verso est, riflettendo l'emergere di nuove potenze economiche in Asia. Ciò sottolinea la natura dinamica e in continua evoluzione dell'economia globale.[[Fichier:the economist contribution to world gdp.png|vignette|centré]] | |||
La | La crescita economica della Cina negli ultimi decenni è stata spettacolare. È uno dei Paesi che cresce più rapidamente al mondo, trasformando un'economia socialista chiusa in un'economia di mercato aperta e dinamica. La crescita degli Stati Uniti, invece, è stata più stabile e riflette la maturità della sua economia. Anche altri mercati emergenti, come India, Brasile e Russia, hanno registrato tassi di crescita relativamente elevati, anche se spesso più volatili. Per quanto riguarda altri Paesi ricchi come l'Europa, l'Australia e il Giappone, la loro crescita economica è stata generalmente più modesta, a causa della maturità delle loro economie e di sfide come l'invecchiamento della popolazione. Tuttavia, questi Paesi rimangono attori importanti nell'economia globale grazie alle loro grandi dimensioni economiche e alla loro influenza politica e culturale. | ||
La | La Cina ha registrato una crescita economica impressionante a partire dai primi anni 2000, grazie anche alla sua politica di riforme economiche e alla sua crescente integrazione nell'economia globale. Il suo contributo alla crescita globale è stato particolarmente notevole dopo la crisi finanziaria mondiale del 2008, quando la maggior parte delle economie sviluppate è stata colpita duramente, mentre la crescita in Cina è rimasta relativamente robusta. Tuttavia, è importante notare che il potere economico non si traduce direttamente in potere politico o militare sulla scena mondiale. Se da un lato la Cina ha certamente accresciuto la propria influenza, in particolare attraverso iniziative come la Belt and Road Initiative, dall'altro deve affrontare una serie di sfide, come l'invecchiamento della popolazione, le disuguaglianze regionali e le tensioni con altri Paesi. Inoltre, sebbene la Cina abbia superato gli Stati Uniti in termini di PIL a parità di potere d'acquisto, gli Stati Uniti rimangono la più grande economia in termini di PIL nominale e sono ancora in testa in settori quali l'innovazione tecnologica e l'influenza militare. Ciò sottolinea la complessità del concetto di "potere" sulla scena mondiale, che non può essere completamente misurato o confrontato semplicemente in termini di dimensioni economiche.[[Fichier:introSP 2015 indicator of market power.png|vignette|centré]] | ||
La Cina, una delle maggiori economie mondiali, ha un impatto considerevole sul commercio globale. La sua posizione di grande importatore significa che le fluttuazioni della sua domanda interna possono avere conseguenze a livello globale, in particolare per i Paesi le cui economie dipendono in larga misura dalle esportazioni verso la Cina. Inoltre, la Cina è anche un importante esportatore, il che significa che le sue decisioni in materia di produzione e politica commerciale possono influenzare i mercati globali di una serie di prodotti e servizi. La posizione della Cina come grande potenza economica le conferisce anche un significativo potere negoziale nelle discussioni sulla politica commerciale internazionale. Ad esempio, può influenzare le regole, gli standard e i regolamenti del commercio mondiale attraverso forum come l'Organizzazione Mondiale del Commercio. Inoltre, in quanto attore economico di primo piano, la Cina ha anche l'opportunità di promuovere i propri interessi economici e politici su scala globale. Tuttavia, il potere economico non si traduce direttamente in influenza politica o militare. Nonostante le sue dimensioni economiche, la Cina deve ancora navigare in un complesso panorama internazionale e affrontare notevoli sfide interne. | |||
Nella teoria realista delle relazioni internazionali, l'aumento del potere economico di uno Stato è spesso visto come un preludio a un aumento del suo potere militare. I realisti partono dal presupposto che in un sistema internazionale anarchico gli Stati sono sempre alla ricerca di potere e sicurezza. Per questo motivo, una crescita economica sostanziale offre i mezzi per investire maggiormente nelle capacità militari e quindi per rafforzare il potere e la sicurezza dello Stato. Per quanto riguarda l'India, la sua rapida crescita economica potrebbe, secondo una logica realistica, portare a un aumento del suo potere militare nel lungo periodo. Tuttavia, questo processo non sarà necessariamente lineare o privo di ostacoli. Ad esempio, l'India deve affrontare sfide significative in termini di sviluppo e disuguaglianza sociale, che potrebbero potenzialmente rallentare la sua crescita economica e, di conseguenza, la sua espansione militare. Tuttavia, la potenza economica non si traduce automaticamente in potenza militare. Anche altri fattori, come le decisioni strategiche, le capacità tecnologiche, la volontà politica e la percezione della minaccia, giocano un ruolo nel determinare la potenza militare di uno Stato. Inoltre, nel contesto odierno, in cui la guerra economica, l'influenza culturale e il soft power sono diventati elementi chiave del gioco internazionale, il potere militare è solo un aspetto del potere complessivo di uno Stato.[[Fichier:2015 the world largest defense budget.png|vignette|centré]] | |||
La spesa militare della Cina è aumentata in modo significativo negli ultimi anni, riflettendo la sua crescita economica e la sua ambizione di aumentare il suo potere e la sua influenza internazionale. Questo è un aspetto del cosiddetto "realismo offensivo" nelle relazioni internazionali: l'idea che uno Stato che sta guadagnando potere economico cercherà di usarlo per aumentare il proprio potere militare e rafforzare così la propria posizione e sicurezza sulla scena internazionale. È importante notare che l'aumento delle spese militari non implica automaticamente un corrispondente aumento della potenza militare. Entrano in gioco anche le modalità di spesa, la tecnologia disponibile, l'addestramento e l'esperienza delle forze armate e molti altri fattori. | |||
Vale la pena ricordare che il confronto tra le spese militari dei vari Paesi può essere fuorviante a causa delle differenze nel costo del lavoro e di altri fattori. Ad esempio, la stessa somma di denaro potrebbe impiegare più soldati o costruire più attrezzature in Cina che negli Stati Uniti, a causa delle differenze nel costo del lavoro. Tuttavia, la tendenza all'aumento delle spese militari in Cina è un chiaro indicatore delle sue crescenti ambizioni in materia di difesa e sicurezza, sempre più riconosciute dagli altri attori internazionali. | |||
Il realismo, come teoria delle relazioni internazionali, postula che gli Stati siano motivati dal perseguimento dei propri interessi nazionali e che il potere militare ed economico sia la chiave della sicurezza e dell'influenza di uno Stato. Attraverso il prisma realista, il rapido aumento del potere economico e militare della Cina potrebbe essere visto come una potenziale minaccia per gli altri Stati, in particolare per quelli che attualmente detengono il maggior potere nel sistema internazionale, come gli Stati Uniti. Secondo la teoria neorealista, il sistema internazionale è intrinsecamente anarchico, cioè non ha un'autorità superiore che regoli il comportamento degli Stati. In un sistema di questo tipo, gli Stati sarebbero naturalmente sospettosi nei confronti di altri Stati che stanno rapidamente acquisendo potere, perché potrebbero usarlo per minacciare i loro interessi. Gli Stati potenti potrebbero quindi cercare di contrastare l'ascesa della Cina con vari mezzi, come il rafforzamento delle proprie capacità militari, la formazione di alleanze con altri Stati o l'attuazione di politiche volte a limitare l'influenza economica e politica della Cina. | |||
= Les Trois Perspectives Théoriques Face aux Défis Actuels = | = Les Trois Perspectives Théoriques Face aux Défis Actuels = | ||
Version du 4 juillet 2023 à 14:31
La pensée sociale d'Émile Durkheim et Pierre Bourdieu ● Aux origines de la chute de la République de Weimar ● La pensée sociale de Max Weber et Vilfredo Pareto ● La notion de « concept » en sciences-sociales ● Histoire de la discipline de la science politique : théories et conceptions ● Marxisme et Structuralisme ● Fonctionnalisme et Systémisme ● Interactionnisme et Constructivisme ● Les théories de l’anthropologie politique ● Le débat des trois I : intérêts, institutions et idées ● La théorie du choix rationnel et l'analyse des intérêts en science politique ● Approche analytique des institutions en science politique ● L'étude des idées et idéologies dans la science politique ● Les théories de la guerre en science politique ● La Guerre : conceptions et évolutions ● La raison d’État ● État, souveraineté, mondialisation, gouvernance multiniveaux ● Les théories de la violence en science politique ● Welfare State et biopouvoir ● Analyse des régimes démocratiques et des processus de démocratisation ● Systèmes Électoraux : Mécanismes, Enjeux et Conséquences ● Le système de gouvernement des démocraties ● Morphologie des contestations ● L’action dans la théorie politique ● Introduction à la politique suisse ● Introduction au comportement politique ● Analyse des Politiques Publiques : définition et cycle d'une politique publique ● Analyse des Politiques Publiques : mise à l'agenda et formulation ● Analyse des Politiques Publiques : mise en œuvre et évaluation ● Introduction à la sous-discipline des relations internationales
Esploreremo le basi della sottodisciplina delle relazioni internazionali, concentrandoci sui concetti cruciali. Discuteremo gli elementi fondamentali che compongono il sistema internazionale degli Stati ed esamineremo come il processo di internazionalizzazione e le dinamiche della globalizzazione stiano cambiando questo sistema. Si analizzerà anche l'architettura interstatale, evidenziandone il ruolo e il funzionamento nel contesto attuale. Inoltre, passeremo in rassegna le tre principali teorie o paradigmi delle relazioni internazionali, che ci forniscono strumenti interpretativi per analizzare i fenomeni che osserviamo su scala globale.
La COP21 è un movimento globale a sostegno di un accordo internazionale, un fenomeno particolarmente rilevante perché tradizionalmente il ruolo dei cittadini e della società civile nella politica internazionale è stato relativamente poco discusso. Spesso sono stati messi ai margini di una politica percepita come elitaria. Tuttavia, le questioni climatiche e ambientali sono aree in cui si assiste a una crescente pressione da parte della base della cittadinanza e della cittadinanza globale per politiche più efficaci. Alla COP21 di Parigi non erano presenti solo Stati e leader mondiali, ma anche molti rappresentanti della società civile e delle organizzazioni non governative. È stato negoziato un quadro globale, incentrato sull'idea di un bene pubblico globale che richiede una cooperazione transfrontaliera. Come ha sottolineato Ban Ki Moon, le questioni ambientali trascendono i confini nazionali e non hanno passaporto, da qui la necessità di questa mobilitazione.
È fondamentale notare che questa mobilitazione non coinvolge solo i governi, ma anche la società civile e il settore imprenditoriale, comprese le aziende che sono direttamente interessate alle questioni relative all'uso di energia basata sul carbonio. Sorprendentemente, anche i sindaci delle città hanno svolto un ruolo attivo e hanno cercato di sostenere questo processo. Stiamo quindi assistendo alla creazione di una struttura a più livelli, che comprende una varietà di attori. Si stanno sviluppando su scala globale misure di cooperazione che vanno oltre i semplici accordi internazionali, con la partecipazione attiva di ONG e burocrazie statali. È chiaro quindi che la cooperazione nel mondo di oggi non dipende più solo dai trattati internazionali.
Faremo una panoramica su questo argomento, concentrandoci principalmente sulla governance globale. Esamineremo come è stato costruito il sistema internazionale, fino a che punto si è evoluto e come possiamo interpretare questo cambiamento da un punto di vista teorico.
Il sistema statale e le relazioni internazionali
I principi dei trattati di Westfalia del 1648
La questione della nascita degli Stati nazionali è complessa e spesso dibattuta tra storici e politologi. Per gran parte della storia dell'umanità, l'organizzazione politica dominante è stata quella degli imperi o dei regni, piuttosto che degli Stati nazionali come li conosciamo oggi. La struttura politica che oggi chiamiamo "Stato" ha origine nell'Europa moderna, in particolare con il sistema di Westfalia, emerso dai Trattati di Westfalia del 1648. Questi trattati posero fine alla Guerra dei Trent'anni, un conflitto devastante che coinvolse un gran numero di potenze europee e fu in gran parte incentrato su questioni religiose. I Trattati di Westfalia introdussero diversi principi che divennero fondamentali per il concetto di Stato. In primo luogo, affermarono il principio di sovranità, secondo il quale ogni Stato ha il diritto esclusivo di esercitare il potere politico sul proprio territorio e sulla propria popolazione. In secondo luogo, stabilirono il principio dell'uguaglianza giuridica tra gli Stati, indipendentemente dalle loro dimensioni o dalla loro potenza.
Tuttavia, il sistema di Westfalia non portò immediatamente alla nascita dei moderni Stati nazionali. Per diversi secoli dopo Westfalia, molti territori in Europa e altrove erano ancora governati da imperi o regni che non corrispondevano alla struttura politica dello Stato nazionale. Solo nel XIX secolo il concetto di Stato nazionale ha iniziato ad assumere un'importanza predominante, con l'emergere del nazionalismo come forza politica principale. Oggi, lo Stato nazionale rimane la forma dominante di organizzazione politica in tutto il mondo, anche se la globalizzazione e altre forze transnazionali stanno mettendo sempre più in discussione la preminenza dello Stato nazionale.
Uno Stato si distingue per la sua territorialità, in quanto entità sociale inestricabilmente legata a un territorio definito. Questi territori sono intrinsecamente esclusivi: ogni Stato esercita un controllo legale completo sul proprio territorio, senza rivendicare la giurisdizione sul territorio di altri Stati. Inoltre, uno Stato ha una sovranità interna, il che significa che monopolizza l'uso della forza all'interno dei suoi confini.
Secondo questa definizione, uno Stato è caratterizzato dalla territorialità. È una struttura sociale associata a un territorio specifico. Questi territori sono mutuamente esclusivi, il che significa che uno Stato ha giurisdizione sul proprio territorio, ma non su quello di altri Stati. La sovranità è un'altra caratteristica fondamentale di uno Stato. Significa che uno Stato ha il controllo ultimo e incontrastato sul suo territorio e sulla sua popolazione. Ha il potere di fare leggi, di farle rispettare e di punire chi le infrange. In altre parole, lo Stato ha il monopolio dell'uso legittimo della forza fisica all'interno dei suoi confini. In genere è lo Stato che controlla le forze armate, la polizia e i tribunali e ha il potere di imporre tasse. Tuttavia, sebbene gli Stati abbiano la sovranità all'interno dei loro confini, sono anche vincolati dal principio di non interferenza negli affari interni degli altri Stati, un'altra norma fondamentale del sistema internazionale derivata dai Trattati di Westfalia. In pratica, naturalmente, la realtà può essere più complessa. Ad esempio, alcuni Stati possono non avere un controllo effettivo su tutto il loro territorio, oppure la loro sovranità può essere compromessa da interventi stranieri, conflitti interni o altri fattori. Tuttavia, il concetto di Stato come entità territoriale sovrana rimane un principio fondamentale della politica internazionale.
La definizione di Max Weber di Stato ruota attorno alla legittima monopolizzazione dei mezzi di forza, il che significa che essa è accettata dalla popolazione dello Stato in questione. Tuttavia, il potere statale non si limita al solo monopolio della forza. Comprende anche l'autorità legale esclusiva, che include l'emanazione e l'applicazione di leggi e l'imposizione di tasse - altre due caratteristiche distintive di uno Stato. Anche la moneta rientra in questa definizione. Storicamente, questi concetti erano già presenti nei trattati, dove troviamo i termini latini che indicano che il re era l'"imperator" del suo regno, cioè colui che deteneva il potere supremo.
Oltre alla sovranità interna, che si manifesta nella monopolizzazione della forza e dell'autorità legale, un altro aspetto fondamentale è la sovranità esterna. La sovranità esterna si riferisce alle relazioni tra gli Stati e comprende il principio fondamentale dell'autonomia statale, del riconoscimento reciproco e del rispetto della non ingerenza. Questa norma, cruciale all'interno del sistema internazionale, non solo assicura la sopravvivenza degli Stati, ma garantisce anche la loro autonomia nel condurre le politiche nazionali senza interventi esterni. Protegge quindi ogni Stato da qualsiasi interferenza straniera nei suoi affari interni.
La sovranità esterna, nota anche come sovranità internazionale, è un aspetto centrale del sistema internazionale degli Stati. Si riferisce all'indipendenza di uno Stato dal mondo esterno e alla sua libertà di condurre le proprie politiche senza interferenze straniere. Il concetto di sovranità esterna si basa su diversi principi importanti:
- Autonomia: ogni Stato ha il diritto di gestire i propri affari interni come meglio crede, senza interferenze da parte di altri Stati. Ciò include la capacità di prendere decisioni politiche, economiche e sociali indipendenti.
- Riconoscimento reciproco: gli Stati devono riconoscere l'esistenza e la legittimità degli altri Stati. Ciò implica il rispetto dei confini e della sovranità di ciascuno Stato e il non intervento negli affari interni di un altro Stato.
- Non interferenza: è il principio secondo cui nessuno Stato ha il diritto di intervenire, direttamente o indirettamente, negli affari interni di un altro Stato. È un principio fondamentale del diritto internazionale ed è sancito dalla Carta delle Nazioni Unite.
Questi principi di sovranità esterna aiutano a mantenere la stabilità e l'equilibrio nel sistema internazionale, impedendo interventi arbitrari e interferenze negli affari di altri Stati. Tuttavia, sono spesso messi alla prova da questioni come gli interventi umanitari, i conflitti internazionali e le pressioni di forze transnazionali come la globalizzazione e le organizzazioni internazionali.
Il principio di non ingerenza è fondamentale nella Carta delle Nazioni Unite e nella Società delle Nazioni e continua a svolgere un ruolo cruciale nella governance internazionale. Tuttavia, questo principio si sta trasformando con l'emergere di norme internazionali sempre più vincolanti. Queste norme, che possono derivare da trattati internazionali, convenzioni o altre forme di accordo, possono imporre limiti al modo in cui uno Stato può esercitare la propria sovranità interna ed esterna. Ad esempio, gli accordi internazionali sui diritti umani, sull'ambiente o sul commercio possono imporre agli Stati di adottare determinate misure o di astenersi da determinate azioni, anche se ciò potrebbe interferire con la loro autonomia interna o con la loro politica esterna. Inoltre, il concetto di "responsabilità di proteggere", che ha acquisito importanza negli ultimi anni, suggerisce che la comunità internazionale ha il dovere di intervenire in determinate situazioni, come il genocidio o i crimini contro l'umanità, anche se ciò comporta una violazione della sovranità statale. Questi sviluppi evidenziano le tensioni tra la sovranità degli Stati e gli imperativi internazionali e sollevano difficili questioni sull'equilibrio tra diritti degli Stati e responsabilità globali. Illustrano inoltre come le norme internazionali si stiano evolvendo in risposta alle mutevoli preoccupazioni e priorità globali.
Questi tre principi - autonomia degli Stati, riconoscimento reciproco e non interferenza - sono i pilastri fondamentali su cui è stato costruito l'ordine internazionale. Questi principi sono stati codificati per la prima volta nei Trattati di Westfalia del 1648, che hanno segnato la nascita del sistema di Stati sovrani che conosciamo oggi.
- Autonomia statale significa che ogni Stato ha il diritto di gestire i propri affari interni senza interferenze esterne, consentendogli di prendere le proprie decisioni politiche, economiche e sociali.
- Il riconoscimento reciproco tra gli Stati implica il rispetto dei confini di ciascuno e del suo diritto alla sovranità. Ciò significa che ogni Stato deve essere riconosciuto e trattato alla pari dagli altri Stati.
- La non ingerenza negli affari interni di un altro Stato è un principio centrale del diritto internazionale che protegge la sovranità e l'indipendenza di ogni Stato.
Insieme, questi principi hanno plasmato lo sviluppo del sistema internazionale di Stati sovrani e continuano a influenzare il modo in cui gli Stati interagiscono tra loro sulla scena internazionale. Tuttavia, come già detto, questi principi vengono costantemente messi in discussione e adattati in risposta a nuove realtà e sfide globali.
La "globalizzazione" del sistema statale
Come sono nati gli Stati? C'è stato il Trattato di Westfalia nel 1648, ma in Europa c'è voluto molto più tempo prima di avere davvero degli Stati e abolire gli imperi. Da una prospettiva globale, questo processo è stato molto più lungo.
La formazione degli Stati come entità politiche distinte è stato un processo lungo e complesso che si è svolto nell'arco di diversi secoli. In Europa, il Trattato di Westfalia del 1648 è spesso citato come un importante punto di partenza, in quanto ha codificato i principi di sovranità statale e di non interferenza. Tuttavia, la transizione dagli imperi e dai regni ai moderni Stati nazionali, come li conosciamo oggi, è stata molto più lunga. Nel contesto europeo, questo processo è stato facilitato da vari fattori, come l'emergere della borghesia, le rivoluzioni nazionali, l'ascesa del nazionalismo e l'indebolimento delle strutture feudali. È stato un processo graduale, segnato da guerre, rivoluzioni e negoziati diplomatici. Alla fine, il concetto di Stato sovrano divenne il principale modello di organizzazione politica in Europa intorno al XIX secolo. Su scala globale, la formazione degli Stati è stata un processo ancora più lungo e complesso. In molte parti del mondo, il concetto di Stato sovrano è stato introdotto dal colonialismo europeo. Dopo la decolonizzazione, a metà del XX secolo, sono emersi molti nuovi Stati, spesso con confini tracciati arbitrariamente dalle ex potenze coloniali. Questi nuovi Stati hanno dovuto affrontare una serie di sfide per stabilire la propria sovranità e legittimità, tra cui la diversità etnica e linguistica, il sottosviluppo economico e i conflitti interni ed esterni.
Il sistema delle Nazioni Unite è stato fondato nel 1945 da 51 Paesi decisi a preservare la pace attraverso la cooperazione internazionale e la sicurezza collettiva. La Carta delle Nazioni Unite, che è il documento fondante dell'ONU, è stata firmata il 26 giugno 1945 a San Francisco al termine della Conferenza delle Nazioni Unite sull'Organizzazione Internazionale ed è entrata in vigore il 24 ottobre 1945. I 51 Stati membri originari accettarono gli obblighi della Carta delle Nazioni Unite e si impegnarono a rispettarne i principi. In questo modo, hanno gettato le basi dell'organizzazione odierna, che mira a mantenere la pace e la sicurezza internazionale, a promuovere il rispetto dei diritti umani, a favorire lo sviluppo sociale ed economico, a proteggere l'ambiente e a fornire assistenza umanitaria in caso di carestie, disastri naturali e conflitti armati. Dalla sua creazione, l'ONU è cresciuta e si è evoluta per riflettere i cambiamenti politici e geografici del mondo. Nel 2023, l'ONU avrà 193 Stati membri, a testimonianza dell'aumento del numero di Stati sovrani dal 1945 e del ruolo centrale dell'ONU come forum per la cooperazione internazionale.
L'idea di Stato è in continua evoluzione e il numero di Stati nel mondo continua a cambiare. La creazione di uno Stato non è un processo fisso e definito, ma piuttosto è modellata da una combinazione di fattori storici, politici, sociali e culturali. Nel 1945, quando furono fondate le Nazioni Unite, gli Stati membri erano 51. Da allora, tuttavia, il numero di Stati membri dell'ONU è cresciuto notevolmente, fino ad arrivare ai 193 di oggi. Inoltre, esistono entità che hanno una forma di governo autonomo e si considerano Stati, ma non sono riconosciuti come tali dalla comunità internazionale. Queste entità, come il Kosovo, la Palestina e Taiwan, si trovano spesso in una situazione complessa di riconoscimento parziale o contestato. Questo ci ricorda che la sovranità e il riconoscimento internazionale sono processi politici complessi che dipendono non solo dalle strutture interne di un territorio, ma anche da come gli altri Stati e le organizzazioni internazionali percepiscono e interagiscono con questi territori. In breve, l'esistenza e il riconoscimento degli Stati sono in costante evoluzione e soggetti a continue negoziazioni. Ciò sottolinea la complessità e la fluidità del sistema internazionale e il fatto che la statualità è un processo dinamico e in continua evoluzione.
L'aumento del numero di Stati sovrani nel corso del tempo può essere in gran parte attribuito a due importanti processi storici: la decolonizzazione e la caduta di regimi autoritari e imperi. La decolonizzazione, avvenuta principalmente negli anni '60 e '70, ha portato alla creazione di molti nuovi Stati sovrani in Africa, Asia e Caraibi. Questi nuovi Stati sono nati dalla lotta per l'indipendenza dei popoli colonizzati contro le potenze coloniali europee. Poi, con il crollo dell'Unione Sovietica e della Jugoslavia negli anni '90, molti altri Stati sono apparsi sulla scena internazionale. Questi eventi hanno segnato la fine della Guerra Fredda e hanno ridisegnato i confini politici e geografici dell'Europa e dell'Asia centrale. Tuttavia, questo processo non è finito. Ci sono ancora regioni del mondo in cui la statualità è contestata o incerta. Inoltre, il concetto stesso di Stato sovrano è in continua evoluzione, in risposta ai cambiamenti politici, economici, tecnologici e culturali. Di conseguenza, sebbene il sistema internazionale si sia notevolmente evoluto dal Trattato di Westfalia, viviamo ancora in un mondo di Stati in evoluzione, dove la sovranità e l'autonomia non sono mai acquisite in modo definitivo, ma sono sempre oggetto di negoziati e conflitti.
Implicazioni del modello statale westfaliano per le relazioni internazionali
Che cosa rappresenta o implica per le relazioni internazionali questa divisione del mondo in Stati sovrani?
La divisione del mondo in Stati sovrani ha profonde implicazioni per le relazioni internazionali. In sostanza, crea un sistema internazionale che viene spesso descritto come anarchico. Ciò non significa che si tratti di un caos totale, ma piuttosto che non esiste un'autorità globale superiore che possa imporre regole o leggi agli Stati. Ogni Stato ha la propria autorità interna e nessuno Stato ha autorità ufficiale su un altro. Ciò significa che gli Stati sono i principali attori sulla scena internazionale. Hanno la capacità di condurre guerre, concludere trattati, riconoscere altri Stati e stringere relazioni diplomatiche. In pratica, però, la loro libertà d'azione è spesso limitata da fattori quali il potere economico e militare, le alleanze e gli obblighi derivanti dal diritto internazionale. Ciò significa anche che la cooperazione internazionale è spesso difficile da realizzare. In assenza di un'autorità globale, gli Stati devono concordare volontariamente regole e standard comuni. È qui che entrano in gioco organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, che forniscono un quadro per negoziare e sviluppare questi standard comuni. Infine, ciò può portare a conflitti di interesse tra gli Stati, poiché ciascuno di essi cerca di proteggere e promuovere i propri interessi. Questi conflitti possono essere gestiti attraverso la diplomazia, ma in alcune circostanze possono anche sfociare in un conflitto militare. In breve, la divisione del mondo in Stati sovrani crea un sistema internazionale complesso e dinamico, in cui sono possibili sia la cooperazione che il conflitto e in cui il potere e l'influenza sono costantemente in gioco.
Nelle prime fasi dello sviluppo del diritto internazionale, l'enfasi principale era posta sulla coesistenza degli Stati e sulla risoluzione delle controversie attraverso la forza militare, piuttosto che attraverso meccanismi giuridici internazionali. Ciò includeva il "diritto di guerra" (jus ad bellum e jus in bello), che regolava quando uno Stato aveva il diritto di dichiarare guerra e come doveva comportarsi durante la guerra. In questo contesto, lo scopo principale del diritto internazionale era quello di prevenire o limitare i conflitti stabilendo norme di comportamento accettabili per gli Stati. Ad esempio, le leggi che regolano le dichiarazioni di guerra, la neutralità e il trattamento dei prigionieri avevano lo scopo di fornire un certo grado di prevedibilità e stabilità in un sistema internazionale altrimenti anarchico.
Tuttavia, l'assenza di un'autorità internazionale superiore significava che l'applicazione di queste leggi dipendeva in ultima analisi dalla volontà degli Stati e dalla loro capacità di far rispettare queste norme con la forza. In altre parole, spesso prevaleva la legge del più forte. Nel corso del tempo, tuttavia, il diritto internazionale si è evoluto e ampliato fino a comprendere una gamma molto più ampia di questioni, tra cui il commercio internazionale, i diritti umani, l'ambiente e il diritto del mare. Inoltre, sono state create istituzioni internazionali per facilitare l'applicazione di queste leggi e la risoluzione delle controversie. Questi sviluppi hanno contribuito alla creazione di un ordinamento giuridico internazionale più complesso e sofisticato, anche se rimangono molte sfide per garantire l'effettiva applicazione del diritto internazionale.
Le strutture tradizionali dell'ordine internazionale
Questo diagramma mostra l'idea di anarchia a livello internazionale.
La struttura classica dell'ordine internazionale distingue tra una gerarchia all'interno degli Stati e un'anarchia tra di essi.
All'interno di uno Stato, è chiaramente osservabile una gerarchia strutturale. Il governo, che agisce per conto dello Stato, esercita l'autorità sulla società. Questa autorità è generalmente accettata dai cittadini, in una forma di consenso reciproco o "sovranità condivisa", particolarmente evidente nei sistemi democratici. Lo Stato, attraverso il controllo delle forze dell'ordine e dell'esercito, garantisce il rispetto della legge e mantiene l'ordine, stabilendo così una chiara gerarchia sulla società.
A livello internazionale, tuttavia, non esiste un sistema gerarchico paragonabile tra gli Stati. Nessuno Stato ha giurisdizione o autorità riconosciuta su un altro e nessun organismo sovranazionale esercita un potere assoluto su tutti gli Stati. Si parla quindi di "anarchia" nel sistema internazionale. In questo contesto, le relazioni tra gli Stati sono regolate dal potere, dalla negoziazione e, in alcuni casi, dal diritto internazionale, piuttosto che da un'autorità superiore riconosciuta.
È in questo quadro di anarchia che gli Stati esercitano la loro sovranità esterna, rispettando la regola della non ingerenza e agendo autonomamente sulla scena internazionale. Le interazioni avvengono principalmente attraverso la diplomazia e la negoziazione, anche se a volte dominano i conflitti e le rivalità di potere.
È importante notare che, sebbene l'anarchia descriva l'assenza di un'autorità globale centrale, non significa che il sistema internazionale sia privo di struttura o di ordine. Trattati, convenzioni, organizzazioni internazionali e altri meccanismi di cooperazione svolgono un ruolo cruciale nello strutturare le interazioni tra gli Stati e contribuiscono alla relativa stabilità del sistema internazionale.
L'"internazionalizzazione" del sistema internazionale
L'"internazionalizzazione" del sistema internazionale può essere descritta come il processo attraverso il quale gli Stati sono diventati sempre più interconnessi e interdipendenti a livello internazionale. Questa tendenza è iniziata ben prima del 1945, ma ha subito una forte accelerazione nel dopoguerra. La formazione delle Nazioni Unite nel 1945 ha segnato una svolta significativa nell'internazionalizzazione del sistema internazionale. Con la creazione delle Nazioni Unite, gli Stati hanno cercato di risolvere le loro divergenze con mezzi pacifici e di collaborare su questioni di interesse comune, contribuendo così a una maggiore interconnessione e cooperazione internazionale. Tuttavia, è importante notare che il processo di internazionalizzazione non si è limitato alla creazione delle Nazioni Unite. È stato anche segnato dai progressi tecnologici, dalla crescita del commercio mondiale, dall'emergere di organizzazioni non governative (ONG) internazionali e dall'espansione delle comunicazioni globali. Questi fattori hanno contribuito ad abbattere le barriere tra gli Stati e ad aumentare la loro interdipendenza.
L'internazionalizzazione è stata favorita anche da eventi importanti come la decolonizzazione, che ha portato alla nascita di nuovi Stati e alla ridefinizione dei rapporti di forza internazionali. Inoltre, l'evoluzione delle norme internazionali, come i diritti umani e il diritto internazionale umanitario, ha contribuito a plasmare l'attuale sistema internazionale. È quindi essenziale comprendere che l'internazionalizzazione è un processo dinamico, che continua a evolversi e a plasmare il sistema internazionale. Gli Stati sovrani, pur mantenendo la loro autonomia, devono ora tenere conto dei loro obblighi e delle loro responsabilità internazionali, riflettendo la crescente interconnessione e interdipendenza che caratterizzano il sistema internazionale moderno.
La creazione dell'attuale sistema internazionale può essere attribuita a una serie di momenti storici chiave. Tuttavia, una data particolarmente significativa è il 1945, con la creazione delle Nazioni Unite alla fine della Seconda guerra mondiale. Questo momento rappresenta un punto di svolta in cui gli Stati del mondo, profondamente colpiti dalla devastazione di due guerre mondiali, si sono riuniti per creare un'organizzazione che mirasse a prevenire simili conflitti in futuro. L'adozione della Carta delle Nazioni Unite da parte di 51 Paesi, che stabilisce i principi della cooperazione internazionale, della risoluzione pacifica dei conflitti e del rispetto dei diritti umani, ha segnato l'inizio di un nuovo ordine mondiale basato su regole. Tuttavia, l'attuale sistema internazionale non si è fermato qui. Molti altri momenti chiave hanno plasmato la sua evoluzione, come la decolonizzazione del dopoguerra, che ha visto la nascita di molti nuovi Stati sovrani, o la fine della Guerra Fredda, che ha segnato una nuova era di cooperazione e conflitto tra le nazioni.
Il 1945 ha segnato una svolta particolarmente significativa per il sistema internazionale, con la fondazione delle Nazioni Unite. Tuttavia, un'esplorazione degli eventi storici precedenti rivela che la sovranità statale si stava trasformando già prima di questo periodo di modernizzazione. La trasformazione della sovranità statale è iniziata ben prima del 1945, in particolare con lo sviluppo del commercio internazionale e la nascita del diritto internazionale. Nel XIX secolo, ad esempio, l'espansione dell'imperialismo e della colonizzazione aveva già creato reti di interdipendenza internazionale. I trattati commerciali stabilirono norme e regole per le relazioni tra gli Stati, erodendo alcuni aspetti della loro sovranità. Inoltre, le Conferenze di pace dell'Aia del 1899 e del 1907 hanno segnato importanti tappe preliminari nella regolamentazione dei conflitti internazionali e nella definizione di alcuni standard di comportamento internazionale. Quindi, sebbene il 1945 segni una tappa cruciale nella strutturazione del sistema internazionale come lo conosciamo oggi, il processo di erosione e trasformazione della sovranità statale era già iniziato molto prima di quella data, attraverso lo sviluppo delle relazioni internazionali e il graduale emergere di una comunità internazionale interconnessa.
Negli ultimi anni questi processi si sono accelerati a tre livelli. C'è stata un'internazionalizzazione dell'ordine internazionale attraverso :
- Globalizzazione e diffusione dei valori liberali: le interconnessioni globali tra società e popolazioni stanno diventando sempre più intense. Ciò è dovuto principalmente alla globalizzazione, dove l'aumento delle transazioni sociali sta portando a un livello di interdipendenza senza precedenti. Inoltre, la diffusione dei valori liberali, che incoraggiano la libera circolazione di idee, beni e persone, facilita e rafforza questo processo di globalizzazione. La globalizzazione è un fenomeno multiforme che ha una profonda influenza sul nostro mondo contemporaneo. È un processo che intensifica le interazioni e l'interdipendenza tra Stati, società e popolazioni di tutto il mondo. Da un lato, questo processo è alimentato da un aumento significativo delle transazioni sociali. Grazie ai progressi tecnologici e ai moderni mezzi di comunicazione, individui, gruppi e organizzazioni sono sempre più in contatto tra loro. Attraverso il commercio, i viaggi, l'istruzione, l'immigrazione o le reti sociali, le persone e le società interagiscono e sono interdipendenti su una scala mai vista prima. Queste crescenti interazioni portano a una convergenza di culture, idee e stili di vita, rendendo il mondo sempre più piccolo. La globalizzazione è favorita anche dalla diffusione dei valori liberali. Questi valori, che includono principi come l'uguaglianza, la libertà, i diritti umani, la democrazia e il capitalismo di libero mercato, sono stati ampiamente promossi e adottati in tutto il mondo, in particolare dopo la fine della guerra fredda. La diffusione di questi valori liberali non solo ha aperto la strada a una maggiore interconnessione e interdipendenza tra le società, ma ha anche creato un ambiente favorevole alla globalizzazione. Promuovendo l'apertura, lo scambio e la cooperazione, questi valori incoraggiano la cooperazione internazionale e la creazione di reti al di là dei confini nazionali. In questo modo, la globalizzazione e la diffusione dei valori liberali sono due processi interdipendenti che, insieme, hanno contribuito a una maggiore integrazione e interdipendenza tra le società di tutto il mondo.
- Organizzazioni e istituzioni internazionali: un altro aspetto dell'internazionalizzazione del sistema internazionale è la nascita e il rafforzamento di organizzazioni e istituzioni internazionali attraverso le quali gli Stati cooperano e coordinano le loro azioni. L'osservazione di questo fenomeno è interessante non solo per la crescita numerica di queste entità, ma anche per i cambiamenti qualitativi che si sono verificati, in particolare dalla fine del XX secolo. Una tendenza degna di nota è la crescente giurisdizionalizzazione di alcune di queste organizzazioni internazionali. In altre parole, un numero sempre maggiore di queste entità ha sviluppato meccanismi giuridici che consentono loro di esercitare un'autorità giuridica sovranazionale e di emettere decisioni vincolanti per gli Stati membri. Ciò segna un allontanamento dal tradizionale principio della sovranità statale, nel senso che gli Stati sono ora obbligati a rispettare le decisioni di queste organizzazioni internazionali, anche quando queste possono essere in contrasto con i loro interessi nazionali. Parallelamente a questo processo di giurisdizionalizzazione, abbiamo assistito anche a un notevole sviluppo dell'integrazione regionale. Gli esempi di integrazione regionale vanno ben oltre l'Europa e l'Unione Europea. Possiamo pensare a organizzazioni come la Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale (ECOWAS), l'Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN) e la Comunità degli Stati dell'America Latina e dei Caraibi (CELAC), che hanno tutte cercato di promuovere una maggiore cooperazione e integrazione tra i loro Stati membri.
- Relazioni transgovernative e transnazionali: il terzo livello di internazionalizzazione del sistema internazionale è rappresentato dall'emergere delle relazioni transgovernative e transnazionali. Le relazioni trans-governative si riferiscono alle interazioni tra diverse parti del governo - burocrati, specialisti tecnici e altri funzionari pubblici - piuttosto che alle relazioni formali tra i governi stessi. Ad esempio, i responsabili delle politiche ambientali o finanziarie possono collegarsi in rete tra loro, condividere informazioni e buone pratiche, influenzando così le politiche nazionali. Questo fenomeno, noto come transgovernativismo, è stato particolarmente marcato negli ultimi decenni. D'altro canto, le relazioni transnazionali riguardano le interazioni tra attori non governativi, come le organizzazioni non governative (ONG), le imprese multinazionali e altre entità della società civile, che svolgono un ruolo sempre più importante nella politica internazionale. Questi attori possono influenzare le politiche e le norme internazionali, impegnarsi in attività transfrontaliere e persino negoziare direttamente con i governi e le organizzazioni internazionali. In breve, il sistema internazionale non è più limitato alle interazioni tra Stati sovrani. Con l'aumento delle relazioni transgovernative e transnazionali, i confini tra gli affari interni ed esterni degli Stati stanno diventando sempre più porosi e una moltitudine di attori non statali è attivamente coinvolta nella politica internazionale.
Questi sviluppi testimoniano un panorama internazionale in continua evoluzione, in cui la sovranità degli Stati viene sia erosa che riarticolata.
La globalizzazione degli scambi sociali, l'interdipendenza e la teoria del liberalismo
Non esistono definizioni semplici del fenomeno della globalizzazione. La globalizzazione è un concetto complesso e multidimensionale che non può essere facilmente riassunto in un'unica definizione. Tuttavia, può essere intesa come un processo sempre più rapido di integrazione e interdipendenza tra i Paesi del mondo, dovuto alla crescita del commercio internazionale e dei movimenti di capitale, nonché alla rapida diffusione dell'informazione e della tecnologia.
La definizione proposta da Anthony Giddens in Dimensions of Globalization sottolinea la crescente interconnessione delle società di tutto il mondo.[1] Secondo Giddens, la globalizzazione è "l'intensificazione delle relazioni sociali globali che collegano località distanti in modo tale che gli eventi locali sono modellati da eventi che si verificano a chilometri di distanza e viceversa".
Questa definizione evidenzia due aspetti chiave della globalizzazione:
- L'intensificazione delle relazioni sociali globali: si riferisce all'aumento delle interazioni e delle interconnessioni tra individui, gruppi, organizzazioni e Stati in tutto il mondo. Questo può assumere la forma di commercio, flussi di informazioni, movimenti migratori, ecc.
- L'influenza reciproca di eventi locali e globali: ciò significa che gli eventi o le decisioni prese in una parte del mondo possono avere effetti significativi in altre regioni e viceversa. Ad esempio, una decisione presa da una multinazionale in un Paese può avere un impatto sulle condizioni di vita delle persone in un altro. Allo stesso modo, i problemi ambientali locali possono avere ripercussioni globali, come nel caso del cambiamento climatico.
Nel complesso, la definizione di Giddens evidenzia la natura interconnessa del nostro mondo contemporaneo e come gli eventi, le decisioni e i processi a diversi livelli (locale, nazionale, regionale e globale) siano sempre più interdipendenti.
Giddens concepisce la globalizzazione come un processo in cui un'attività svolta in una regione lontana ha un impatto immediato e percepibile in un'altra regione distinta. L'esempio del cambiamento climatico è una perfetta illustrazione di come le azioni intraprese in una parte del mondo possano avere un impatto significativo altrove. Le emissioni di gas a effetto serra, siano esse prodotte nel Nord o nel Sud del mondo, hanno conseguenze globali perché contribuiscono al riscaldamento globale, che interessa l'intero pianeta. Allo stesso modo, conflitti, crisi politiche o economiche e disastri naturali possono innescare movimenti migratori che hanno ripercussioni ben oltre i confini del Paese interessato. Ad esempio, una guerra civile in un Paese può innescare un afflusso di rifugiati nei Paesi vicini e anche oltre, incidendo sulla stabilità e sulle risorse di questi Paesi. La globalizzazione ha amplificato queste interdipendenze. Grazie alla maggiore facilità di viaggiare e comunicare e alla crescente interdipendenza economica, i problemi locali possono rapidamente diventare globali. Allo stesso tempo, i problemi globali richiedono sempre più soluzioni globali, il che richiede una maggiore cooperazione internazionale.
Secondo Robert Gilpin, la globalizzazione è il processo attraverso il quale le economie nazionali diventano sempre più integrate e interconnesse, portando a un'economia mondiale unificata.[2] Ciò significa che le decisioni e le attività economiche di un Paese possono avere un impatto significativo su quelle di altri Paesi, anche a migliaia di chilometri di distanza. La globalizzazione economica, secondo la definizione di Gilpin, presenta diverse sfaccettature, tra cui il commercio internazionale, gli investimenti diretti esteri, la migrazione di manodopera e il movimento di capitali. Ad esempio, un'azienda con sede negli Stati Uniti può far produrre i suoi prodotti in Cina, venderli in Europa e investire i profitti nei mercati emergenti dell'Africa. Questo processo di integrazione economica globale è stato notevolmente facilitato dai progressi tecnologici (in particolare nelle telecomunicazioni, nei trasporti e nelle tecnologie dell'informazione), dall'adozione di politiche economiche liberali che favoriscono il libero scambio e la liberalizzazione finanziaria e dall'ascesa di istituzioni internazionali come l'Organizzazione Mondiale del Commercio.
La globalizzazione ha cambiato profondamente il modo di produrre e distribuire beni e servizi. Le catene di produzione sono sempre più frammentate e distribuite in diversi Paesi, una realtà talvolta definita "catene globali del valore". Un esempio di questo fenomeno è la produzione di un prodotto tecnologico, come uno smartphone. I diversi componenti del telefono possono essere prodotti in diversi Paesi del mondo. Ad esempio, i chip possono essere prodotti in Giappone, l'assemblaggio può essere effettuato in Cina e la progettazione e lo sviluppo del software negli Stati Uniti. Il prodotto finito viene poi distribuito e venduto in tutto il mondo. Allo stesso tempo, anche i mercati finanziari sono diventati sempre più interconnessi. Gli investimenti possono essere effettuati quasi istantaneamente attraverso le frontiere e le valute e l'impatto delle decisioni economiche di un paese può essere avvertito in tutto il mondo. Questa integrazione dei processi produttivi e dei mercati finanziari ha portato a una maggiore efficienza e a una riduzione dei costi, ma anche a una maggiore interdipendenza economica. Ciò significa che le crisi economiche o finanziarie possono diffondersi rapidamente da un Paese all'altro, come abbiamo visto durante la crisi finanziaria globale del 2008. Nel complesso, la globalizzazione ha portato a una maggiore interconnessione e interdipendenza delle economie mondiali, con implicazioni sia positive che negative.
Jan Aart Scholte, ricercatore olandese di relazioni internazionali, offre una prospettiva diversa sulla globalizzazione definendola come deterritorializzazione, ovvero la crescita di relazioni sovraterritoriali tra individui.[3] La deterritorializzazione si riferisce all'indebolimento dei legami tra cultura, politica, economia e territorio fisico. Nel contesto della globalizzazione, la deterritorializzazione significa che i confini e le distanze geografiche diventano meno rilevanti nelle interazioni sociali, economiche e politiche. Ad esempio, nell'economia digitale di oggi, molte transazioni e interazioni possono avvenire indipendentemente dalla posizione fisica dei partecipanti. Individui e organizzazioni possono collaborare a progetti, scambiare informazioni e idee e condurre affari insieme nonostante le notevoli differenze di posizione geografica. Inoltre, il concetto di relazioni sovraterritoriali implica che persone, organizzazioni e governi interagiscono e si influenzano reciprocamente oltre i confini nazionali e regionali. Le organizzazioni internazionali, le reti transnazionali e le comunità online illustrano queste relazioni sovraterritoriali. È importante notare che la deterritorializzazione non elimina l'importanza del territorio e dello Stato nazionale, ma complica e trasforma queste relazioni. Secondo la prospettiva di Scholte, la globalizzazione rappresenta un movimento verso un mondo più interconnesso e meno radicato in territori specifici.
La deterritorializzazione si riferisce all'indebolimento dei vincoli geografici sulle interazioni sociali, culturali ed economiche. Con lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione, in particolare di Internet e dei social media, le interazioni e le transazioni possono avvenire istantaneamente e indipendentemente dalla posizione geografica. Ciò è particolarmente evidente nel mondo digitale, dove le informazioni e le idee si diffondono attraverso i confini nazionali e regionali alla velocità della luce. I social network come Facebook, Twitter o Instagram, così come le piattaforme di comunicazione come Zoom o Teams, permettono alle persone di comunicare e scambiare idee indipendentemente dalla loro posizione geografica. Questa deterritorializzazione ha profonde implicazioni per le relazioni internazionali. Rende più difficile per gli Stati controllare le informazioni, incoraggia la condivisione di idee e culture e può accelerare i cambiamenti sociali e politici. Tuttavia, può anche comportare delle sfide, come la diffusione della disinformazione, l'emergere di attacchi informatici o lo sfruttamento delle tecnologie digitali da parte di gruppi estremisti.
David Harvey, un importante geografo britannico, vede la globalizzazione come una "compressione spazio-temporale".[4] Questa concezione si riferisce principalmente al modo in cui i progressi tecnologici, in particolare nei trasporti e nelle comunicazioni, hanno accorciato le distanze e accelerato le interazioni tra persone e luoghi in tutto il mondo. Ad esempio, basta un clic per inviare un'e-mail dall'altra parte del mondo, cosa che qualche decennio fa avrebbe richiesto giorni o addirittura settimane di posta. Allo stesso modo, i progressi nel trasporto aereo hanno ridotto il tempo necessario per viaggiare da un continente all'altro. Questa compressione dello spazio e del tempo ha facilitato e intensificato le interazioni e gli scambi globali, avvicinando persone e luoghi. Ha quindi svolto un ruolo importante nella globalizzazione. Tuttavia, come la deterritorializzazione, anche la compressione spazio-temporale può porre delle sfide in termini di relazioni internazionali, come la rapida diffusione di malattie o la gestione delle informazioni su scala globale.
Questa definizione onnicomprensiva di globalizzazione illustra bene come sta cambiando il nostro mondo. Evidenzia il passaggio da una realtà in cui le entità (gli Stati e le loro società nazionali) erano distinte e interagivano con un certo grado di indipendenza, a un mondo in cui esiste ora uno spazio sociale condiviso, grazie soprattutto alla tecnologia, ai viaggi internazionali e all'interconnessione economica. In questo contesto, le questioni, le sfide e le opportunità non sono più esclusivamente nazionali, ma hanno una dimensione internazionale. Ad esempio, le questioni ambientali, di sicurezza, economiche e persino sociali sono sempre più affrontate in un contesto globale. Ciò richiede una maggiore cooperazione internazionale, sollevando al contempo nuove sfide in termini di governance, diritti umani, equità e sviluppo sostenibile.
Un'esplorazione del liberalismo
Il liberalismo ha svolto un ruolo centrale nel promuovere e facilitare la globalizzazione. È una filosofia politica ed economica che sostiene la libertà individuale, la democrazia rappresentativa, i diritti umani, la proprietà privata e l'economia di mercato. In un contesto internazionale, il liberalismo sostiene l'interdipendenza tra le nazioni e incoraggia la libera circolazione di persone, beni, servizi e idee. Questa visione si riflette nella promozione del commercio internazionale, nell'apertura delle frontiere, nel sostegno alle organizzazioni internazionali, nella cooperazione multilaterale e nel rispetto del diritto internazionale. Per quanto riguarda la globalizzazione, la diffusione delle idee liberali ha facilitato la creazione di istituzioni internazionali, la definizione di regole commerciali globali e la formazione di una cultura globale. Ciò ha incoraggiato la connettività e l'interdipendenza tra le società di tutto il mondo.
Il libero scambio è un principio fondamentale del liberalismo economico che sostiene la riduzione al minimo delle barriere commerciali e degli interventi governativi nello scambio internazionale di beni e servizi. Ciò significa che non ci sono tariffe, quote, sussidi o restrizioni imposte dal governo sulle importazioni o sulle esportazioni. Negli ultimi decenni, questo principio è stato ampiamente adottato a livello globale, grazie anche a istituzioni internazionali come l'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che promuovono il libero scambio tra i Paesi. Ciò ha portato a una maggiore integrazione economica e interdipendenza tra le economie nazionali, un fenomeno spesso associato alla globalizzazione.
L'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) svolge un ruolo fondamentale nel mantenere ed espandere il sistema di libero scambio globale. Riunendo quasi tutti gli Stati del mondo come membri o osservatori, l'OMC facilita i negoziati commerciali, risolve le controversie commerciali e lavora per ridurre le barriere al commercio internazionale. L'adesione all'OMC implica l'adesione ai principi del libero scambio e a una serie di regole e norme volte a rendere il commercio internazionale più prevedibile ed equo. Ciò include la riduzione o l'eliminazione delle tariffe e di altri ostacoli al commercio, la garanzia della trasparenza e della prevedibilità dei regimi commerciali e il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, tra gli altri obblighi. Gli Stati con lo status di osservatore sono generalmente in procinto di aderire all'OMC. Questo status consente loro di partecipare alle discussioni e alle riunioni dell'OMC, dando loro il tempo di prepararsi all'adesione a pieno titolo. In genere, questi Paesi lavorano per allineare le loro politiche e normative commerciali agli standard dell'OMC, con l'obiettivo finale di diventare membri a pieno titolo. Detto questo, sebbene il cartellino verde rappresenti la stragrande maggioranza degli Stati del mondo, è importante notare che l'adesione all'OMC e la pratica del libero scambio non sono esenti da sfide o critiche. Alcune voci mettono in dubbio l'equità del sistema commerciale globale, suggerendo che esso favorisce i Paesi più ricchi e potenti e può esacerbare le disuguaglianze economiche sia tra i Paesi che al loro interno.
Lo status di osservatore presso l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) è spesso un passo preliminare verso la piena adesione. I Paesi osservatori sono generalmente quelli che hanno espresso interesse ad aderire all'OMC e stanno allineando le loro politiche commerciali nazionali agli standard e ai regolamenti dell'OMC. Durante questo periodo, possono assistere alle riunioni dell'OMC e partecipare alle discussioni, ma non possono votare le decisioni. È importante notare che il processo di adesione all'OMC può essere complesso e richiedere molto tempo. I Paesi candidati devono negoziare con i membri esistenti e dimostrare il loro impegno nei confronti dei principi del libero scambio e degli standard dell'OMC. Questi negoziati possono riguardare un'ampia gamma di questioni, dalle tariffe agli standard sanitari e fitosanitari e ai diritti di proprietà intellettuale. In termini di copertura geografica, l'OMC è davvero un'organizzazione globale, con membri in quasi tutte le regioni del mondo. Tuttavia, come già detto, l'OMC e il sistema di libero scambio che promuove sono oggetto di critiche e dibattiti. Alcune voci sottolineano le sfide associate alla globalizzazione e al libero scambio, in particolare per quanto riguarda le disuguaglianze economiche, i diritti dei lavoratori e l'ambiente.
Secondo la teoria liberale delle relazioni internazionali, il commercio e l'interdipendenza economica tra le nazioni possono contribuire alla stabilità internazionale e ridurre il rischio di conflitti. Questa teoria viene talvolta definita "teoria della pace democratica" o ipotesi della "pace attraverso il commercio". L'idea di base è che quando i Paesi sono economicamente legati tra loro, hanno un interesse finanziario a mantenere relazioni pacifiche. Di conseguenza, il costo economico della guerra diventerebbe proibitivo, scoraggiando il conflitto. Inoltre, l'interdipendenza economica può incoraggiare la cooperazione internazionale e la risoluzione pacifica delle controversie. Gli Stati sono più propensi a risolvere le loro controversie attraverso la negoziazione e il dialogo, piuttosto che con la forza, quando hanno relazioni commerciali forti e reciprocamente vantaggiose.
Esiste anche un progetto di pace legato all'idea di apertura dei mercati economici. Questa nozione viene spesso definita "teoria del commercio pacifico" o "teoria della pace liberale". Questa teoria suggerisce che l'aumento dei legami commerciali tra le nazioni può ridurre la probabilità di conflitti perché i costi economici della guerra sarebbero troppo elevati. In altre parole, i Paesi che commerciano molto tra loro hanno più da perdere in caso di conflitto, il che li renderebbe meno inclini a combattere. I sostenitori di questa teoria sottolineano spesso che il commercio non solo può rendere la guerra più costosa, ma può anche contribuire a costruire legami interpersonali e interculturali, promuovere la comprensione reciproca e incoraggiare la cooperazione internazionale. Sottolineano inoltre che il commercio può contribuire alla prosperità economica e quindi alla stabilità politica, che potrebbe anche ridurre le possibilità di conflitto.
La seconda trasformazione, soprattutto a partire dagli anni Novanta, è stata il trionfo della democrazia. Dalla fine della Guerra Fredda negli anni '90, la democrazia è diventata sempre più predominante su scala globale. A questa tendenza hanno contribuito diversi fattori, tra cui la fine della rivalità tra Stati Uniti e Unione Sovietica, che ha aperto la strada a importanti cambiamenti politici in molti Paesi. Dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell'Unione Sovietica, molti Paesi dell'Europa orientale hanno adottato forme di governo democratiche. In America Latina, Africa e Asia si sono verificate transizioni simili, con la caduta di molti regimi autoritari e la loro sostituzione con governi democratici. In molti casi, queste transizioni sono state accompagnate da riforme economiche volte ad aprire le economie alla concorrenza globale.
La fine della Guerra Fredda e la caduta del comunismo in molti Paesi ha dato origine a un'ondata di ottimismo sul potenziale della democrazia e della cooperazione internazionale. La "Fine della storia" di Francis Fukuyama simboleggia quest'epoca, suggerendo che la democrazia liberale potrebbe essere il culmine dell'evoluzione socio-politica umana. L'aumento del numero di Stati democratici, illustrato dalla linea blu, suggerisce una crescente accettazione dei principi democratici, come elezioni libere ed eque, separazione dei poteri e rispetto dei diritti umani. Allo stesso tempo, è diminuito il numero di Stati autoritari, come illustrato dalla linea rossa. Questi sviluppi hanno certamente creato nuove opportunità di cooperazione internazionale, tra cui la condivisione di competenze e la risoluzione congiunta di sfide globali. Le democrazie, in generale, tendono a essere più aperte alla cooperazione internazionale e al rispetto delle norme e delle regole internazionali.
Francis Fukuyama, nel suo famoso libro "La fine della storia e l'ultimo uomo", ha sostenuto che la fine della guerra fredda ha rappresentato il trionfo finale della democrazia liberale su altre ideologie politiche, in particolare il comunismo e il fascismo.[5] A suo avviso, questo ha segnato la fine dell'evoluzione ideologica dell'umanità e il culmine finale del progresso umano verso una forma di governo universalmente accettabile. Fukuyama prevedeva un mondo in cui la maggioranza dei Paesi adottasse una forma di governo democratica e rispettasse i diritti umani e i principi del libero mercato. Prevedeva anche un aumento della cooperazione internazionale attraverso organizzazioni sovranazionali, che avrebbero contribuito a un mondo più stabile e prospero.
La globalizzazione e la crescente interdipendenza tra gli Stati hanno portato molte sfide e contro-movimenti. Tra queste, l'aumento del nazionalismo e del protezionismo, la sfiducia nelle istituzioni internazionali e la polarizzazione sociale e politica esacerbata dalla diffusione dei social network e delle false informazioni. Allo stesso tempo, ci troviamo di fronte a questioni globali urgenti, come i cambiamenti climatici, le pandemie, le disuguaglianze economiche e le migrazioni di massa, che richiedono una maggiore cooperazione internazionale. La questione è come bilanciare queste tendenze contraddittorie e dare forma a un ordine mondiale che sia equo e stabile. Le teorie delle relazioni internazionali possono offrirci strumenti per comprendere queste dinamiche. Ad esempio, il realismo pone l'accento sui conflitti di interesse e sulla lotta per il potere tra gli Stati, mentre il liberalismo sottolinea l'importanza della cooperazione internazionale e della governance globale. In definitiva, la direzione che prenderà il sistema globale dipenderà dalle scelte politiche e dalle azioni dei principali attori sulla scena internazionale.
Abbiamo parlato di internazionalizzazione del sistema internazionale, di globalizzazione e di diffusione del liberalismo, ma dobbiamo anche parlare della proliferazione delle organizzazioni internazionali e del crescente ricorso ai tribunali.
Il ruolo delle organizzazioni internazionali, la giudiziarizzazione e l'integrazione regionale
Questa tabella è una sintesi quantitativa della proliferazione delle organizzazioni internazionali. I dati provengono dall'Unione delle organizzazioni internazionali, che fornisce statistiche su questi temi. Il numero di organizzazioni internazionali, sia intergovernative che non governative, è aumentato nel tempo. Ciò è in parte dovuto alla globalizzazione e alla crescente necessità di coordinamento e cooperazione internazionale su una serie di questioni, che vanno dall'economia e dal commercio all'ambiente, alla salute e ai diritti umani. Le OIG, come l'ONU, l'OMC, l'UE, la NATO, l'OMS e altre, svolgono un ruolo cruciale nel facilitare la cooperazione tra gli Stati. D'altro canto, le ONG, come Amnesty International, Medici senza frontiere, Greenpeace e altre, svolgono un ruolo importante nel sostenere determinate cause e nel fornire competenze e pressioni per il cambiamento su scala globale. La crescita di queste organizzazioni riflette sia la crescente complessità del sistema internazionale sia la diversità delle questioni globali che devono essere affrontate.
Forse l'aspetto più interessante non è semplicemente la creazione e la proliferazione di organizzazioni internazionali e ONG, ma piuttosto la reale influenza che queste istituzioni possono esercitare. La questione è se emergono come forze politiche autonome o se, nel caso delle organizzazioni intergovernative, rimangono semplicemente piattaforme in cui gli Stati negoziano. Nel caso delle ONG, la questione riguarda il loro ruolo: sono entità che alzano la voce senza avere un impatto politico sostanziale? Il problema sta quindi nel valutare la reale influenza di questi attori internazionali.
La misurazione dell'impatto delle organizzazioni internazionali e delle ONG può essere effettuata in diversi modi e dipende in larga misura dall'obiettivo specifico dell'organizzazione in questione.
- Influenzare le politiche e le leggi: alcune organizzazioni internazionali, come l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) o il Fondo Monetario Internazionale (FMI), hanno un impatto significativo sulle politiche e sulle normative dei Paesi membri. Allo stesso modo, alcune ONG, in particolare le grandi organizzazioni internazionali, possono influenzare le politiche conducendo campagne di advocacy e fornendo informazioni e ricerche su questioni specifiche.
- Risoluzione dei problemi e dei conflitti: organizzazioni come le Nazioni Unite svolgono un ruolo cruciale nella risoluzione dei conflitti e nella prevenzione delle crisi umanitarie. Il loro impatto può essere valutato esaminando la loro capacità di risolvere o attenuare i conflitti e di fornire assistenza umanitaria quando necessario.
- Sviluppo e aiuti umanitari: molte ONG internazionali sono impegnate nello sviluppo e negli aiuti umanitari. Il loro impatto può essere valutato esaminando i progressi nelle aree specifiche a cui si rivolgono, come la riduzione della povertà, il miglioramento dell'accesso all'istruzione, alla salute, ecc.
- Coinvolgimento degli stakeholder: Le organizzazioni internazionali e le ONG possono avere un impatto anche mobilitando l'opinione pubblica, sensibilizzandola sulle questioni che sostengono e stimolando il dialogo e il dibattito su questi temi.
L'aspetto potenzialmente più significativo non è solo la nascita e l'espansione delle organizzazioni internazionali e delle ONG. Sta anche nell'impatto concreto che queste istituzioni possono avere. Si tratta di capire se diventano forze politiche indipendenti o se, nel caso delle organizzazioni intergovernative, fungono semplicemente da piattaforme per i negoziati tra Stati. Per quanto riguarda le ONG, la questione è se sono semplicemente attori che fanno sentire la loro voce, senza influenzare realmente il panorama politico. La sfida è quindi quella di misurare l'impatto effettivo di questi attori sulla scena internazionale.
Il potere e l'impatto delle organizzazioni internazionali e delle ONG a livello politico sono oggetto di dibattito. Da un lato, alcuni osservatori ritengono che queste entità esercitino un'influenza sostanziale sulle politiche globali, mentre altri sostengono che siano solo strumenti nelle mani degli Stati. Nel caso di organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite o l'Organizzazione mondiale del commercio, esse sono considerate da alcuni come forze politiche autonome in grado di definire le politiche e influenzare le decisioni politiche degli Stati membri. Hanno il potenziale per stabilire standard, proporre politiche e arbitrare le controversie tra gli Stati. Tuttavia, queste organizzazioni sono spesso limitate dalla loro natura intergovernativa, il che significa che il loro potere deriva in ultima analisi dagli Stati membri ed è spesso limitato dal consenso necessario tra questi Stati per prendere decisioni. Le ONG, invece, svolgono un ruolo sempre più importante nella governance globale, che va dall'attivismo alla fornitura di servizi essenziali, fino alla difesa di politiche specifiche. Tuttavia, la loro capacità di influenzare le politiche è spesso indiretta. Possono esercitare pressioni su governi e aziende, evidenziare problemi globali e talvolta fornire soluzioni, ma in genere non hanno il potere di prendere decisioni vincolanti.
Il concetto di giurisdizionalizzazione è stato sviluppato per analizzare l'influenza e il potere delle organizzazioni internazionali. Si basa sull'idea che il diritto e le istituzioni giudiziarie stiano svolgendo un ruolo sempre più importante negli affari internazionali. Ciò si evince dall'emergere di tribunali e corti internazionali, nonché dal crescente ricorso al diritto e alle procedure giudiziarie nei negoziati internazionali. Per quanto riguarda le organizzazioni intergovernative, la giurisdizionalizzazione può essere valutata esaminando la misura in cui le norme internazionali elaborate da queste organizzazioni sono vincolanti. In altre parole, si tratta di misurare in che misura tali norme vengono rispettate dagli Stati membri e quali sono le conseguenze in caso di mancato rispetto. Si pensi, ad esempio, alle decisioni dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Se uno Stato membro dell'OMC viola le sue regole, può essere soggetto a sanzioni commerciali. Ciò dimostra un certo grado di giurisdizionalizzazione, in quanto le regole dell'OMC sono giuridicamente vincolanti e vi sono conseguenze tangibili in caso di non conformità.
Per valutare il grado di obbligatorietà che le norme internazionali impongono agli Stati, che sono i principali destinatari di tali norme, si possono considerare tre aspetti distinti:
- Il livello di obbligatorietà: in altre parole, in che misura gli standard sono vincolanti per i governi? Sono formulati in termini forti e vincolanti o hanno piuttosto la forma di raccomandazioni o linee guida? Il primo aspetto, il "livello di obbligo", riguarda la natura vincolante di questi standard internazionali per gli Stati. Non tutti gli strumenti internazionali sono esplicitamente vincolanti. Ad esempio, la Dichiarazione sui diritti umani dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1948 è esplicitamente non vincolante. Tuttavia, alcuni standard hanno acquisito lo status di "jus cogens", cioè di diritto vincolante per gli Stati, anche se non hanno ratificato il trattato in questione. È il caso, ad esempio, delle norme che vietano il genocidio e la tortura, o della regola del non respingimento, che vieta il ritorno di un rifugiato in un territorio in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate. Nonostante le violazioni, ciò non mette in discussione la loro legittimità e validità. Tra questi due estremi, esistono diversi gradi di obblighi legati agli standard internazionali.
- Proliferazione di norme internazionali: si tratta di determinare quante norme internazionali esistono in un determinato settore. Una proliferazione di norme può indicare un alto livello di regolamentazione internazionale, ma può anche significare che le norme sono complesse e potenzialmente contraddittorie. Il secondo aspetto riguarda la "proliferazione degli standard internazionali" e il loro grado di giurisdizionalizzazione e precisione. Si tratta di valutare se questi standard sono sufficientemente generici da lasciare agli Stati un ampio margine di manovra nella loro attuazione, oppure se sono così precisi da poter essere applicati così come sono, senza necessità di recepimento a livello nazionale. Per illustrare questo punto, prendiamo l'esempio dei negoziati sul clima. Il Protocollo di Kyoto non imponeva alcun obbligo ai Paesi in via di sviluppo, comprese le grandi potenze emergenti come Cina e India. Gli Stati Uniti, pur essendo firmatari della Convenzione quadro, non erano vincolati dagli standard del Protocollo di Kyoto. Le norme del Protocollo erano piuttosto vaghe, specificando solo un livello di emissioni di gas serra per ogni Stato firmatario, senza indicare come tale riduzione dovesse essere raggiunta, né istituire meccanismi di monitoraggio e valutazione per verificare il rispetto di tali obblighi. Di conseguenza, il quadro stabilito dal Protocollo di Kyoto era piuttosto impreciso e lasciava un ampio margine di manovra agli Stati.
- L'esistenza di un organismo preposto all'applicazione: in altre parole, esiste un'istituzione o un'organizzazione responsabile di garantire che gli Stati rispettino gli standard? Questo organismo può anche avere il potere di imporre sanzioni in caso di non conformità. Il terzo aspetto riguarda l'applicazione degli standard internazionali. In altre parole, in che misura esiste un organismo responsabile dell'applicazione e dell'esecuzione di questi standard se gli Stati non li rispettano? Su scala globale, non esiste un tribunale internazionale paragonabile a un tribunale nazionale. Sebbene esista la Corte internazionale di giustizia, essa può intervenire solo se i due Stati coinvolti in una controversia accettano di sottoporsi a un processo legale, altrimenti la Corte non ha giurisdizione. Tuttavia, negli ultimi anni si è assistito a un aumento dell'uso di processi di risoluzione delle controversie di tipo più legale. Per esempio, l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) ha un sistema elaborato che comprende anche meccanismi di sanzione per gli Stati che non rispettano gli standard commerciali dell'OMC. Allo stesso modo, la Corte penale internazionale è un altro esempio di istituzione giuridicamente forte nel campo dei diritti umani, in grado di condannare individui per crimini contro l'umanità come il genocidio e la tortura sistematica. Per quanto riguarda la questione del clima, ci si chiede quali meccanismi verranno utilizzati per attuare i nuovi obblighi degli Stati. Ci sarà un sistema di relazioni tra gli Stati, in cui ogni Stato documenta le proprie misure a livello internazionale, e queste relazioni vengono poi valutate e vengono fatte delle raccomandazioni? Oppure ci sarà la possibilità di sanzioni in caso di mancato rispetto di alcuni obblighi e, in tal caso, da parte di chi? Sarà un organismo indipendente ad avere questa autorità? Nel complesso, si può affermare che negli ultimi vent'anni abbiamo assistito a una tendenza verso una maggiore giudiziarizzazione delle organizzazioni internazionali. È vero che molte organizzazioni sono bloccate, come ad esempio l'OMC, ma questo blocco può anche essere il risultato del fatto che queste organizzazioni sono diventate più restrittive e che gli Stati sono meno inclini a legarsi le mani. Forse gli Stati vogliono mantenere la loro flessibilità e questo potrebbe indicare un'evoluzione verso un ruolo maggiore delle organizzazioni internazionali.
Per quanto riguarda il processo decisionale e la definizione dell'agenda, è possibile applicare alle relazioni internazionali concetti simili a quelli del ciclo politico. L'agenda setting consiste nel determinare quali membri di un'organizzazione hanno la capacità di proporre nuovi standard. Per esempio, all'interno dell'Unione Europea, la Commissione Europea, che opera indipendentemente dagli Stati membri, ha questa capacità. Si tratta di un segno di giurisdizionalizzazione e sovranazionalità avanzata, che non si riscontra sistematicamente in tutte le organizzazioni internazionali.
Il secondo aspetto riguarda il processo decisionale stesso. Occorre stabilire se le decisioni vengono prese per consenso, all'unanimità dagli Stati o da soli Stati. In questo caso, si può dire che l'organizzazione internazionale produce norme che riflettono la volontà individuale di ciascuno Stato. In questo senso, queste norme sono compatibili con il concetto di sovranità statale, poiché ogni Stato ha dato volontariamente il suo consenso a queste norme.
In presenza di un sistema di voto a maggioranza, come nel caso dell'Unione Europea o del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, gli Stati possono essere vincolati da una decisione anche se hanno votato contro. In questo modo, queste istituzioni internazionali acquisiscono un carattere più sovranazionale, potendo di fatto stabilire norme vincolanti per i loro membri, anche in assenza di un loro esplicito consenso.
Ciò solleva una serie di domande interessanti e importanti sul funzionamento della governance globale e sulle tensioni tra sovranità nazionale e cooperazione internazionale. Ad esempio, è accettabile che uno Stato sia vincolato da una decisione a cui si è opposto? Come si possono tutelare gli Stati minoritari in un sistema di questo tipo? Questo può anche portare a conflitti tra gli Stati membri, soprattutto se la decisione presa ha conseguenze importanti per gli interessi nazionali. Allo stesso tempo, è anche un modo efficace per prendere decisioni e fare progressi su questioni complesse e globali.
Consentendo di prendere decisioni a maggioranza anziché all'unanimità, queste istituzioni possono superare i veti di un piccolo numero di Stati e agire su questioni urgenti. Ciò può essere particolarmente importante in situazioni in cui l'inazione o il ritardo potrebbero avere gravi conseguenze, come nel caso dei cambiamenti climatici o delle questioni di sicurezza globale. Tuttavia, sono necessari anche controlli ed equilibri per evitare abusi e garantire che gli interessi di tutti gli Stati membri siano presi in considerazione.
L'Unione Europea è un buon esempio di questa tensione. Le decisioni prese dalla Commissione europea e dal Parlamento europeo possono avere effetti profondi sugli Stati membri, anche se questi ultimi hanno votato contro tali decisioni. Ciò ha portato a dibattiti sulla sovranità e sul potere di queste istituzioni e su come gli Stati membri possano influenzare le decisioni prese a questo livello. Il caso del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è leggermente diverso, poiché i suoi cinque membri permanenti (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) hanno il diritto di veto sulle risoluzioni. Ciò significa che questi Paesi possono bloccare qualsiasi decisione, anche se tutti gli altri membri sono d'accordo. Questo sistema è stato spesso criticato come ingiusto e rappresentativo di un'epoca passata della politica mondiale. Tuttavia, serve anche a proteggere gli interessi di queste grandi potenze e a prevenire i conflitti più gravi. In breve, il processo decisionale a maggioranza nelle organizzazioni internazionali è un elemento chiave della cooperazione internazionale, ma solleva anche importanti questioni di sovranità, rappresentanza ed equità.
Nel sistema dell'Unione europea (UE), la complessità è accresciuta dal fatto che il processo decisionale non spetta solo agli Stati membri riuniti nel Consiglio dell'Unione europea, ma coinvolge anche il Parlamento europeo, un'istituzione colegislativa indipendente dal Consiglio. Il Parlamento europeo è eletto direttamente dai cittadini degli Stati membri dell'UE, il che ne rafforza la legittimità democratica e l'indipendenza dai governi nazionali. Ciò rende l'Unione europea un'entità sovranazionale unica nel suo genere. Nessun'altra organizzazione internazionale condivide una simile struttura di governance in cui i cittadini hanno un ruolo diretto nel processo decisionale sovranazionale. In questo senso, l'UE si distingue per la sua capacità di trascendere la sovranità nazionale in alcune misure politiche e legislative.
Relazioni transgovernative e transnazionali
La crescente interdipendenza delle società e l'emergere di problemi transfrontalieri hanno portato a un crescente interesse per le soluzioni comuni. Più le società diventano globalizzate, più i problemi trascendono i confini degli Stati, richiedendo una cooperazione più estesa. Di conseguenza, la creazione di organizzazioni internazionali e lo sviluppo di standard internazionali sono essenziali per affrontare queste sfide comuni. Queste organizzazioni e standard internazionali consentono non solo di regolamentare le aree di attività transfrontaliere, ma anche di armonizzare le politiche e le pratiche dei diversi Paesi. In questo modo, contribuiscono a una gestione più efficace delle questioni globali, siano esse il cambiamento climatico, la migrazione, la salute globale o il commercio internazionale. Detto questo, la loro efficacia dipende dalla volontà degli Stati membri di rispettare gli standard internazionali e di adottare misure di attuazione a livello nazionale. Tuttavia, la complessità delle questioni globali e la diversità dei contesti nazionali rendono questo compito difficile, sottolineando l'importanza dell'impegno costante degli Stati, delle organizzazioni internazionali e della società civile nell'affrontare queste sfide globali.
Abbiamo assistito a una tendenza verso una maggiore giudiziarizzazione delle organizzazioni e delle norme internazionali. Questa giudiziarizzazione, ossia la tendenza a ricorrere al diritto e ai procedimenti legali per risolvere i problemi internazionali, non è uniforme in tutti i settori e in tutte le organizzazioni. Tuttavia, il fenomeno è presente e notevole. Dal 1945, abbiamo assistito non solo a un aumento del numero di organizzazioni internazionali e di trattati multilaterali, ma anche a una tendenza a renderli più vincolanti. L'obiettivo è stabilire una disciplina collettiva e rafforzare il rispetto degli impegni assunti a livello internazionale. L'applicazione di questi standard e accordi può tuttavia variare a seconda dell'adesione dei Paesi, della loro capacità di attuare gli impegni e dei meccanismi di attuazione e monitoraggio esistenti. Nonostante le sfide significative, questo passo verso una maggiore giurisdizionalizzazione è un segnale incoraggiante dello sforzo globale per gestire i problemi internazionali attraverso la cooperazione e il diritto internazionale.
Un altro fenomeno degno di nota nell'organizzazione politica degli Stati, oltre alla loro cooperazione nelle organizzazioni intergovernative, è l'integrazione regionale. In tutto il mondo si assiste a una proliferazione di iniziative di integrazione regionale. Ad esempio, l'Accordo nordamericano di libero scambio (NAFTA) in Nord America rappresenta un'iniziativa di questo tipo. Tuttavia, questo accordo è essenzialmente economico e si limita alla creazione di un'area di libero scambio, senza ambizioni più grandi, a differenza dell'Unione Europea, che si estende a varie politiche di ogni tipo. È importante notare che l'integrazione regionale può variare notevolmente in termini di ambizione e portata. Mentre alcuni accordi possono concentrarsi principalmente su questioni economiche, altri, come l'Unione Europea, possono puntare a un'integrazione più profonda che copre un'ampia gamma di politiche e aree di cooperazione.
Nell'America Latina meridionale troviamo il MERCOSUR, un'organizzazione che riunisce Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay, Venezuela e Bolivia. Pur essendo un'area di libero scambio, il MERCOSUR ha ambizioni più elevate. I membri aspirano a un'unione doganale, a un mercato comune e forse a una moneta comune in futuro, anche se non è ancora il caso. Il MERCOSUR è ambizioso; i suoi Paesi membri hanno sviluppato politiche comuni in materia di ambiente, diritti sociali e diritti del lavoro per i loro cittadini. L'ascesa dei governi di sinistra negli ultimi anni ha portato a uno spostamento verso la sfera sociale. Tuttavia, con i recenti cambiamenti politici, in particolare in Argentina e Brasile, questo orientamento potrebbe cambiare. Tuttavia, il MERCOSUR rimane un'organizzazione ben consolidata e funzionale.
Anche l'Unione Africana (UA), creata all'inizio del nuovo millennio nel 2002, è un'importante organizzazione regionale. Il suo predecessore, l'Organizzazione dell'Unità Africana, si concentrava principalmente sulla decolonizzazione. L'Unione africana, invece, ha ambizioni molto più ampie. Si basa su organizzazioni subregionali, come la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS). L'UA mira a una maggiore integrazione economica e politica tra i suoi Stati membri, ispirandosi in parte al modello dell'Unione Europea. Diverse organizzazioni subregionali africane condividono un piano d'azione simile, il cui obiettivo principale è la liberalizzazione del commercio tra i loro Stati membri, in vista della creazione di un mercato comune e, infine, di una moneta comune. In alcune parti dell'Africa esistono già unioni valutarie, anche se spesso si tratta di un retaggio dell'epoca coloniale. L'Unione africana sta anche valutando l'unificazione di questi vari mercati comuni subregionali in un mercato comune per tutta l'Africa. Tuttavia, ci sono stati ritardi nell'attuazione di questi piani. Alcuni organismi subregionali sono più efficaci di altri, ma è interessante notare questa tendenza all'organizzazione regionale. L'Unione africana non è attiva solo sul fronte economico, ma anche nel campo della sicurezza. Ha un Consiglio di sicurezza che, in modo molto simile al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, può prevedere un intervento militare sul territorio dei suoi Stati membri in caso di crisi, un fenomeno abbastanza recente. Stiamo quindi assistendo a una replica del sistema delle Nazioni Unite a livello africano, con diversi gradi di efficacia. Questo grande fenomeno va al di là di ciò che l'Unione Europea fa in termini di sicurezza.
Nel Sud-Est asiatico troviamo anche l'ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico), una rete di Stati che si sono riuniti per creare un mercato comune. Sebbene l'obiettivo iniziale fosse quello di creare questa zona entro il 2015, è ancora lontano dall'essere raggiunto. Tuttavia, hanno un piano per integrarsi non solo economicamente, ma anche culturalmente e socialmente. Stanno sviluppando attività comuni, tra cui un sistema di scambi universitari. Il concetto di scambi culturali e sociali è fortemente incoraggiato all'interno dell'ASEAN.
Esiste anche il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), un'organizzazione di Paesi del Golfo che aspira a stabilire un'unione monetaria. Inoltre, di recente Vladimir Putin ha lanciato l'Unione eurasiatica, che riunisce la Russia e diversi Stati dell'ex URSS. Questa unione doganale mira a rivaleggiare con l'Unione Europea, soprattutto nel contesto del conflitto ucraino. L'ambizione della Russia è quella di includere l'Ucraina in questa organizzazione e in questo processo di integrazione economica dominato dalla Russia. Ciò sarebbe incompatibile con un accordo di associazione approfondito con l'Unione Europea. È quindi chiaro che queste organizzazioni regionali possono anche essere in concorrenza tra loro.
Il fenomeno del regionalismo, caratterizzato dalla nascita e dalla moltiplicazione di organizzazioni regionali, è relativamente recente e risale essenzialmente agli anni Novanta. È una risposta alla crescente globalizzazione e alle sfide transfrontaliere. Le organizzazioni regionali forniscono agli Stati un quadro di riferimento per collaborare e coordinare i loro sforzi per affrontare questioni comuni e transnazionali, siano esse economiche, politiche, ambientali o di sicurezza. L'idea alla base del regionalismo è che i Paesi che condividono legami geografici, storici, culturali o economici possano trarre vantaggio da una più stretta cooperazione. Ciò può avvenire attraverso la creazione di mercati comuni, l'attuazione di politiche coordinate o addirittura, in alcuni casi, l'adozione di una moneta unica. È importante notare che il grado di integrazione e la natura degli accordi variano notevolmente da un'organizzazione regionale all'altra. Ad esempio, l'Unione Europea rappresenta un livello di integrazione molto elevato, con una moneta comune e una governance sovranazionale in molti settori. Altre organizzazioni, come l'ASEAN o il MERCOSUR, sono meno integrate, ma perseguono comunque obiettivi di cooperazione economica e politica. Tuttavia, nonostante la loro crescita e il loro potenziale, le organizzazioni regionali devono affrontare molte sfide, soprattutto in termini di coordinamento tra gli Stati membri, rispetto degli impegni e gestione delle controversie.
Nonostante l'aumento generale della giurisdizionalizzazione e dell'integrazione delle organizzazioni internazionali, c'è una certa stanchezza nei confronti dell'attuale sistema multilaterale. Organizzazioni come l'OMC e l'ONU hanno spesso difficoltà a portare avanti i loro programmi a causa di blocchi e conflitti tra gli Stati membri. Allo stesso tempo, però, stiamo assistendo a un aumento della cooperazione a un livello più micro, spesso definita "diplomazia di rete" o "diplomazia di seconda istanza". Si tratta di un'interazione e collaborazione diretta tra tecnocrati, burocrazie e dipartimenti amministrativi di diversi Paesi. Ad esempio, i ministeri dell'ambiente o dell'istruzione di diversi Paesi possono collaborare direttamente su iniziative specifiche, indipendentemente dalle posizioni ufficiali dei rispettivi governi. Questi tipi di collaborazione possono spesso essere più agili ed efficaci nel risolvere problemi specifici, grazie alla loro natura più tecnocratica e meno politicizzata.
Vi è una tendenza crescente alla collaborazione tra varie entità non governative, come organizzazioni non governative (ONG), enti di ricerca, aziende e persino singoli individui. Questi attori lavorano insieme su problemi internazionali comuni, spesso in modo informale e flessibile, scambiandosi informazioni, buone pratiche e risorse. Questo tipo di cooperazione, talvolta definita "diplomazia della società civile", può essere una parte cruciale dell'architettura internazionale. Queste reti internazionali, formali o informali, sono importanti perché consentono a una più ampia gamma di attori di partecipare alla soluzione dei problemi internazionali. Possono anche fornire piattaforme per lo scambio di informazioni, la creazione di consenso e l'attuazione delle politiche a un livello che le organizzazioni intergovernative formali potrebbero non essere in grado di raggiungere. Va sottolineato, tuttavia, che queste reti non sono una panacea. Sebbene possano svolgere un ruolo importante nella risoluzione dei problemi internazionali, non possono sostituire completamente il ruolo degli Stati e delle organizzazioni internazionali formali. Queste entità hanno il potere legale di prendere decisioni vincolanti, applicare regole e adottare sanzioni che vanno al di là di quanto possono fare le reti non governative.
Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria è un ottimo esempio di organizzazione transnazionale che esercita una notevole influenza sulla regolamentazione della finanza internazionale. Fondato nel 1974 dalle banche centrali dei Paesi del G10, il Comitato di Basilea emette raccomandazioni sulla regolamentazione bancaria con l'obiettivo di migliorare la stabilità del sistema finanziario globale. Ha redatto gli Accordi di Basilea, una serie di raccomandazioni sulla regolamentazione bancaria e sugli standard di vigilanza. Sebbene questi standard non siano giuridicamente vincolanti, hanno una notevole influenza in quanto vengono generalmente adottati dalle banche centrali e dalle autorità di regolamentazione nazionali in tutto il mondo. Il Comitato di Basilea ha svolto un ruolo fondamentale nella risposta alla crisi finanziaria globale del 2008. In risposta, ha sviluppato gli standard noti come Basilea III, che hanno inasprito i requisiti patrimoniali e di liquidità delle banche e introdotto nuove norme per migliorare la gestione del rischio bancario. Tuttavia, la partecipazione al Comitato di Basilea è tradizionalmente limitata alle banche centrali dei Paesi sviluppati. Questo ha portato a critiche sulla rappresentatività e sull'equità del Comitato, anche se sono stati fatti sforzi per includere rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo, come la Cina. L'esempio del Comitato di Basilea illustra il ruolo importante che le organizzazioni transnazionali possono svolgere nella regolamentazione delle questioni internazionali, ma anche le sfide che devono affrontare in termini di rappresentatività e legittimità.
Questi standard sono spesso descritti come "soft law", che non hanno la forza giuridica vincolante della "hard law". Tuttavia, pur non essendo giuridicamente vincolanti, questi standard possono esercitare una forte pressione politica e sociale sugli Stati affinché li adottino e li attuino. Questi standard, sviluppati in reti trans-governative come il Comitato di Basilea, possono diventare molto influenti, soprattutto in settori in cui la cooperazione internazionale è essenziale per risolvere problemi comuni. Per esempio, oltre alla regolamentazione finanziaria, possiamo vedere questo tipo di standard anche in settori come l'ambiente, la salute pubblica e le norme sul lavoro. Questi standard informali possono svolgere un ruolo chiave nella regolamentazione internazionale. Ad esempio, possono servire come base per lo sviluppo di trattati internazionali più formali. Inoltre, anche in assenza di un trattato formale, questi standard possono contribuire a creare un consenso internazionale su determinate questioni e a guidare il comportamento degli Stati.
La cooperazione internazionale e le relazioni interstatali si sono evolute ben oltre l'interazione diplomatica formale tra gli Stati. Oggi coinvolgono una moltitudine di attori, tra cui organizzazioni non governative, imprese multinazionali, organizzazioni internazionali e reti politiche transnazionali. Questi attori operano spesso al di fuori dei canali diplomatici formali, ma possono comunque svolgere un ruolo importante nella risoluzione dei problemi globali e nella definizione dell'agenda politica internazionale. È inoltre importante notare l'impatto delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione sulla cooperazione internazionale. Internet e i social media hanno permesso a individui e gruppi di ogni dimensione e posizione geografica di partecipare alle discussioni politiche internazionali. Questo ha portato a una parziale democratizzazione della politica internazionale, con i cittadini comuni in grado di influenzare le decisioni politiche internazionali. In breve, per comprendere la complessità della cooperazione internazionale e delle relazioni interstatali oggi, è fondamentale guardare oltre le tradizionali interazioni diplomatiche e considerare la moltitudine di attori e processi che danno forma al mondo politico internazionale.
Il modo in cui le nuove potenze emergenti si integrano nel sistema internazionale è una questione di importanza cruciale. Questi Paesi non sono semplicemente partecipanti passivi sulla scena internazionale, ma sono sempre più attivi nel definire l'agenda globale. Lo fanno non solo attraverso canali diplomatici formali, ma anche attraverso reti informali trans-governative, dove possono talvolta trovare opportunità di cooperazione più produttive. Queste relazioni trans-governative possono essere più sfumate e complesse delle relazioni diplomatiche formali, poiché coinvolgono una gamma molto più ampia di attori. A volte possono essere più cordiali e produttive, in quanto consentono una forma di dialogo più informale e tecnica. Tuttavia, sono anche spesso frammentate e dipendenti dalla questione specifica o dall'area tecnica in questione. È essenziale capire che gli Stati non sono più rappresentati semplicemente dai loro leader o ministri degli Esteri sulla scena internazionale. Al contrario, agiscono sempre più spesso attraverso le loro sottounità, come ministeri specializzati, agenzie governative e persino attori non statali. Questa tendenza a una partecipazione più decentrata e diversificata alla governance globale riflette la crescente complessità del sistema internazionale e la necessità di un approccio più multidimensionale alla cooperazione internazionale.
Oggi, la conduzione degli affari internazionali va ben oltre gli scambi diplomatici formali. Molti attori all'interno degli Stati - tra cui varie agenzie governative, enti normativi, autorità locali e persino i parlamenti - sono attivamente coinvolti negli affari internazionali. Ad esempio, i parlamenti possono partecipare a forum internazionali, mentre le agenzie governative possono collaborare con le loro controparti straniere su questioni tecniche specifiche. Questo processo di disaggregazione riflette la crescente complessità del mondo moderno. Molti dei problemi che affrontiamo oggi - come il cambiamento climatico, il terrorismo o le pandemie - non possono essere risolti da un singolo Stato che agisce da solo. Al contrario, richiedono una cooperazione transnazionale e coinvolgono una moltitudine di attori. Inoltre, ciò riflette anche la crescente interdipendenza degli Stati nel nostro mondo globalizzato. Le azioni intraprese in un Paese possono avere un impatto significativo su altri Paesi, rendendo necessari il coordinamento e la cooperazione internazionali.
Valutare l'influenza delle organizzazioni non governative (ONG)
Il termine "relazioni transnazionali" o "transnazionalismo" si riferisce alla moltiplicazione e all'intensificazione degli scambi tra attori non governativi attraverso i confini nazionali. Questi attori possono essere imprese multinazionali, ONG, movimenti sociali, reti scientifiche o anche singoli individui. Nel contesto del transnazionalismo, gli Stati non sono più gli unici attori sulla scena internazionale. Gli attori non governativi svolgono un ruolo crescente nella definizione e nell'attuazione delle politiche internazionali. Ad esempio, le ONG possono influenzare le politiche internazionali su questioni come i diritti umani o il cambiamento climatico, facendo pressione sui governi e sulle organizzazioni internazionali, organizzando campagne di sensibilizzazione e fornendo competenze tecniche.
Il transnazionalismo può anche affiancarsi alle tradizionali relazioni interstatali. Ad esempio, le imprese multinazionali possono svolgere attività commerciali al di là dei confini nazionali, pur essendo regolate da accordi commerciali internazionali negoziati tra gli Stati. Allo stesso modo, le ONG possono operare a livello internazionale collaborando con i governi e le organizzazioni internazionali. Ciò significa che la gestione degli affari internazionali è sempre più complessa e richiede la comprensione delle interazioni tra un'ampia varietà di attori a diversi livelli.
La terminologia "ONG" (Organizzazione non governativa) è piuttosto ampia e può comprendere una moltitudine di organizzazioni con obiettivi, strutture e metodi di lavoro diversi. In generale, una ONG è un'organizzazione senza scopo di lucro che opera in modo indipendente dal governo. Le ONG possono essere attive in molti campi, come i diritti umani, l'istruzione, la salute, lo sviluppo sostenibile, ecc. Le Nazioni Unite hanno stabilito una serie di criteri per l'accreditamento delle ONG. Questi criteri sono generalmente legati alla missione, agli obiettivi e alle operazioni dell'organizzazione. Ad esempio, per essere riconosciuta dall'ONU, una ONG deve generalmente :
- avere obiettivi e finalità coerenti con quelli dell'ONU
- operare in modo trasparente e democratico
- avere un impatto su scala nazionale o internazionale
- avere una struttura organizzativa definita
- avere fonti di finanziamento trasparenti
Una volta accreditata, una ONG può partecipare a determinate riunioni dell'ONU, presentare dichiarazioni scritte o orali, partecipare a dibattiti, collaborare con gli Stati membri e altri attori e avere accesso alle informazioni e alle risorse dell'ONU. L'accreditamento di una ONG da parte delle Nazioni Unite non significa necessariamente che l'ONU sostenga o approvi le azioni della ONG. È semplicemente il riconoscimento della capacità della ONG di contribuire ai dibattiti e ai processi delle Nazioni Unite.
La diversità delle organizzazioni che possono ottenere lo status di ONG riflette la complessità e la varietà delle questioni che il mondo deve affrontare. Tra queste vi sono organizzazioni che si concentrano su temi quali lo sviluppo, la salute, l'istruzione, i diritti umani, l'ambiente e così via. Tuttavia, è importante sottolineare che non tutte le organizzazioni elencate, come la Yakuza o la Nestlé, hanno lo status di ONG. La Yakuza, ad esempio, è un'organizzazione criminale e la Nestlé è una multinazionale. Queste entità sono molto diverse dalle tipiche organizzazioni no-profit che costituiscono la maggior parte delle ONG. Le Nazioni Unite hanno una rigorosa procedura di accreditamento per le ONG, che garantisce che le organizzazioni riconosciute come tali siano impegnate in attività conformi agli obiettivi e ai principi dell'ONU. In ogni caso, questa osservazione mette in luce la varietà degli attori sulla scena internazionale, nonché la complessità delle relazioni e delle interazioni tra questi diversi soggetti. Mostra anche l'importanza di queste organizzazioni nel processo decisionale internazionale e il modo in cui possono influenzare le politiche e gli standard su scala globale.
I criteri sopra elencati sono essenziali per garantire che le organizzazioni non governative (ONG) riconosciute dalle Nazioni Unite aderiscano a standard minimi di governance, indipendenza e integrità. Garantiscono inoltre che queste organizzazioni abbiano una missione e degli obiettivi allineati con quelli dell'ONU, consentendo una collaborazione proficua. Inoltre, questi criteri fanno un'importante distinzione tra le ONG e altri tipi di organizzazioni, come le aziende a scopo di lucro e gli enti governativi. Garantiscono inoltre che le ONG siano responsabili e trasparenti nelle loro operazioni, nel rispetto dei principi democratici. Sebbene questi criteri siano utili per l'accreditamento delle Nazioni Unite, non si applicano necessariamente a tutte le ONG del mondo. La definizione e lo status delle ONG possono variare da Paese a Paese, a seconda della legislazione nazionale. In ogni caso, la diversità delle ONG che operano a livello globale, in termini di dimensioni, portata e missione, illustra la complessità e la varietà dei problemi globali che dobbiamo affrontare. Ciascuna ONG svolge un ruolo cruciale apportando le proprie competenze uniche e lavorando su questioni specifiche, contribuendo allo sforzo globale per migliorare la vita delle persone ovunque.
Se partiamo dal presupposto che le organizzazioni non governative (ONG) hanno un'influenza significativa sulla politica internazionale, diventa interessante esaminare le diverse fasi del processo politico in cui queste organizzazioni possono intervenire. Con l'obiettivo di dare risalto a un argomento o di avviare un dibattito su una questione specifica, queste organizzazioni possono agire sia al di fuori che all'interno del quadro politico formale. All'esterno, le ONG possono organizzare eventi o campagne di sensibilizzazione per attirare l'attenzione del pubblico e dei media su una determinata questione. Inoltre, possono impegnarsi in attività educative e informative per ampliare la comprensione del pubblico su questioni specifiche. Nell'ambito della sfera politica, possono ricorrere all'attività di lobbying e alla presentazione di ricerche, studi e rapporti approfonditi ai responsabili politici. Questi sforzi possono contribuire a definire le politiche, influenzare le opinioni dei responsabili politici e orientare le decisioni in una direzione coerente con i loro obiettivi e le loro missioni.
Nella fase di definizione delle politiche e degli standard, l'esperienza delle ONG può svolgere un ruolo chiave nell'influenzare questi processi. Infatti, la Carta delle Nazioni Unite e lo statuto dell'ECOSOC (Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite) offrono alle ONG diverse opportunità di contribuire, sia per iscritto che oralmente. Possono anche partecipare come parte delle delegazioni nazionali, il che significa che i rappresentanti ufficiali delle ONG hanno accesso a quasi tutti i forum e i processi decisionali. È anche comune che le ONG contribuiscano a finanziare le delegazioni nazionali e a sostenere le delegazioni dei Paesi che non hanno i mezzi per partecipare pienamente ai negoziati internazionali. Ciò è particolarmente importante per i Paesi in via di sviluppo, dove i costi di viaggio per partecipare ai negoziati internazionali possono essere proibitivi, per non parlare delle competenze necessarie per partecipare in modo efficace. Di conseguenza, le ONG possono svolgere un ruolo significativo nella fase di sviluppo delle politiche, rafforzando le capacità negoziali delle delegazioni nazionali.
Nella fase decisionale, il ruolo delle ONG si esprime principalmente attraverso l'attività di lobbying. Hanno anche un'influenza indiretta attraverso la loro rappresentanza nelle delegazioni nazionali. Svolgono un ruolo ancora più cruciale nella fase di attuazione delle politiche, in particolare attraverso la redazione di rapporti sulla conformità agli standard internazionali. Molte ONG sono rinomate per la loro esperienza nella redazione di questi rapporti e dispongono di risorse molto specifiche. Ad esempio, Amnesty International, in quanto organizzazione non statale, ha accesso a determinate istituzioni e persone che sarebbero inaccessibili agli Stati. Amnesty International può, ad esempio, ottenere l'autorizzazione a visitare le carceri di Paesi terzi per verificare il rispetto dei diritti umani in termini di condizioni di detenzione e per esaminare in che misura la tortura sia o meno utilizzata in queste istituzioni. Ciò sarebbe impensabile per un altro Stato, come ad esempio una visita a una prigione in Afghanistan, in quanto violerebbe il principio di non ingerenza. Sebbene l'accesso a queste risorse sia sempre negoziato, per gli attori privati è generalmente più facile ottenerle e quindi hanno a disposizione risorse molto specifiche per portare a termine la loro missione.
Il processo di "naming and shaming", spesso utilizzato dalle ONG nei loro sforzi di advocacy, consiste nel denunciare pubblicamente gli Stati o altre entità che violano le norme o gli obblighi internazionali. L'obiettivo di questo approccio è fare pressione sui trasgressori affinché cambino il loro comportamento. Esponendo le loro azioni all'opinione pubblica, l'obiettivo è provocare una vergogna sufficiente a indurre il cambiamento. Prendiamo l'esempio delle violazioni dei diritti umani. Se uno Stato viene costantemente identificato e criticato per il mancato rispetto dei diritti umani, la pressione internazionale e l'attenzione dei media che ne derivano possono costringerlo a rivedere le sue pratiche. Organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch utilizzano spesso questa strategia nel loro lavoro. Tuttavia, l'efficacia di questo metodo dipende in larga misura da una serie di fattori. Ad esempio, uno Stato può essere più sensibile alla vergogna se la sua immagine internazionale è importante per lui. Inoltre, l'impatto di questo approccio dipende anche dal peso dei media e dell'opinione pubblica del Paese interessato. Inoltre, le ONG svolgono un ruolo fondamentale nella valutazione delle pratiche statali. Possono condurre ricerche e indagini indipendenti, fornire rapporti dettagliati sui problemi individuati e monitorare da vicino la conformità degli Stati agli standard internazionali. Ciò contribuisce a mantenere la trasparenza e a ritenere gli Stati responsabili delle loro azioni. In conclusione, il ruolo delle ONG nel "nominare e sminuire" e nella valutazione è fondamentale per sostenere gli standard internazionali. Tuttavia, l'efficacia di questi sforzi dipende da molti fattori, tra cui la sensibilità degli Stati alla loro reputazione internazionale e il peso dei media e dell'opinione pubblica.
Studio di caso: l'accesso delle ONG alle organizzazioni internazionali dal 1950 al 2010 in diversi settori
L'interazione tra organizzazioni internazionali (OI) e organizzazioni non governative (ONG) ha suscitato un notevole interesse nella ricerca sulle relazioni internazionali. Questa interazione si è evoluta nel tempo, sia in termini quantitativi che qualitativi, soprattutto a partire dagli anni Cinquanta. Nei primi decenni dopo il 1950, la maggior parte delle ONG aveva lo status di osservatore presso le OI. Il loro ruolo principale era quello di fornire informazioni e competenze preziose ai governi. In genere venivano consultate su questioni specifiche, ma non avevano potere decisionale. Tuttavia, a partire dagli anni '80 e soprattutto dagli anni '90, le ONG hanno iniziato a svolgere un ruolo molto più attivo nella governance internazionale. Il loro numero è aumentato considerevolmente e hanno iniziato a partecipare in modo più diretto e sostanziale ai processi decisionali delle OI. Oggi, le ONG possono influenzare le OI in diversi modi. Ad esempio, possono contribuire alla formulazione delle politiche fornendo informazioni, analisi e raccomandazioni. Possono anche partecipare allo sviluppo di standard internazionali, proponendo emendamenti o partecipando a gruppi di lavoro. Inoltre, alcune ONG hanno acquisito una notevole competenza tecnica e giuridica, che consente loro di dare un contributo significativo ai negoziati internazionali. Possono anche contribuire a monitorare l'attuazione delle decisioni prese dalle OI, ad esempio segnalando le violazioni degli standard internazionali.
L'articolo di Jonas Tallberg "Governance Problems, Policy Approaches, and Institutional Design" fornisce un'analisi approfondita di come le ONG abbiano ottenuto un accesso crescente alle organizzazioni internazionali (OI) in vari settori politici dal 1950 al 2010.[6] L'articolo fornisce un'interessante panoramica delle tendenze, delle sfide e delle opportunità del coinvolgimento delle ONG nella governance globale. Tallberg osserva che l'accesso delle ONG alle OI è cambiato in modo significativo in questo periodo. Nel 1950, le ONG avevano un accesso molto limitato alle OI. Tuttavia, nel corso del tempo questo accesso si è gradualmente ampliato, sia in termini di numero di ONG coinvolte che di diversità delle aree politiche in cui sono attive. L'articolo esamina anche le sfide e gli ostacoli che le ONG devono affrontare quando cercano di influenzare la politica internazionale. Per esempio, nonostante il loro maggiore accesso, le ONG possono ancora incontrare resistenza da parte degli Stati membri dell'OI, che possono vedere la loro partecipazione come una minaccia alla propria influenza. Infine, Tallberg suggerisce come migliorare in futuro l'accesso delle ONG alle OI. Suggerisce che la struttura istituzionale delle OI potrebbe essere modificata per facilitare una partecipazione più attiva delle ONG. Ad esempio, le OI potrebbero adottare regole più trasparenti e inclusive per la partecipazione delle ONG, o stabilire meccanismi specifici per facilitare il loro coinvolgimento. L'articolo di Tallberg fornisce una preziosa analisi dell'evoluzione del rapporto tra ONG e OI e offre spunti di riflessione per il futuro della governance globale.
Questo grafico è uno strumento utile per visualizzare l'evoluzione del coinvolgimento delle ONG in diversi settori della politica internazionale dal 1950 al 2010. Fornisce una panoramica di come la portata del coinvolgimento delle ONG si sia ampliata nel tempo in vari settori. L'asse orizzontale, che rappresenta la linea temporale dal 1950 al 2010, ci permette di seguire le tendenze nel tempo. L'asse verticale sembra essere diviso in diverse categorie che rappresentano i vari settori politici, dalla sicurezza all'ambiente, dal commercio allo sviluppo. Ad esempio, il settore dello sviluppo potrebbe includere le ONG che lavorano su questioni come la riduzione della povertà, l'istruzione e la salute nei Paesi in via di sviluppo. Il settore ambientale potrebbe includere ONG che si concentrano su questioni come il cambiamento climatico, la conservazione della biodiversità o la sostenibilità. Allo stesso modo, il settore del commercio potrebbe coinvolgere ONG che si occupano di questioni di politica commerciale, mentre il settore della sicurezza potrebbe coinvolgere ONG che si occupano di questioni come il disarmo, la non proliferazione o la risoluzione dei conflitti. Questo grafico fornisce un'utile panoramica di come l'impegno delle ONG in questi diversi settori si sia evoluto nel tempo. Permette di individuare le tendenze principali, come l'aumento dell'impegno delle ONG in alcuni settori o l'emergere di nuove aree di impegno per le ONG nel corso del tempo.
Sono state inoltre conteggiate e analizzate le condizioni di accesso delle ONG a queste organizzazioni, stabilendo un indice che può assumere un valore massimo di 2,5. L'indice, che può raggiungere un valore massimo di 2,5, è uno strumento quantitativo utilizzato per misurare il livello di accesso delle ONG alle diverse organizzazioni internazionali. L'indice può essere determinato in base a vari criteri, come la capacità delle ONG di partecipare a riunioni, presentare documenti, intervenire in riunioni o prendere parte a processi decisionali formali. Un indice più alto significa un accesso più ampio e profondo delle ONG a una determinata organizzazione internazionale, mentre un indice più basso indica un accesso limitato. Analizzando questi indici tra le diverse organizzazioni e i diversi settori politici e su un periodo di tempo, i ricercatori possono identificare le tendenze principali e fare osservazioni preziose sul cambiamento del ruolo delle ONG nella governance internazionale. È importante notare che l'accesso non sempre si traduce in influenza. Se da un lato l'accesso può consentire alle ONG di far sentire la propria voce e di condividere le proprie prospettive e competenze, dall'altro l'impatto effettivo dei loro contributi sulle decisioni politiche può variare a seconda di una serie di fattori, come l'apertura dell'organizzazione alle opinioni delle ONG, la rilevanza e la qualità dei contributi delle ONG e il contesto politico più ampio.
Il coinvolgimento attivo delle organizzazioni non governative (ONG) è particolarmente marcato nel campo dei diritti umani. Queste ONG svolgono un ruolo cruciale nell'evidenziare le violazioni dei diritti umani, nel difendere le vittime e nell'influenzare le politiche e gli standard internazionali. In realtà, la maggiore presenza delle ONG nel campo dei diritti umani può essere spiegata da diversi fattori. In primo luogo, le violazioni dei diritti umani sono spesso il risultato di politiche statali e le ONG possono agire come un importante contrappeso, evidenziando tali abusi e facendo pressione per un cambiamento. In secondo luogo, il campo dei diritti umani ha una portata universale e riguarda tutti gli individui, indipendentemente dalla loro nazionalità o dal loro status. Ciò conferisce alle ONG legittimità e rilevanza a livello globale.
Al contrario, il settore dell'ambiente, sebbene importante, ha visto una minore partecipazione delle ONG alle organizzazioni internazionali. Ciò potrebbe essere dovuto a una serie di ragioni, tra cui la complessità scientifica e tecnica dei problemi ambientali, i conflitti di interesse economico e politico o la difficoltà di conciliare gli interessi e le prospettive dei vari soggetti interessati. Tuttavia, data la crescente urgenza di problemi ambientali come il cambiamento climatico, la deforestazione e la perdita di biodiversità, possiamo aspettarci un maggiore coinvolgimento delle ONG in questo campo in futuro.
Il ruolo delle ONG in campo ambientale è talvolta meno visibile all'interno delle organizzazioni internazionali ufficiali. Le ragioni sono molteplici. In primo luogo, le organizzazioni internazionali con un ampio mandato ambientale sono meno numerose. Il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP), ad esempio, ha un ruolo consultivo piuttosto che normativo. In secondo luogo, le questioni ambientali sono spesso trattate nell'ambito di specifici trattati internazionali, come l'Accordo sul clima di Parigi, piuttosto che attraverso organizzazioni internazionali permanenti. Ciò significa che il ruolo delle ONG può consistere più che altro nell'influenzare la formulazione di questi trattati, nel sostenerne l'attuazione e nel monitorarne il rispetto. In terzo luogo, molte delle questioni ambientali più urgenti sono complesse e richiedono approcci multidisciplinari e multisettoriali. Di conseguenza, le ONG ambientali sono spesso attive in una serie di organizzazioni e forum, da quelli locali a quelli internazionali, e possono collaborare con attori di diversi settori, come le imprese, il mondo accademico e il governo. Infine, le ONG ambientali possono svolgere un ruolo importante anche al di fuori delle strutture formali, ad esempio sensibilizzando l'opinione pubblica, facendo pressione su governi e aziende e lavorando direttamente su progetti di conservazione e sostenibilità sul campo. Sebbene ciò possa non riflettersi nella loro presenza nelle organizzazioni internazionali, non sminuisce in alcun modo l'importanza del loro contributo alla governance ambientale globale.
Conclusione: la trasformazione del sistema internazionale
Per riassumere questa sezione sull'internazionalizzazione e il sistema internazionale, al vertice della piramide ci sono le relazioni intergovernative e diplomatiche formali. Si tratta di interazioni tra rappresentanti di Stati che lavorano per sviluppare il diritto internazionale. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una certa giudiziarizzazione di questi processi, con una crescente enfasi sull'applicazione del diritto e sulla risoluzione dei conflitti attraverso meccanismi giuridici. Al di sotto di questo livello, troviamo una miriade di interazioni transgovernative e transnazionali. Le relazioni transgovernative coinvolgono gli attori statali che agiscono in modo più indipendente, al di fuori dei tradizionali canali diplomatici, mentre le relazioni transnazionali coinvolgono attori non statali, come le organizzazioni non governative e le imprese. Sebbene questi livelli siano presentati in modo gerarchico, non sono isolati l'uno dall'altro, ma piuttosto sono interconnessi e spesso si sovrappongono. Ad esempio, le ONG possono influenzare i negoziati intergovernativi attraverso l'attività di lobbying e la diffusione di informazioni, mentre le decisioni prese a livello intergovernativo possono a loro volta influenzare le attività degli attori transgovernativi e transnazionali. Nel complesso, questa struttura illustra la complessità e la diversità delle interazioni all'interno del moderno sistema internazionale.
Per comprendere appieno il sistema internazionale contemporaneo, è indispensabile non solo concentrarsi sulle relazioni interstatali formali, ma anche prendere in considerazione le relazioni transgovernative e transnazionali. Le relazioni transgovernative si riferiscono alle interazioni tra parti di Stati diversi, spesso a livello di burocrazie, che agiscono in modo più indipendente dai loro leader politici centrali. Ad esempio, i regolatori, i funzionari pubblici o le agenzie governative di diversi Paesi possono collaborare informalmente per risolvere problemi comuni o coordinare le politiche. Allo stesso modo, le relazioni transnazionali si riferiscono alle interazioni tra entità non governative che operano al di là dei confini nazionali, come imprese multinazionali, organizzazioni non governative, gruppi della società civile e persino singoli individui. Entrambi i tipi di relazioni svolgono un ruolo sempre più importante nella governance internazionale e sono spesso coinvolti in settori chiave come gli standard globali, la protezione dell'ambiente, i diritti umani e altro ancora. Per capire come funziona il sistema internazionale contemporaneo, quindi, dobbiamo allargare lo sguardo a queste forme di interazione, oltre che alle tradizionali relazioni tra Stati.
Le tre principali prospettive teoriche sul sistema internazionale
Nel campo delle relazioni internazionali esiste una pluralità di opinioni e teorie sull'effetto dell'internazionalizzazione sul principio della sovranità statale. Queste prospettive cercano di stabilire se questa tendenza globale rappresenti una sfida sostanziale alla sovranità statale tradizionale. Si chiedono anche se stiamo assistendo a una trasformazione in cui la sovranità viene gradualmente condivisa attraverso le istituzioni internazionali, e se questo potrebbe portare all'emergere di una sorta di società globale. Questi punti di vista sono vari e costituiscono la base delle principali nozioni dei tre principali paradigmi teorici delle relazioni internazionali.
Il neorealismo
John Mearsheimer, un importante teorico del neorealismo, ha esplorato a fondo i limiti delle istituzioni internazionali nel suo articolo del 1994, "The False Promise of International Institutions". [7] In questo saggio, Mearsheimer articola la visione neorealista secondo cui le istituzioni internazionali sono essenzialmente strumenti al servizio degli Stati più potenti: "I realisti... riconoscono che gli Stati talvolta operano attraverso le istituzioni. Tuttavia, ritengono che tali regole riflettano i calcoli di interesse personale degli Stati, basati principalmente sulla distribuzione internazionale del potere. Gli Stati più potenti del sistema creano e modellano le istituzioni in modo da poter mantenere la loro quota di potere mondiale, o addirittura aumentarla. In quest'ottica, le istituzioni sono essenzialmente "arene per la rappresentazione dei rapporti di potere"... le istituzioni rispecchiano ampiamente la distribuzione del potere nel sistema". Mearsheimer sottolinea i limiti delle istituzioni internazionali".
Mearsheimer ammette che gli Stati a volte agiscono attraverso le istituzioni. Tuttavia, a suo avviso, queste regole e interazioni riflettono principalmente i calcoli di interesse personale degli Stati, basati in gran parte sulla distribuzione internazionale del potere. In altre parole, gli Stati più potenti creano e modellano le istituzioni internazionali per mantenere, o addirittura aumentare, la loro quota di potere globale. Da questo punto di vista, Mearsheimer vede le istituzioni internazionali essenzialmente come "arene per lo svolgimento delle relazioni di potere". Esse riflettono la distribuzione del potere nel sistema internazionale, piuttosto che essere entità indipendenti in grado di influenzare o regolare efficacemente il comportamento degli Stati. Questa visione offre una critica incisiva all'idea che le istituzioni internazionali possano essere un veicolo di ordine mondiale cooperativo o un mezzo per superare l'anarchia fondamentale del sistema internazionale. Invece, sostiene Mearsheimer, esse sono ampiamente strumentalizzate dagli Stati potenti per promuovere i propri interessi, limitando la loro capacità di agire come fattori di equilibrio o di stabilizzazione nelle relazioni internazionali.
I pensatori realisti, pur accettando l'esistenza delle istituzioni internazionali, ritengono che esse siano soprattutto un riflesso della gerarchia delle potenze mondiali, o della distribuzione del potere tra gli Stati. Queste istituzioni, secondo la prospettiva realista, rimangono in gran parte sotto il controllo degli Stati più potenti, che le sostengono finché servono ai loro interessi. Quando cessano di essere utili, questi Stati potenti possono scegliere di non rispettarle più, perché non esiste una forza internazionale vincolante in grado di assicurarne il rispetto una volta che questi Stati non ne sono più soddisfatti. Quindi, da un punto di vista realista, la rilevanza e l'influenza delle organizzazioni internazionali dipendono dal sostegno delle grandi potenze. D'altra parte, gli Stati dominanti sono in grado di utilizzare queste istituzioni internazionali come leve per imporre determinati standard agli Stati meno potenti. Questi standard sono spesso quelli che favoriscono gli interessi delle potenze dominanti. In questo modo, le istituzioni internazionali possono diventare uno strumento attraverso il quale gli Stati più influenti possono esercitare il loro potere e plasmare il mondo secondo i propri interessi. L'impatto delle organizzazioni internazionali dipende in larga misura dal sostegno delle grandi potenze che le sostengono. Le istituzioni non sono indipendenti, ma piuttosto strumenti alla mercé di Stati influenti, pronti a essere utilizzati per portare avanti le loro agende globali.
È stato osservato che i governi si ritirano da certe discussioni quando non servono ai loro interessi. Prendiamo ad esempio gli Stati Uniti, che hanno scelto di non partecipare al Protocollo di Kyoto. Questa decisione è stata in gran parte dovuta al fatto che i Paesi emergenti non erano vincolati da questo quadro istituzionale. Di conseguenza, gli Stati Uniti hanno previsto gli effetti negativi e i costi che avrebbero dovuto sostenere in caso di partecipazione. Di conseguenza, hanno scelto di non impegnarsi in questo processo. Anche nel caso della Corte penale internazionale (Cpi), gli Stati Uniti hanno espresso la loro opposizione. La loro riluttanza deriva dal rifiuto di sottomettersi a un'entità sovranazionale che potrebbe potenzialmente incriminare cittadini americani per crimini contro l'umanità. Questo è un altro esempio di come gli Stati potenti possano scegliere di non conformarsi alle istituzioni internazionali quando percepiscono che la loro partecipazione potrebbe andare contro i loro interessi nazionali.
La scelta delle grandi potenze di partecipare o meno alle istituzioni internazionali si basa su una valutazione strategica dei propri interessi. Questi interessi possono essere politici, economici o di sicurezza. Questa prospettiva è in linea con il realismo nelle relazioni internazionali, che vede gli Stati come attori razionali che perseguono i propri interessi nazionali in un ambiente anarchico. Ad esempio, un Paese potente può scegliere di partecipare a un'organizzazione internazionale se questo gli consente di esercitare influenza su altri Paesi, di plasmare le regole e le norme internazionali a suo vantaggio o di trarre benefici economici. Allo stesso tempo, tale partecipazione può anche fornire un meccanismo per risolvere le controversie con altri Stati in modo pacifico e strutturato. D'altro canto, se un'istituzione internazionale viene percepita come contraria agli interessi di una grande potenza, quest'ultima può scegliere di non partecipare o addirittura di opporsi. Lo dimostrano gli Stati Uniti, che hanno scelto di non partecipare al Protocollo di Kyoto e di opporsi alla Corte penale internazionale, temendo che queste istituzioni avrebbero danneggiato i loro interessi nazionali. Tuttavia, anche l'astensione o l'opposizione alle istituzioni internazionali può avere conseguenze, soprattutto in termini di immagine internazionale, relazioni diplomatiche o pressioni da parte della comunità internazionale. Le grandi potenze devono quindi soppesare costantemente i vantaggi e gli svantaggi del loro coinvolgimento nelle istituzioni internazionali.
Il liberalismo
Il liberalismo nelle relazioni internazionali si concentra sulla nozione di interdipendenza tra gli Stati e sostiene che questa crescente interdipendenza incoraggia la cooperazione reciprocamente vantaggiosa. Questa cooperazione è vista come razionale e vantaggiosa per tutti gli Stati, in quanto può portare a guadagni reciproci e aiutare a risolvere i problemi transfrontalieri. Ad esempio, nel settore del commercio, una maggiore cooperazione può facilitare il libero scambio, che può stimolare la crescita economica e creare vantaggi per tutti i partecipanti. Allo stesso modo, di fronte alle sfide ambientali come il cambiamento climatico, l'azione collettiva è necessaria per ottenere risultati efficaci, poiché queste sfide non possono essere risolte da un singolo Stato. Inoltre, i liberali sostengono che le istituzioni internazionali svolgono un ruolo chiave nel facilitare questa cooperazione, fornendo un quadro per i negoziati, stabilendo regole e standard di comportamento e aiutando a risolvere le controversie. Pertanto, il liberalismo vede le istituzioni internazionali non come strumenti di potere per gli Stati più forti, ma come attori importanti a sé stanti, in grado di plasmare le relazioni internazionali e di incoraggiare la cooperazione tra gli Stati.
Nonostante la crescente interdipendenza e l'interesse reciproco per la cooperazione, questa non avviene spontaneamente o facilmente. Esistono numerosi ostacoli alla cooperazione, come interessi divergenti, problemi di comunicazione, sfide di coordinamento e il rischio di comportamenti opportunistici o di "free-riding", in cui uno Stato beneficia degli sforzi degli altri senza contribuire in prima persona. È qui che entrano in gioco le istituzioni internazionali. Esse possono aiutare a superare questi ostacoli e a facilitare la cooperazione. Ad esempio, possono fornire un forum per la negoziazione e il dialogo, aiutare a costruire la fiducia tra gli Stati, promuovere la trasparenza e la responsabilità, coordinare l'azione collettiva e mettere in atto meccanismi per risolvere i conflitti e garantire il rispetto degli accordi. In questo modo, le istituzioni internazionali sono viste come strumenti preziosi per facilitare la cooperazione, piuttosto che come semplici strumenti di potere per gli Stati potenti. Secondo la prospettiva liberale, il loro ruolo e la loro influenza nelle relazioni internazionali vanno ben oltre la semplice riflessione sulla distribuzione del potere tra gli Stati.
Il fenomeno descritto viene spesso definito come problema del "free rider". Nel contesto delle relazioni internazionali, si riferisce alla tendenza di uno Stato a beneficiare degli sforzi collettivi senza contribuire equamente. Questo può compromettere il successo dell'azione collettiva, perché se tutti gli Stati agiscono in modo egoistico, il bene comune non viene raggiunto. Le istituzioni internazionali svolgono un ruolo cruciale nel superare questo problema. Stabilendo standard comuni, facilitando il coordinamento e monitorando il rispetto degli obblighi, possono incoraggiare gli Stati a cooperare anziché agire in modo egoistico. Ad esempio, un trattato internazionale può specificare gli obblighi di ciascuno Stato, mentre i meccanismi di monitoraggio e di applicazione possono garantire che ciascuno Stato rispetti i propri impegni. In caso di inadempienza, le istituzioni internazionali possono anche fornire meccanismi di risoluzione delle controversie per risolvere i conflitti. Inoltre, queste istituzioni possono incoraggiare la cooperazione promuovendo la trasparenza e l'informazione. Fornendo informazioni sulle azioni e sulle politiche degli Stati, possono contribuire a creare fiducia e a scoraggiare i comportamenti "free rider".
Per Robert Keohane in "Istituzioni internazionali: due approcci", pubblicato nel 1988, "... Questo programma di ricerca ... presuppone ... razionalità da parte degli attori. Inizia con la premessa che se non ci fossero guadagni potenziali da accordi da catturare nella politica mondiale... non ci sarebbe bisogno di istituzioni internazionali specifiche... Al contrario, se la cooperazione fosse facile ... non ci sarebbe bisogno di istituzioni che facilitino la cooperazione. ... È la combinazione del valore potenziale degli accordi e della difficoltà di realizzarli che rende significativi i regimi internazionali. Per cooperare nella politica mondiale su base più che sporadica, gli esseri umani devono usare le istituzioni.... Anche in assenza di autorità gerarchica, le istituzioni forniscono informazioni (attraverso il monitoraggio) e stabilizzano le aspettative. Possono anche rendere fattibile l'applicazione decentralizzata, ad esempio creando condizioni in cui la reciprocità può operare...".[8]
Robert Keohane sottolinea l'importanza delle istituzioni internazionali nel facilitare la cooperazione tra gli Stati. Egli parte dal presupposto che gli attori siano razionali e vedano il valore potenziale degli accordi internazionali. Tuttavia, riconosce anche che la cooperazione è difficile da raggiungere a causa delle sfide poste dal sistema internazionale anarchico. Per Keohane, le istituzioni internazionali svolgono un ruolo chiave nel superare queste sfide. In primo luogo, forniscono informazioni, in particolare attraverso meccanismi di monitoraggio, che possono aiutare gli Stati a valutare il comportamento degli altri e a sviluppare aspettative stabili. Queste informazioni possono ridurre l'incertezza, promuovere la fiducia e scoraggiare i comportamenti opportunistici. In secondo luogo, le istituzioni internazionali possono facilitare l'applicazione decentrata degli accordi. Ad esempio, possono creare condizioni favorevoli alla reciprocità, un principio chiave della cooperazione internazionale. Secondo questo principio, se uno Stato rispetta i propri impegni, è più probabile che gli altri facciano lo stesso e viceversa. Facilitando la reciprocità, le istituzioni internazionali possono incoraggiare gli Stati a rispettare i propri impegni e a cooperare con maggiore regolarità. Tuttavia, come sottolinea Keohane, il valore e l'efficacia delle istituzioni internazionali dipendono in ultima analisi dalla volontà degli Stati di cooperare e onorare i propri impegni. Sebbene le istituzioni possano facilitare la cooperazione, non possono garantirla.
La prospettiva liberale sottolinea l'importanza delle istituzioni internazionali come facilitatori della cooperazione tra gli Stati. Tale cooperazione può essere difficile da realizzare in un sistema internazionale caratterizzato dall'anarchia, dove nessun potere supremo impone l'ordine. In un simile contesto, gli Stati possono essere riluttanti a cooperare per paura che altri sfruttino i loro sforzi per il proprio tornaconto, un problema noto come "dilemma del prigioniero" nella teoria dei giochi. Le istituzioni internazionali aiutano a superare queste sfide in diversi modi. In primo luogo, possono promuovere la trasparenza diffondendo informazioni sul comportamento degli Stati. Ciò può aiutare gli Stati a valutare la credibilità degli impegni altrui e a prendere decisioni informate sul proprio comportamento. In secondo luogo, le istituzioni internazionali possono contribuire a stabilizzare le aspettative stabilendo norme e regole chiare per il comportamento degli Stati. Ciò può ridurre l'incertezza e promuovere la fiducia, facilitando così la cooperazione. In terzo luogo, le istituzioni internazionali possono facilitare l'attuazione degli accordi, fornendo meccanismi di risoluzione delle controversie e monitorando il rispetto degli impegni. Ciò può scoraggiare comportamenti opportunistici e incoraggiare gli Stati a rispettare gli impegni assunti. Tuttavia, come sottolinea la prospettiva realista, la volontà e l'interesse degli Stati rimangono fattori cruciali per la cooperazione internazionale. Le istituzioni internazionali possono facilitare la cooperazione, ma non possono garantirla. Gli Stati rimangono gli attori principali sulla scena internazionale e il loro comportamento è in gran parte determinato dai loro calcoli di interesse nazionale.
Nel quadro del liberalismo, gli Stati sono percepiti come razionali e orientati al raggiungimento dei propri obiettivi nazionali. In un mondo sempre più interconnesso, i problemi che gli Stati devono affrontare sono spesso transnazionali e richiedono cooperazione e coordinamento internazionale. Le istituzioni internazionali vengono create per facilitare questa cooperazione. Gli Stati aderiscono a queste istituzioni e si conformano ai loro standard non perché costretti da un'autorità superiore, ma perché riconoscono i vantaggi della cooperazione e del rispetto degli standard riconosciuti a livello internazionale. In altre parole, ritengono che il rispetto delle regole di queste istituzioni sia nel loro interesse a lungo termine. Le istituzioni internazionali possono quindi utilizzare diversi meccanismi per incoraggiare la conformità. Ad esempio, possono monitorare le azioni degli Stati membri e rendere pubbliche eventuali violazioni degli standard, che possono avere un impatto sulla reputazione internazionale dello Stato interessato. Inoltre, alcune istituzioni dispongono anche di meccanismi di risoluzione delle controversie per risolvere in modo pacifico e ordinato le controversie tra gli Stati membri. Inoltre, alcune istituzioni possono anche imporre sanzioni agli Stati che violano i loro standard. Tali sanzioni possono essere economiche, diplomatiche o anche militari. Tuttavia, l'efficacia di queste sanzioni dipende in larga misura dalla volontà degli altri Stati membri di applicarle. È importante notare che, sebbene le istituzioni internazionali possano esercitare una certa pressione sugli Stati affinché si conformino agli standard internazionali, la sovranità dello Stato rimane fondamentale. Gli Stati mantengono il diritto di ritirarsi da un'istituzione internazionale se ritengono che l'adesione non sia più nel loro interesse nazionale.
Le istituzioni internazionali svolgono un ruolo cruciale nel plasmare il comportamento degli Stati sulla scena mondiale. Stabilendo norme e regole chiare, queste istituzioni forniscono un quadro di riferimento per gli Stati, guidandone le azioni e le politiche. L'idea di base è che, aderendo a queste istituzioni, gli Stati si impegnano a rispettare determinati standard di condotta. Una volta accettati questi standard, può essere politicamente e socialmente costoso infrangerli. Inoltre, il mancato rispetto di questi standard può comportare sanzioni, che vanno dall'isolamento diplomatico alle sanzioni economiche, creando un incentivo al rispetto. È importante notare, tuttavia, che sebbene le istituzioni internazionali possano esercitare una certa influenza sulle azioni degli Stati, in genere non hanno i mezzi coercitivi per costringere uno Stato ad agire in un certo modo. Il potere di queste istituzioni risiede spesso nella loro capacità di coordinare le azioni degli Stati, di facilitare il dialogo e la cooperazione e di attuare meccanismi di risoluzione delle controversie quando sorgono conflitti. Tuttavia, il potere di queste istituzioni dipende sempre dalla volontà degli Stati membri di rispettare le norme e le regole, poiché queste istituzioni sono, per definizione, entità intergovernative che dipendono dalla cooperazione dei loro membri per funzionare efficacemente.
Il costruttivismo
Il costruttivismo è un altro importante paradigma della teoria delle relazioni internazionali. A differenza del realismo e del liberalismo, che si concentrano rispettivamente sul potere e sull'interdipendenza economica tra gli Stati, il costruttivismo pone particolare enfasi su idee, norme e identità nella politica mondiale. Il costruttivismo si occupa di come gli attori internazionali, compresi gli Stati, percepiscono se stessi e interpretano il mondo che li circonda. Suggerisce che queste percezioni e interpretazioni plasmino poi il comportamento di questi attori. In altre parole, il costruttivismo sostiene che il comportamento degli attori internazionali non è semplicemente dettato da interessi materiali o calcoli di potere, ma è anche influenzato dalle loro convinzioni, valori e identità. Ad esempio, un costruttivista potrebbe esaminare il modo in cui le norme internazionali, come quelle contro l'uso di armi chimiche o nucleari, vengono stabilite e si evolvono nel tempo. Queste norme sono in gran parte costruite dagli stessi attori internazionali e, una volta stabilite, possono influenzare il comportamento di questi ultimi. In questo senso, il costruttivismo offre una prospettiva diversa sul ruolo delle istituzioni internazionali. Invece di vederle semplicemente come arene per la competizione di potere (come il realismo) o come facilitatori della cooperazione economica (come il liberalismo), il costruttivismo vede le istituzioni internazionali come attori importanti nella creazione e nel mantenimento delle norme internazionali. È importante notare che il costruttivismo, come paradigma, non è unificato e comprende una varietà di prospettive e approcci diversi. Ad esempio, alcuni costruttivisti pongono maggiore enfasi sul ruolo delle idee e delle norme, mentre altri si concentrano sul ruolo delle identità e delle culture. Tuttavia, tutti condividono l'idea di base che le strutture sociali e le idee hanno un impatto significativo sul comportamento degli attori internazionali.
Il costruttivismo attribuisce grande importanza alle forze sociali e culturali che trascendono i confini nazionali, il che si adatta bene al fenomeno della globalizzazione. Questo paradigma ritiene che il nostro mondo interconnesso consenta non solo un crescente flusso di beni e servizi, ma anche uno scambio di idee, norme, valori e identità. Secondo i costruttivisti, questi scambi culturali e ideologici possono avere un impatto significativo sulla politica mondiale. Le ONG, ad esempio, sono attori non statali che svolgono un ruolo cruciale nella formazione di norme internazionali e nella promozione di idee su questioni che vanno dai diritti umani ai cambiamenti climatici. Spesso operano al di là dei confini nazionali e possono influenzare le politiche sia a livello nazionale che internazionale. Allo stesso modo, i social media e altri mezzi di comunicazione tradizionali contribuiscono alla rapida diffusione di informazioni, idee e norme attraverso i confini. Possono amplificare le voci dei gruppi emarginati, sensibilizzare l'opinione pubblica e influenzare le decisioni politiche. Il costruttivismo pone l'accento su queste interazioni dinamiche e complesse, sostenendo che la nostra comprensione delle relazioni internazionali è incompleta senza tenere conto di questi fattori sociali e culturali. In breve, questo paradigma evidenzia il modo in cui gli scambi interculturali e le comunicazioni transfrontaliere, accentuati dalla globalizzazione, stanno plasmando il panorama politico globale.
Il costruttivismo attribuisce grande importanza all'aspetto di socializzazione offerto dalle organizzazioni internazionali. Secondo i costruttivisti, queste istituzioni non sono solo arene per negoziare interessi materiali o luoghi di cooperazione basati su calcoli razionali, ma sono anche luoghi di socializzazione in cui gli attori statali e non statali possono influenzare le identità, le norme e i valori degli altri. Essendo membro di un'organizzazione internazionale, uno Stato è spesso in contatto con altri Stati e può quindi essere influenzato dalle loro norme e valori. Ad esempio, aderendo a un'organizzazione internazionale come l'ONU, un Paese può essere incoraggiato a rispettare determinati standard internazionali sui diritti umani o sulla protezione dell'ambiente. Allo stesso modo, un'organizzazione economica internazionale come l'OMC può incoraggiare l'adozione di standard economici e commerciali liberali tra i suoi membri. Questa socializzazione può avvenire anche attraverso l'interazione con altri attori non statali all'interno dell'organizzazione, come le ONG, le imprese multinazionali o i think tank, tutti soggetti che possono svolgere un ruolo nella promozione di determinate norme e valori. Secondo la visione costruttivista, quindi, le organizzazioni internazionali possono avere un effetto profondo e duraturo sul comportamento degli Stati, plasmando le loro identità, interessi e azioni attraverso processi di socializzazione.
La partecipazione a organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, o a loro sotto-organi come il Consiglio per i diritti umani o i negoziati sul clima, può avere un impatto significativo sul modo in cui i decisori percepiscono e rispondono alle questioni globali. All'interno di questi forum, i responsabili politici sono esposti a una varietà di punti di vista e approcci alla risoluzione dei problemi, che talvolta possono mettere in discussione le loro convinzioni e i loro metodi. Questa esposizione alla diversità e alle differenze può favorire una forma di socializzazione, in cui i decisori iniziano a sviluppare una comprensione condivisa dei problemi e ad adottare valori e obiettivi comuni. Ad esempio, nei negoziati sul clima, i politici di diversi Paesi sono riuniti per discutere e negoziare soluzioni ai problemi ambientali globali. Nel tempo, questa interazione continua può portare a una maggiore comprensione e accettazione dei problemi ambientali e della necessità di agire per affrontarli. Allo stesso modo, la partecipazione al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite può portare i decisori politici ad acquisire maggiore familiarità con gli standard internazionali dei diritti umani e a integrare tali standard nelle proprie politiche nazionali. Detto questo, va notato che questo processo di socializzazione non è automatico e può variare in base a molti fattori, tra cui l'apertura dei decisori alle nuove idee, la pressione dei pari all'interno dell'organizzazione e il contesto politico e sociale del loro Paese.
Il cambiamento climatico è un esempio perfetto dell'influenza dei processi costruttivi sulle norme internazionali. Per molto tempo, la questione del riscaldamento globale è stata controversa e le prove dell'impatto dell'attività umana sul clima sono state messe in discussione. Tuttavia, grazie all'impegno costante di scienziati, organizzazioni non governative, cittadini e altri attori non statali, la comprensione e l'accettazione della realtà del cambiamento climatico si sono gradualmente evolute. Questo processo ha comportato strategie di persuasione, campagne di sensibilizzazione, sforzi educativi e una serie di complesse interazioni all'interno di varie istituzioni e piattaforme internazionali. Questi attori hanno utilizzato le piattaforme internazionali, come le conferenze sul clima delle Nazioni Unite, per diffondere informazioni, condividere ricerche e dati e promuovere un discorso sulla necessità di agire per mitigare i cambiamenti climatici. Hanno anche sfruttato queste opportunità per costruire reti e alleanze, influenzare le politiche e fare pressione per l'azione a favore del clima. Nel corso del tempo, questo processo ha contribuito a creare una "comunità di Stati" che condividono una comprensione e una preoccupazione comune per il cambiamento climatico. Questo è un buon esempio di come i processi costruttivisti possano svolgere un ruolo nella formazione delle norme internazionali e nell'influenzare il comportamento degli Stati. Detto questo, è importante notare che il processo non è finito. Nonostante i progressi compiuti, ci sono ancora differenze tra gli Stati sul modo in cui rispondono alla sfida del cambiamento climatico. Inoltre, sebbene la maggiore consapevolezza del problema abbia portato a impegni più forti per la riduzione delle emissioni, resta da vedere in che misura questi impegni saranno rispettati.
Sfide attuali nelle relazioni internazionali
Il mondo sta assistendo a un importante cambiamento nelle dinamiche del potere internazionale con l'emergere di Stati non occidentali sulla scena mondiale. Paesi come la Cina e l'India, con le loro economie in rapida crescita, stanno acquisendo una crescente influenza e stanno ridisegnando i rapporti di forza all'interno delle strutture internazionali esistenti. Si tratta di un fenomeno senza precedenti per una serie di ragioni. Storicamente, il potere nel sistema internazionale è stato dominato dagli Stati occidentali, con istituzioni e norme in gran parte progettate e controllate da loro. L'emergere di potenze non occidentali in questo sistema potrebbe portare a una rivalutazione e a una riforma di queste strutture.
L'ascesa di queste potenze pone anche sfide uniche. Ad esempio, la Cina, in quanto potenza in ascesa, ha un sistema politico che differisce significativamente da quello degli Stati occidentali dominanti. Questo può portare a tensioni e conflitti su questioni di governance globale, diritti umani e commercio. Inoltre, il processo di emergere di queste nuove potenze non è uniforme. Alcuni Paesi, come la Cina, hanno compiuto enormi progressi economici e sono diventati attori di primo piano nell'economia globale, mentre altri, come l'India, nonostante le loro dimensioni e il loro potenziale economico, stanno ancora lottando con sfide interne come la povertà e la disuguaglianza. È chiaro che l'emergere di queste nuove potenze sta trasformando il sistema internazionale. Ciò può offrire opportunità per una maggiore diversità e una rappresentanza più equilibrata nella governance globale. Tuttavia, solleva anche nuove sfide per la cooperazione internazionale e la gestione delle controversie globali.
I dati di Maddison offrono una ricca prospettiva storica sull'evoluzione dell'economia globale negli ultimi due millenni. Quantificando e confrontando il prodotto interno lordo (PIL) di diverse regioni del mondo nel corso della storia, è possibile osservare i cambiamenti nelle tendenze economiche globali e capire come l'equilibrio del potere economico si sia spostato nel tempo. Prendendo come punto di partenza l'epoca romana, ad esempio, possiamo osservare l'ascesa e il declino di diverse potenze economiche. I dati potrebbero mostrare come, in alcuni periodi, l'Impero romano abbia dominato l'economia mondiale, e poi come il centro dell'economia mondiale si sia gradualmente spostato a ovest, verso l'Europa e il Nord America, con la Rivoluzione industriale. Allo stesso modo, i dati di Maddison potrebbero mostrare come, negli ultimi decenni, il centro dell'economia mondiale abbia iniziato a spostarsi verso est, con il rapido emergere delle economie asiatiche. Questa tendenza si riflette chiaramente nell'attuale performance economica di Paesi come la Cina e l'India. Questi dati, se visualizzati in forma grafica, possono aiutare a mettere in prospettiva le fluttuazioni storiche del potere economico globale e ad anticipare le possibili traiettorie future. Si tratta di uno strumento prezioso per comprendere le dinamiche dell'economia globale, sia dal punto di vista storico che prospettico.
L'analisi dei dati storici di Maddison mostra che il centro dell'economia mondiale si trovava vicino al confine tra India e Cina 2.000 anni fa. Sebbene queste due civiltà fossero già all'epoca grandi potenze economiche, la loro influenza non era assoluta, in quanto anche l'Impero romano era una forza economica importante. L'Impero romano, con il suo vasto territorio che abbracciava l'Europa, il Nord Africa e il Medio Oriente, esercitava un notevole potere economico. Le sue attività economiche, compreso il commercio con altre regioni, hanno quindi contribuito a spostare il centro dell'economia mondiale verso ovest. Questa analisi dimostra la dinamica del potere economico globale nel corso della storia. Le principali forze economiche non sono statiche, ma si evolvono in base allo sviluppo delle civiltà, all'innovazione tecnologica, alle risorse disponibili, alle politiche economiche, al commercio internazionale e a molti altri fattori. Le tendenze del passato non sono garanzia di posizioni future, il che rende l'analisi dell'economia globale complessa e affascinante.
L'epoca della Rivoluzione industriale, che va dal 1820 al 1913 circa, ha portato un significativo sconvolgimento nella struttura economica mondiale. Durante questo periodo, le nazioni occidentali realizzarono progressi tecnologici senza precedenti che modificarono radicalmente i loro modi di produzione e, di conseguenza, la loro posizione nell'economia globale. La rivoluzione industriale segnò il passaggio da un'economia basata principalmente sull'agricoltura e sull'artigianato a un'economia caratterizzata da una produzione industriale di massa meccanizzata. L'Occidente, in particolare paesi come la Gran Bretagna, la Germania e gli Stati Uniti, sono stati all'avanguardia in questi cambiamenti, sviluppando, tra l'altro, industrie tessili, siderurgiche, carbonifere e ferroviarie. La modernizzazione che accompagnò questa rivoluzione diede a queste nazioni occidentali un vantaggio significativo in termini di produzione industriale, potere economico e ricchezza globale. Ciò ha comportato un significativo spostamento del centro dell'economia mondiale verso l'Occidente.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la posizione degli Stati Uniti come prima potenza economica mondiale iniziò a consolidarsi. Ciò è stato attribuito principalmente alla sua economia relativamente intatta dopo il conflitto, al suo dominio in molti settori chiave e alla sua capacità di innovare e adattarsi rapidamente alle nuove tecnologie. In Europa, il dopoguerra è stato caratterizzato da un periodo di intensa ricostruzione e dall'istituzione della Comunità economica europea, precursore dell'Unione europea. Queste iniziative hanno contribuito a fare dell'Europa un grande polo economico, spostando il centro del potere economico verso ovest. Tuttavia, con l'introduzione delle riforme economiche in Cina alla fine degli anni '70, il centro del potere economico ha iniziato a spostarsi nuovamente verso est. Queste riforme, che hanno portato a una maggiore apertura economica e a una graduale liberalizzazione del mercato, hanno trasformato la Cina in una grande potenza economica, con una rapida crescita e una crescente influenza sull'economia mondiale. Di conseguenza, il centro dell'economia mondiale, un tempo saldamente ancorato in Occidente, ha iniziato a spostarsi verso est, riflettendo l'emergere di nuove potenze economiche in Asia. Ciò sottolinea la natura dinamica e in continua evoluzione dell'economia globale.
La crescita economica della Cina negli ultimi decenni è stata spettacolare. È uno dei Paesi che cresce più rapidamente al mondo, trasformando un'economia socialista chiusa in un'economia di mercato aperta e dinamica. La crescita degli Stati Uniti, invece, è stata più stabile e riflette la maturità della sua economia. Anche altri mercati emergenti, come India, Brasile e Russia, hanno registrato tassi di crescita relativamente elevati, anche se spesso più volatili. Per quanto riguarda altri Paesi ricchi come l'Europa, l'Australia e il Giappone, la loro crescita economica è stata generalmente più modesta, a causa della maturità delle loro economie e di sfide come l'invecchiamento della popolazione. Tuttavia, questi Paesi rimangono attori importanti nell'economia globale grazie alle loro grandi dimensioni economiche e alla loro influenza politica e culturale.
La Cina ha registrato una crescita economica impressionante a partire dai primi anni 2000, grazie anche alla sua politica di riforme economiche e alla sua crescente integrazione nell'economia globale. Il suo contributo alla crescita globale è stato particolarmente notevole dopo la crisi finanziaria mondiale del 2008, quando la maggior parte delle economie sviluppate è stata colpita duramente, mentre la crescita in Cina è rimasta relativamente robusta. Tuttavia, è importante notare che il potere economico non si traduce direttamente in potere politico o militare sulla scena mondiale. Se da un lato la Cina ha certamente accresciuto la propria influenza, in particolare attraverso iniziative come la Belt and Road Initiative, dall'altro deve affrontare una serie di sfide, come l'invecchiamento della popolazione, le disuguaglianze regionali e le tensioni con altri Paesi. Inoltre, sebbene la Cina abbia superato gli Stati Uniti in termini di PIL a parità di potere d'acquisto, gli Stati Uniti rimangono la più grande economia in termini di PIL nominale e sono ancora in testa in settori quali l'innovazione tecnologica e l'influenza militare. Ciò sottolinea la complessità del concetto di "potere" sulla scena mondiale, che non può essere completamente misurato o confrontato semplicemente in termini di dimensioni economiche.
La Cina, una delle maggiori economie mondiali, ha un impatto considerevole sul commercio globale. La sua posizione di grande importatore significa che le fluttuazioni della sua domanda interna possono avere conseguenze a livello globale, in particolare per i Paesi le cui economie dipendono in larga misura dalle esportazioni verso la Cina. Inoltre, la Cina è anche un importante esportatore, il che significa che le sue decisioni in materia di produzione e politica commerciale possono influenzare i mercati globali di una serie di prodotti e servizi. La posizione della Cina come grande potenza economica le conferisce anche un significativo potere negoziale nelle discussioni sulla politica commerciale internazionale. Ad esempio, può influenzare le regole, gli standard e i regolamenti del commercio mondiale attraverso forum come l'Organizzazione Mondiale del Commercio. Inoltre, in quanto attore economico di primo piano, la Cina ha anche l'opportunità di promuovere i propri interessi economici e politici su scala globale. Tuttavia, il potere economico non si traduce direttamente in influenza politica o militare. Nonostante le sue dimensioni economiche, la Cina deve ancora navigare in un complesso panorama internazionale e affrontare notevoli sfide interne.
Nella teoria realista delle relazioni internazionali, l'aumento del potere economico di uno Stato è spesso visto come un preludio a un aumento del suo potere militare. I realisti partono dal presupposto che in un sistema internazionale anarchico gli Stati sono sempre alla ricerca di potere e sicurezza. Per questo motivo, una crescita economica sostanziale offre i mezzi per investire maggiormente nelle capacità militari e quindi per rafforzare il potere e la sicurezza dello Stato. Per quanto riguarda l'India, la sua rapida crescita economica potrebbe, secondo una logica realistica, portare a un aumento del suo potere militare nel lungo periodo. Tuttavia, questo processo non sarà necessariamente lineare o privo di ostacoli. Ad esempio, l'India deve affrontare sfide significative in termini di sviluppo e disuguaglianza sociale, che potrebbero potenzialmente rallentare la sua crescita economica e, di conseguenza, la sua espansione militare. Tuttavia, la potenza economica non si traduce automaticamente in potenza militare. Anche altri fattori, come le decisioni strategiche, le capacità tecnologiche, la volontà politica e la percezione della minaccia, giocano un ruolo nel determinare la potenza militare di uno Stato. Inoltre, nel contesto odierno, in cui la guerra economica, l'influenza culturale e il soft power sono diventati elementi chiave del gioco internazionale, il potere militare è solo un aspetto del potere complessivo di uno Stato.
La spesa militare della Cina è aumentata in modo significativo negli ultimi anni, riflettendo la sua crescita economica e la sua ambizione di aumentare il suo potere e la sua influenza internazionale. Questo è un aspetto del cosiddetto "realismo offensivo" nelle relazioni internazionali: l'idea che uno Stato che sta guadagnando potere economico cercherà di usarlo per aumentare il proprio potere militare e rafforzare così la propria posizione e sicurezza sulla scena internazionale. È importante notare che l'aumento delle spese militari non implica automaticamente un corrispondente aumento della potenza militare. Entrano in gioco anche le modalità di spesa, la tecnologia disponibile, l'addestramento e l'esperienza delle forze armate e molti altri fattori.
Vale la pena ricordare che il confronto tra le spese militari dei vari Paesi può essere fuorviante a causa delle differenze nel costo del lavoro e di altri fattori. Ad esempio, la stessa somma di denaro potrebbe impiegare più soldati o costruire più attrezzature in Cina che negli Stati Uniti, a causa delle differenze nel costo del lavoro. Tuttavia, la tendenza all'aumento delle spese militari in Cina è un chiaro indicatore delle sue crescenti ambizioni in materia di difesa e sicurezza, sempre più riconosciute dagli altri attori internazionali.
Il realismo, come teoria delle relazioni internazionali, postula che gli Stati siano motivati dal perseguimento dei propri interessi nazionali e che il potere militare ed economico sia la chiave della sicurezza e dell'influenza di uno Stato. Attraverso il prisma realista, il rapido aumento del potere economico e militare della Cina potrebbe essere visto come una potenziale minaccia per gli altri Stati, in particolare per quelli che attualmente detengono il maggior potere nel sistema internazionale, come gli Stati Uniti. Secondo la teoria neorealista, il sistema internazionale è intrinsecamente anarchico, cioè non ha un'autorità superiore che regoli il comportamento degli Stati. In un sistema di questo tipo, gli Stati sarebbero naturalmente sospettosi nei confronti di altri Stati che stanno rapidamente acquisendo potere, perché potrebbero usarlo per minacciare i loro interessi. Gli Stati potenti potrebbero quindi cercare di contrastare l'ascesa della Cina con vari mezzi, come il rafforzamento delle proprie capacità militari, la formazione di alleanze con altri Stati o l'attuazione di politiche volte a limitare l'influenza economica e politica della Cina.
Les Trois Perspectives Théoriques Face aux Défis Actuels
Nous allons désormais essayer d’appliquer ces théories dans le cadre de la montée en puissance de la Chine.
Le Néoréalisme
Le néoréalisme considère que les États sont les acteurs principaux et les plus importants sur la scène internationale. Selon cette vision, les institutions internationales sont souvent créées et formées par les États les plus puissants pour servir leurs propres intérêts. C'est dans ce contexte qu'intervient le concept de "dilemme de sécurité". Le dilemme de sécurité est une situation où les actions prises par un État pour augmenter sa propre sécurité (comme l'augmentation de ses capacités militaires) ont pour effet d'augmenter le sentiment d'insécurité chez d'autres États. Cela peut conduire à une spirale d'escalade, où chaque État se sent obligé de renforcer constamment sa propre sécurité en réponse aux actions des autres.
En ce qui concerne la Chine, certains États pourraient percevoir son augmentation rapide du pouvoir économique et militaire comme une menace pour leur propre sécurité. En réponse à cette perception, ces États pourraient chercher à renforcer leurs propres capacités militaires, ce qui pourrait à son tour conduire la Chine à renforcer davantage ses propres capacités, et ainsi de suite. Selon le néoréalisme, cette dynamique pourrait rendre la coopération internationale plus difficile, car chaque État serait principalement préoccupé par sa propre sécurité plutôt que par la résolution de problèmes communs. Cela pourrait potentiellement limiter l'efficacité des institutions internationales, si elles sont perçues comme servant les intérêts des États les plus puissants plutôt que ceux de la communauté internationale dans son ensemble.
Le néoréalisme affirme que la création et le fonctionnement des institutions internationales reflètent la distribution du pouvoir dans le système international. Ainsi, selon ce point de vue, si un État comme la Chine augmente en puissance, il pourrait chercher à créer ou à influencer des institutions internationales qui reflètent et servent mieux ses propres intérêts. C'est ce que nous pouvons observer avec la création par la Chine d'institutions telles que la Nouvelle Banque de développement (également connue sous le nom de Banque des BRICS) et la Banque asiatique d'investissement pour les infrastructures (AIIB). Ces institutions peuvent être vues comme des tentatives de la part de la Chine de contester le rôle dominant joué par des institutions occidentales telles que la Banque mondiale et le Fonds monétaire international dans la finance et le développement internationaux. De plus, ces institutions peuvent également aider la Chine à promouvoir sa propre vision du développement et des relations internationales. Par exemple, la Nouvelle Banque de développement et l'AIIB mettent l'accent sur le financement des infrastructures, ce qui est en ligne avec l'initiative "Belt and Road" de la Chine visant à développer des infrastructures et des liens commerciaux dans le monde entier. Bien que ces nouvelles institutions puissent contester les institutions existantes, elles ne les remplacent pas nécessairement. Par exemple, de nombreux pays sont membres à la fois de la Banque mondiale et de l'AIIB. De plus, ces nouvelles institutions peuvent également travailler en partenariat avec les institutions existantes dans certains cas. Il s'agit donc d'une évolution de la structure des institutions internationales qui reflète l'évolution de la distribution du pouvoir dans le système international.
Selon la perspective réaliste, la nature anarchique du système international signifie que les États ne peuvent jamais être sûrs des intentions des autres. Les États sont perçus comme étant principalement préoccupés par leur propre sécurité et cherchant à maximiser leur pouvoir relatif. Dans ce contexte, les institutions internationales sont souvent vues comme étant de peu d'utilité pour garantir la sécurité, car elles sont en fin de compte subordonnées aux intérêts et au pouvoir des États souverains. Dans ce contexte, devenir un hégémon, ou la puissance dominante dans le système international, est considéré comme le moyen le plus sûr de garantir sa propre sécurité. L'hégémonie donne à un État le pouvoir de façonner les règles et les normes du système international à son avantage, et réduit la vulnérabilité de cet État aux actions des autres.
La perspective réaliste tend à s'attendre à ce que les grandes puissances soient en concurrence constante pour le pouvoir et l'influence. Selon cette vision, à mesure que la Chine se développe et renforce son pouvoir économique et militaire, elle cherchera probablement à étendre son influence en Asie et à contester la position dominante des États-Unis dans la région. Cela pourrait entraîner une augmentation des tensions entre les États-Unis et la Chine, et potentiellement même un conflit, si les États-Unis cherchent à maintenir leur position de superpuissance mondiale et à contrecarrer l'ascension de la Chine. La doctrine Monroe, énoncée pour la première fois en 1823, affirmait que toute intervention européenne sur le continent américain serait considérée comme un acte d'agression nécessitant une intervention des États-Unis. C'était une déclaration claire de l'intention des États-Unis de devenir la puissance dominante dans l'hémisphère occidental. C'est un exemple classique de réalisme dans la politique étrangère, avec les États-Unis cherchant à maximiser leur propre sécurité et leur influence en limitant l'influence des autres grandes puissances dans leur voisinage immédiat. Aujourd'hui, certains observateurs font valoir que la Chine pourrait chercher à établir une sorte de "doctrine Monroe" en Asie de l'Est, en cherchant à évincer les États-Unis en tant que puissance dominante dans la région et à établir sa propre sphère d'influence. Cela pourrait expliquer certaines des actions de la Chine, comme ses revendications territoriales en mer de Chine méridionale et ses efforts pour isoler Taiwan.
Selon la théorie du réalisme offensif, la structure anarchique du système international oblige les États à chercher le pouvoir et à anticiper le conflit. Dans ce contexte, l'émergence de la Chine en tant que superpuissance mondiale pourrait inévitablement conduire à un conflit avec les États-Unis, car chaque pays cherche à maximiser sa propre sécurité en augmentant sa puissance relative. Selon Mearsheimer, la situation actuelle entre les États-Unis et la Chine est un exemple de ce qu'il appelle le "piège de Thucydide" : lorsque la puissance d'une nation en pleine croissance menace celle d'une puissance établie, le conflit est presque inévitable.
Les réalistes voient les institutions internationales non pas comme des acteurs autonomes ayant leur propre pouvoir, mais plutôt comme des outils au service des États les plus puissants. Selon cette vision, les institutions reflètent l'équilibre du pouvoir mondial et sont utilisées par les grandes puissances pour promouvoir leurs propres intérêts. Dans le contexte actuel, cela signifierait que la Chine pourrait chercher à créer ou à remodeler les institutions internationales pour mieux refléter et promouvoir ses propres intérêts, surtout si elle perçoit que les institutions actuelles sont fortement influencées par les États-Unis ou d'autres puissances occidentales.
Les constructivistes et les libéraux voient les institutions internationales de manière fondamentalement différente des réalistes. Pour les constructivistes et les libéraux, les institutions servent coopérer avec l’autre.
Les libéraux affirment que les institutions internationales jouent un rôle crucial dans la facilitation de la coopération entre les États. Ils soutiennent que, même dans un système international où chaque État poursuit ses propres intérêts, les institutions peuvent aider à surmonter les problèmes de confiance et d'incertitude qui, autrement, pourraient entraver la coopération. Les institutions internationales peuvent servir de forums où les États peuvent négocier des accords, échanger des informations, surveiller le respect des accords et résoudre les différends. Par exemple, l'Organisation mondiale du commerce fournit un cadre pour les négociations commerciales et la résolution des litiges commerciaux. De même, le Protocole de Kyoto et l'Accord de Paris sur le changement climatique ont fourni un cadre pour la coopération internationale en matière d'environnement. Ces institutions peuvent également aider à créer de la transparence et à réduire les incertitudes, en fournissant des informations sur les politiques et les comportements des États. Cela peut aider à surmonter le "dilemme de la sécurité" dans lequel les États peuvent être incités à adopter des politiques agressives par crainte des intentions hostiles des autres.
Les constructivistes voient les institutions internationales comme des espaces où les idées, les normes et les valeurs sont discutées, négociées et contestées. Selon cette perspective, les institutions peuvent influencer les intérêts et les identités des États par le biais de processus de socialisation, de persuasion et de diffusion des normes. Les institutions peuvent donc jouer un rôle actif dans la formation des comportements et des politiques des États, et ne sont pas simplement des outils au service des États les plus puissants. Les libéraux, quant à eux, soutiennent que les institutions internationales peuvent favoriser la coopération en réduisant les incertitudes, en fournissant des informations et en facilitant la résolution des conflits. Pour eux, les institutions peuvent être des acteurs neutres qui facilitent la coopération entre les États, même si elles peuvent aussi être influencées par les États les plus puissants. Les réalistes, en revanche, voient les institutions internationales comme des instruments au service des États les plus puissants. Selon eux, les institutions reflètent la distribution du pouvoir dans le système international et sont utilisées par les États puissants pour promouvoir leurs propres intérêts.
Selon la théorie réaliste, l'influence des États sur les institutions internationales est largement déterminée par leur puissance relative. Les États les plus puissants sont susceptibles de contrôler et de façonner les institutions selon leurs propres intérêts. Si un autre État devient suffisamment puissant, il pourrait être en mesure de prendre le contrôle de certaines institutions ou d'en créer de nouvelles qui reflètent ses propres intérêts. Cela peut conduire à des rivalités institutionnelles, où différentes institutions sont contrôlées par différents États et promeuvent des agendas différents. Par exemple, si la Chine devient de plus en plus influente au niveau mondial, elle pourrait chercher à promouvoir ses intérêts à travers des institutions comme la Banque asiatique d'investissement pour les infrastructures, tandis que les États-Unis et l'Europe continuent à exercer une influence considérable à travers des institutions comme la Banque mondiale et le Fonds monétaire international. Cependant, il est également important de noter que même les États les plus puissants ne peuvent pas contrôler entièrement les institutions internationales. Ces institutions ont leurs propres règles, procédures et normes qui peuvent résister à la manipulation par un seul État. En outre, les institutions internationales ont souvent besoin de la coopération de nombreux États pour fonctionner efficacement, ce qui peut limiter l'ampleur de l'influence qu'un seul État peut exercer.
Les réalistes et les néoréalistes considèrent que les institutions internationales ne sont pas indépendantes et reflètent plutôt la distribution du pouvoir au sein du système international. En d'autres termes, les États les plus puissants, selon cette perspective, sont en mesure de façonner les institutions selon leurs propres intérêts et de les utiliser comme outils pour exercer leur influence. C'est pourquoi, dans le cadre d'une montée en puissance de la Chine, on pourrait s'attendre, selon une perspective réaliste, à ce que la Chine cherche à gagner en influence au sein des institutions existantes ou à en créer de nouvelles qui sont plus alignées sur ses propres intérêts. Cependant, d'autres théories des relations internationales ont des perspectives différentes. Par exemple, les libéraux et les constructivistes tendent à voir les institutions internationales comme des acteurs importants en soi, qui peuvent jouer un rôle dans la facilitation de la coopération entre les États et ont le potentiel de modérer certains comportements agressifs ou conflictuels. Les libéraux, par exemple, croient que les institutions internationales peuvent aider à faciliter la coopération en réduisant l'incertitude et en rendant les engagements plus crédibles. Pour les constructivistes, les institutions peuvent être des lieux importants de socialisation et de formation de l'identité, où les États peuvent être amenés à adopter certaines normes et pratiques internationales.
Le Conseil de sécurité de l'ONU est un bon exemple de comment les institutions internationales peuvent refléter la distribution du pouvoir dans le système international. Pendant la Guerre froide, lorsque le système était clairement bipolaire, avec deux superpuissances (les États-Unis et l'URSS), le Conseil de sécurité était souvent paralysé par des désaccords entre ces deux acteurs. Après la fin de la Guerre froide, le monde est devenu unipolaire avec les États-Unis comme seule superpuissance, et pendant cette période, le Conseil de sécurité de l'ONU a été plus actif. C'est pendant cette période que le Conseil de sécurité a autorisé un certain nombre d'interventions militaires, par exemple en Irak (1991), en Somalie (1992) ou en Libye (2011). Cependant, à mesure que le système international devient de plus en plus multipolaire, avec l'émergence de nouvelles puissances comme la Chine, on observe à nouveau des blocages au sein du Conseil de sécurité. Cela reflète les tensions croissantes entre ces puissances majeures et montre comment les institutions internationales peuvent être influencées par les relations de pouvoir entre les États.
Le Libéralisme
Les libéraux voient les institutions internationales comme des arènes d'information et de communication. Ces institutions, selon eux, peuvent faciliter la coopération en réduisant les incertitudes et en augmentant la transparence entre les États. Les institutions internationales peuvent fournir des informations précieuses qui aident à comprendre les intentions et les actions des autres États. Par exemple, elles peuvent fournir des informations sur les politiques économiques, les dépenses militaires, les engagements en matière de droits de l'homme, etc. Cela peut aider à construire la confiance et à faciliter la coopération entre les États. Les institutions peuvent également aider à résoudre les problèmes de coordination et de coopération en établissant des normes et des règles communes. Par exemple, des institutions comme l'Organisation mondiale du commerce ou le Fonds monétaire international établissent des règles pour le commerce international et la politique économique qui peuvent aider à coordonner les actions des États et à résoudre les conflits. Enfin, les institutions internationales peuvent également jouer un rôle dans le renforcement de la crédibilité des engagements des États. Lorsqu'un État prend un engagement dans le cadre d'une institution internationale, il est plus difficile pour lui de revenir sur cet engagement sans subir de conséquences. Cela peut aider à renforcer la confiance et la coopération entre les États. Dans l'ensemble, les libéraux voient les institutions internationales comme un moyen important de faciliter la coopération et de gérer les relations internationales de manière plus pacifique et stable.
Les libéraux soutiennent que les institutions internationales jouent un rôle crucial dans la réduction de l'incertitude dans les relations internationales. Selon eux, ces institutions peuvent faciliter la coopération en fournissant des informations sur les intentions et les actions des autres États, en établissant des normes de comportement acceptées internationalement, et en offrant des mécanismes pour résoudre les conflits. En fournissant un forum pour la communication et la négociation, les institutions internationales peuvent aider à clarifier les intentions des États, à réduire les malentendus et à minimiser le risque de conflit. De plus, elles peuvent aider à promouvoir la transparence en exigeant des États qu'ils divulguent des informations sur leurs politiques et leurs actions, ce qui peut contribuer à renforcer la confiance et à faciliter la coopération. En outre, en établissant des normes et des règles de comportement, les institutions internationales peuvent aider à stabiliser les attentes et à rendre les comportements des États plus prévisibles. Cela peut également contribuer à renforcer la crédibilité des engagements des États et à faciliter la coopération. Enfin, en offrant des mécanismes pour résoudre les conflits, les institutions internationales peuvent aider à gérer les différends entre les États de manière pacifique. Elles peuvent faciliter le processus de négociation, fournir des mécanismes d'arbitrage et de médiation, et même imposer des sanctions pour non-respect des accords. Ainsi, contrairement à la perspective réaliste de Mearsheimer, la perspective libérale voit un rôle actif et bénéfique pour les institutions internationales dans la gestion des relations internationales.
Du point de vue libéral, les institutions internationales, comme l'Organisation mondiale du commerce (OMC), servent plusieurs fonctions importantes qui peuvent faciliter la coopération entre les États et minimiser les conflits. Elles peuvent servir à :
- Fournir des informations : Les institutions internationales peuvent aider à réduire l'incertitude en fournissant des informations précieuses sur les intentions, les capacités et les actions des autres États. Par exemple, l'OMC exige de ses membres qu'ils publient leurs politiques commerciales, ce qui contribue à rendre ces politiques plus transparentes et prévisibles.
- Établir des règles et des normes : Les institutions internationales jouent un rôle crucial dans l'établissement de règles et de normes de comportement qui sont acceptées par la communauté internationale. Ces règles et normes peuvent aider à stabiliser les attentes, rendre les comportements des États plus prévisibles et minimiser les risques de conflit.
- Faciliter la résolution des différends : Les institutions internationales offrent souvent des mécanismes pour résoudre pacifiquement les différends entre les États. Par exemple, l'OMC dispose d'un mécanisme de règlement des différends qui permet aux États de résoudre leurs différends commerciaux de manière pacifique et ordonnée.
- Promouvoir la coopération : En facilitant la communication et la négociation entre les États, les institutions internationales peuvent aider à promouvoir la coopération sur une variété de questions, du commerce à l'environnement en passant par la sécurité.
En ce sens, même les grandes puissances comme la Chine ont intérêt à participer à ces institutions et à se conformer à leurs règles, car cela peut leur permettre de protéger leurs intérêts, de gérer leurs relations avec d'autres États de manière plus prévisible et stable, et de résoudre pacifiquement les différends.
Les libéraux soutiennent que les institutions internationales peuvent aider à créer des conditions qui facilitent la coopération en clarifiant les règles du jeu, en établissant des normes de comportement, en fournissant des informations précieuses et en aidant à résoudre les différends. En outre, les libéraux croient également que les institutions internationales peuvent influencer le comportement des États en créant des incitations à la coopération et des coûts pour le non-respect des règles. Par exemple, si un État ne respecte pas les règles commerciales de l'OMC, il peut être soumis à des sanctions commerciales. De plus, le non-respect des règles peut endommager la réputation de l'État et nuire à sa crédibilité, ce qui peut le dissuader de violer les règles à l'avenir. Toutefois, contrairement aux constructivistes, les libéraux ne soutiennent pas nécessairement que les institutions internationales peuvent changer fondamentalement les intérêts d'un État. Au lieu de cela, ils se concentrent davantage sur la manière dont les institutions peuvent aider à coordonner les actions des États pour réaliser leurs intérêts existants de manière plus efficace et pacifique. Donc, dans le cadre de l'école de pensée libérale, l'importance des institutions réside dans leur capacité à promouvoir la coopération et à stabiliser les relations internationales, plutôt que dans leur capacité à transformer les intérêts fondamentaux des États.
Examinant la position internationale de la Chine à travers le prisme de la théorie libérale, nous nous trouvons face à un tableau intrigant. La Chine a réussi à s'insérer de manière significative dans le paysage des institutions internationales, malgré le fait qu'elle n'ait pas participé à leur création et qu'elle demeure en dehors de certaines entités clés, comme l'Organisation de Coopération et de Développement Économiques (OCDE). La question centrale ici est de comprendre pourquoi la Chine a choisi d'adhérer à ces institutions, sachant qu'elles sont dominées, pour la plupart, par les États-Unis et d'autres puissances occidentales. La réponse à cette interrogation réside dans les principes fondamentaux du libéralisme, qui soutient que les institutions internationales favorisent la coopération et aident à surmonter les dilemmes de la coopération en réduisant l'incertitude et les coûts de transaction. Ainsi, la Chine a intégré ces institutions non pas parce qu'elle est nécessairement en accord avec leur structure ou leur direction, mais parce qu'elle reconnaît les avantages potentiels de leur participation. Même si ces institutions sont dominées par d'autres puissances, la Chine peut utiliser leur plateforme pour promouvoir ses intérêts, avoir accès à des informations précieuses et participer activement à l'élaboration des règles qui régissent les relations internationales. Un exemple clair de cette stratégie est la participation active de la Chine au Comité de Bâle, une institution internationale dédiée à la supervision bancaire. Malgré l'influence prédominante des banques centrales occidentales, la Banque populaire de Chine collabore activement avec les autres membres pour élaborer des règles communes. Cela lui permet d'anticiper et d'influencer les réglementations financières internationales et d'adapter sa propre politique en conséquence. En somme, du point de vue libéral, l'implication de la Chine dans les institutions internationales n'est pas un signe de conformité aux normes occidentales, mais une stratégie pragmatique visant à naviguer, à influencer et à tirer parti de la gouvernance mondiale.
La théorie libérale offre une vision plus optimiste des relations internationales. Elle considère le conflit non pas comme une fatalité, mais comme un défi que les États peuvent surmonter par le biais de la coopération et du dialogue. Dans cette optique, les institutions internationales jouent un rôle crucial. Elles offrent des espaces où les États peuvent négocier, débattre et chercher des solutions communes à leurs différends. Les règles et les mécanismes de ces institutions aident à structurer ces interactions, à réduire l'incertitude et à faciliter la prise de décision collective. De plus, les institutions internationales créent des réseaux de coopération qui transcendent les frontières. Ces réseaux peuvent comprendre non seulement les États, mais aussi une variété d'autres acteurs, tels que les organisations non gouvernementales, les entreprises multinationales et les institutions financières. Ces réseaux peuvent faciliter le partage d'informations, renforcer la confiance mutuelle et favoriser la coopération sur une gamme de questions, allant du commerce international à la protection de l'environnement. Donc, de la perspective libérale, il est tout à fait possible pour la Chine et les États-Unis, ou tout autre duo de grandes puissances, de gérer leurs différends et de coopérer pour le bien commun. Cela nécessite cependant une volonté politique de chaque côté, ainsi qu'une utilisation efficace des institutions internationales et des mécanismes de coopération.
Le Constructivisme
Les constructivistes croient que les institutions internationales jouent un rôle fondamental non seulement en structurant l'interaction entre les États, mais aussi en façonnant leur identité et leurs intérêts. Selon le constructivisme, les interactions au sein des institutions peuvent changer la manière dont les États se perçoivent eux-mêmes et les autres. Par le biais de dialogues et de négociations, les États peuvent modifier leurs intérêts, apprendre à comprendre les points de vue des autres, et même adopter de nouvelles normes et valeurs. Cette transformation des perceptions et des intérêts peut, à son tour, affecter leur comportement sur la scène internationale. C'est pourquoi, du point de vue constructiviste, la diplomatie et le dialogue sont d'une importance primordiale. En offrant des forums pour le débat et la négociation, les institutions internationales peuvent aider les États à surmonter leurs différends, à forger un consensus, et même à transformer leurs relations de manière positive. Ainsi, le constructivisme offre une vision plus dynamique et évolutive des relations internationales, où le changement est non seulement possible, mais aussi le produit de l'interaction sociale.
L'approche constructiviste offre des outils pour comprendre comment les acteurs mondiaux, tels que Gorbatchev, ont pu changer de perspective et adopter des approches plus libérales. En effet, le constructivisme considère que les normes, les idées, et les croyances peuvent évoluer à travers les interactions et les dialogues. Ainsi, la fin de la Guerre froide, marquée par le rapprochement entre les États-Unis et l'URSS et l'adoption de réformes libérales par cette dernière, peut être interprétée à travers le prisme constructiviste. Cela implique que Gorbatchev, par le biais de diverses interactions au niveau international, a été influencé par les idées libérales et a commencé à les incorporer dans sa propre vision du monde et sa politique. Dans une perspective réaliste ou libérale, ce changement d'orientation politique pourrait être plus difficile à expliquer, étant donné que ces approches mettent l'accent respectivement sur le pouvoir et les bénéfices matériels comme principaux moteurs de la politique internationale. Le constructivisme, en revanche, met en lumière l'importance des idées et des normes partagées dans le façonnement du comportement des acteurs internationaux.
Le constructivisme met l'accent sur le rôle des idées, des valeurs, des normes et des perceptions dans la façon dont nous comprenons et interprétons le monde, y compris la nature des menaces. En ce qui concerne le changement climatique, il est un exemple parfait de la façon dont nos perceptions d'une menace peuvent évoluer avec le temps. Il y a quelques décennies, le changement climatique était largement ignoré ou considéré comme un problème marginal. Cependant, grâce à des années de recherche scientifique, d'activisme et de diplomatie, il est maintenant reconnu comme une menace globale majeure qui nécessite une action collective. Le travail des organisations non gouvernementales (ONG), des experts et des scientifiques a été essentiel pour changer la perception de cette menace. Ces acteurs ont contribué à diffuser des informations, à sensibiliser le public et à exercer des pressions sur les décideurs politiques pour qu'ils prennent au sérieux le problème du changement climatique. Cet exemple illustre le rôle important des idées et des normes dans le façonnement de notre compréhension des menaces et de nos réponses à ces menaces. Selon la perspective constructiviste, nos perceptions de ce qui constitue une menace peuvent être modelées et modifiées par le dialogue, l'interaction et l'échange d'idées.
Le constructivisme insiste sur le fait que la sécurité et les menaces ne sont pas des réalités objectives, mais sont plutôt définies par nos perceptions et notre interprétation de la réalité. Dans le contexte des relations sino-américaines, cela signifie que la manière dont la Chine et les États-Unis perçoivent et interprètent les actions de l'autre peut avoir un impact significatif sur leur relation. Par exemple, si les États-Unis voient l'expansion économique et militaire de la Chine comme une menace à leur hégémonie, ils peuvent adopter des politiques de contrebalancement et de dissuasion. De même, si la Chine perçoit les actions des États-Unis dans la région Asie-Pacifique comme une tentative de contenir sa montée, elle peut adopter une posture plus agressive. Cependant, selon le constructivisme, ces perceptions ne sont pas fixes et peuvent être modifiées par le dialogue, l'échange d'informations et l'interaction. Par exemple, si les États-Unis et la Chine parviennent à se comprendre mutuellement et à construire une confiance mutuelle par le biais de discussions et de négociations, ils peuvent arriver à voir les actions de l'autre d'une manière moins menaçante. Ainsi, le constructivisme nous incite à ne pas prendre pour acquis les perceptions de la sécurité et des menaces, mais à reconnaître qu'elles peuvent être modelées et modifiées par le dialogue et l'interaction.
Le constructivisme soutiendrait que le sens que nous attribuons à un événement, comme la construction par la Chine d'îles artificielles en mer de Chine méridionale, est le résultat de notre interprétation de cet événement et non pas une caractéristique inhérente de l'événement lui-même. Dans le cas de la construction des îles artificielles, par exemple, on peut interpréter cela comme une démarche purement défensive de la part de la Chine, qui chercherait à renforcer sa sécurité en établissant un contrôle plus fort sur son environnement régional. De cette perspective, la construction des îles n'est pas nécessairement une menace pour d'autres pays, à moins qu'ils n'interprètent cela comme une tentative de la Chine d'étendre son influence ou de perturber l'équilibre du pouvoir en Asie. Inversement, si on considère que la Chine cherche à contester le leadership régional des États-Unis ou à revendiquer unilatéralement des territoires contestés, alors la construction des îles pourrait être perçue comme une menace. Il est important de noter que ces interprétations sont construites et façonnées par un éventail de facteurs, y compris les croyances préexistantes, les intérêts stratégiques, l'histoire des relations sino-américaines et les discours politiques en cours. C'est pourquoi une approche constructiviste de la sécurité internationale mettrait l'accent sur la nécessité d'un dialogue et d'une communication ouverte pour démystifier les intentions de chacun et pour minimiser les malentendus et les perceptions erronées de menace.
Dans les théories néoréalistes et libérales, la menace est généralement perçue comme quelque chose de tangible et objectif, souvent liée à l'équilibre des pouvoirs militaires et économiques entre les États. Ainsi, des tanks à la frontière, dans ces cadres théoriques, sont généralement interprétés comme un indicateur clair de menace potentielle. Cependant, la perspective constructiviste insiste sur le fait que la perception de la menace est subjectivement construite et est façonnée par une variété de facteurs, y compris l'histoire, la culture, les normes sociales et le discours politique. Les tanks à la frontière, par exemple, pourraient être interprétés non pas comme une menace imminente, mais comme une mesure défensive ou préventive, en fonction du contexte. Dans cette optique, la perception de la menace n'est pas fixe, mais peut évoluer en fonction de l'évolution des discours et des perceptions collectives. L'ennemi n'est pas une entité figée, mais une construction sociale qui peut changer en fonction des relations et des discours entre les acteurs. C'est ce qui distingue la perspective constructiviste des perspectives néoréalistes et libérales.
La théorie constructiviste souligne l'importance du discours, de la perception et de la construction sociale des relations internationales. Au début de la guerre froide, les États-Unis et l'Union soviétique étaient alliés dans la lutte contre l'Axe pendant la Seconde Guerre mondiale. Cependant, après la guerre, leurs relations ont rapidement dégénéré en une rivalité intense, malgré le fait qu'il n'y ait eu aucun changement majeur dans leurs capacités matérielles respectives. Pour expliquer cela, les constructivistes pointent vers les transformations majeures dans le discours et les perceptions qui ont eu lieu pendant cette période. Les deux pays ont commencé à se percevoir mutuellement comme des menaces idéologiques et sécuritaires, et ces perceptions ont été renforcées par des discours politiques, des récits médiatiques et des représentations culturelles qui ont peint l'autre comme l'ennemi. Ces perceptions et ces discours ont eu des effets réels sur la politique mondiale, alimentant la méfiance et l'hostilité, et finalement conduisant à des décennies de guerre froide. Ainsi, selon le constructivisme, la nature changeante des relations américano-soviétiques ne peut pas être pleinement comprise simplement en termes de pouvoir ou de stratégie, mais doit également tenir compte de ces processus sociaux et discursifs.
Les trois théories, le réalisme, le libéralisme et le constructivisme, abordent la situation sous des angles différents, mettant en évidence différentes facettes des relations internationales. Le réalisme se concentre sur l'aspect de pouvoir et de sécurité, mettant en avant l'idée que l'intérêt national primaire est d'obtenir et de maintenir le pouvoir. Ainsi, la rivalité entre les États-Unis et l'Union soviétique est perçue comme une lutte inévitable pour le pouvoir et l'hégémonie. Le libéralisme, en revanche, met en avant l'idée que la coopération internationale et les institutions peuvent aider à atténuer les conflits et favoriser la paix. Ainsi, les libéraux pourraient expliquer la guerre froide comme un échec à résoudre les divergences d'intérêts par des moyens pacifiques et institutionnels, comme des accords de désarmement. Le constructivisme, cependant, se concentre sur la manière dont les acteurs internationaux construisent et modifient leurs perceptions et leurs discours sur les autres. Ainsi, pour un constructiviste, l'aspect clé de la guerre froide serait la manière dont les États-Unis et l'Union soviétique ont construit l'image de l'autre comme une menace, ce qui a eu des conséquences profondes sur leurs relations et leurs politiques. L’analyse de ces discours offre une vision plus nuancée et plus riche des relations internationales qui peut compléter, voire contester, les perspectives plus traditionnelles du réalisme et du libéralisme.
Du point de vue constructiviste, les perceptions et les identités des acteurs internationaux sont fluides et susceptibles de changer au fil du temps. Cela peut rendre les prédictions difficiles. Néanmoins, cette perspective met également l'accent sur le rôle crucial des institutions dans la structuration des interactions internationales et la définition des normes de comportement. Les institutions internationales, telles que l'ONU, l'UE, l'OMC, et bien d'autres, fournissent des cadres pour la coopération, le dialogue et la résolution des conflits. En promouvant des normes et des valeurs communes, elles peuvent influencer la manière dont les acteurs internationaux se perçoivent et interagissent les uns avec les autres. Par exemple, les institutions peuvent contribuer à renforcer des normes de non-agression et de respect des droits de l'homme, ce qui peut aider à atténuer les perceptions de menace et à promouvoir la paix. De même, elles peuvent aider à favoriser le dialogue et la compréhension mutuelle, ce qui peut faciliter la résolution pacifique des conflits et atténuer les tensions internationales. Donc, bien que les prédictions précises puissent être difficiles à faire du point de vue constructiviste, cette perspective peut encore offrir des insights précieux sur les dynamiques potentielles des relations internationales et le rôle que les institutions peuvent jouer dans leur façonnement.
L'école anglaise du constructivisme, aussi appelée "International Society" ou "English School", a développé le concept de la "protosociété internationale". Ce terme est utilisé pour décrire une phase d'évolution dans les relations internationales où des États commencent à partager certains intérêts et valeurs communes, mais sans nécessairement se constituer en une société internationale complète et pleinement intégrée. Selon les théoriciens de l'école anglaise, l'institutionnalisation croissante des relations internationales et le développement de forums et de processus partagés aident à favoriser cette convergence des perceptions et des intérêts. Les États peuvent commencer à voir certaines questions de manière plus similaire en raison de leur participation continue à ces forums et processus partagés. Ainsi, par exemple, des institutions et des organisations internationales telles que les Nations Unies, l'Organisation mondiale du commerce ou le Fonds monétaire international peuvent jouer un rôle important dans la formation de cette protosociété internationale, en offrant un espace pour le dialogue et la négociation entre États, ainsi qu'en promouvant certaines normes et valeurs communes. Cela étant dit, les théoriciens de l'école anglaise soulignent également que cette protosociété internationale est loin d'être uniforme ou cohérente, et qu'elle est sujette à des tensions et des contradictions. Les différents États peuvent interpréter et appliquer les normes et valeurs partagées de manière différente, et il peut y avoir des conflits entre ces interprétations et applications.
Pour les constructivistes, les organisations non gouvernementales (ONG) jouent un rôle crucial dans la dynamique des relations internationales. Contrairement aux théories libérales et réalistes qui mettent l'accent principalement sur les États comme acteurs principaux, les constructivistes voient une plus grande variété d'acteurs sur la scène internationale, y compris les ONG, les mouvements sociaux, les organisations internationales et d'autres acteurs non étatiques. Les constructivistes mettent en avant l'idée que les ONG ont le pouvoir d'influencer le discours international, de former l'opinion publique, et de changer les perceptions et les croyances à travers des campagnes de sensibilisation, du plaidoyer et d'autres activités. Cela leur permet d'influencer la politique et les décisions prises par les États. Par exemple, une ONG qui travaille sur les questions environnementales peut contribuer à faire du changement climatique une question centrale de l'agenda politique international en mettant en évidence les risques associés et en poussant pour des politiques plus durables. De la même manière, une ONG travaillant sur les droits de l'homme peut aider à mettre en évidence les abus des droits de l'homme dans certaines régions du monde, influencer l'opinion publique et pousser les États à prendre des mesures pour résoudre ces problèmes. Il est important de noter que, bien que les ONG puissent jouer un rôle important dans la formation du discours et des perceptions, elles n'ont pas le pouvoir formel de prendre des décisions sur la politique internationale, ce pouvoir restant principalement entre les mains des États. Cependant, leur influence sur les idées, les normes et les perceptions peut avoir un impact significatif sur la façon dont les États et d'autres acteurs internationaux agissent.
Étude de Cas : Les Enjeux autour de la Mer de Chine Méridionale
Dans une perspective néoréaliste, l'extension de la présence de la Chine en mer de Chine méridionale par la construction d'îles artificielles pourrait être vue comme une démarche stratégique pour accroître sa puissance et son influence régionale. En effet, les néoréalistes partent du principe que les États agissent principalement en fonction de leurs intérêts de sécurité et de puissance dans un système international anarchique. En construisant ces îles, la Chine est perçue comme cherchant à étendre son influence et à sécuriser ses revendications territoriales dans une région stratégiquement importante. C'est une démonstration de sa puissance et une tentative d'affirmer sa souveraineté sur une zone contestée qui est riche en ressources et qui est une voie de navigation clé pour le commerce international. Cela pourrait également être perçu comme une tentative de la Chine de contester la présence et l'influence des États-Unis dans la région, un peu à la manière de la Doctrine Monroe des États-Unis au 19ème siècle, qui affirmait la domination américaine sur l'hémisphère occidental. Enfin, du point de vue néoréaliste, la Chine pourrait être perçue comme utilisant ces îles artificielles comme un outil de dissuasion ou comme un moyen de projeter sa puissance militaire, renforçant ainsi sa position stratégique dans la région.
Dans une perspective libérale, le différend en mer de Chine méridionale peut être considéré sous l'angle des normes internationales et des institutions qui régissent le droit de la mer. L'un de ces cadres est la Convention des Nations Unies sur le droit de la mer (UNCLOS). Cette convention, souvent décrite comme une "constitution pour les océans", définit les droits et responsabilités des nations en ce qui concerne l'utilisation des océans du monde, en établissant des directives pour les entreprises, l'environnement et la gestion des ressources marines. En 2016, la Cour permanente d'arbitrage de La Haye a rendu une décision dans une affaire portée par les Philippines contre la Chine, affirmant que la revendication expansive de la Chine sur la mer de Chine méridionale était contraire à l'UNCLOS. Cependant, la Chine a rejeté la décision, affirmant qu'elle n'a pas de force juridique contraignante. Cela souligne l'un des défis des approches libérales : la dépendance à l'égard de la volonté des États d'adhérer aux normes internationales et d'accepter la juridiction des institutions internationales. En outre, l'absence de ratification de l'UNCLOS par les États-Unis, qui sont une puissance maritime majeure, peut également entraver l'efficacité de ces institutions en créant des incohérences dans leur application et leur respect. Néanmoins, les libéraux soutiennent que ces problèmes ne démontrent pas nécessairement l'échec des institutions internationales, mais plutôt la nécessité de leur amélioration et de leur renforcement. Ils soulignent également le rôle que ces institutions peuvent jouer dans la facilitation du dialogue, la résolution des conflits et la promotion de la coopération entre les États.
Dans une perspective libérale, les conflits comme le cyberespionnage entre les États-Unis et la Chine peuvent être résolus par la coopération et le dialogue institutionnalisé. Récemment, un accord a été trouvé pour créer un groupe de travail transgouvernemental pour faciliter la communication entre ces deux puissances. Le but est de favoriser une meilleure compréhension des intentions de chaque partie et de prévenir les malentendus qui pourraient conduire à des tensions. Ces arrangements institutionnels peuvent aider à construire la confiance et à stabiliser les relations en fournissant des mécanismes pour l'échange d'informations et la résolution des différends. Ils peuvent également définir des règles communes et normes de comportement acceptables dans des domaines émergents tels que le cyberespace, où le manque de clarté sur les attentes et les responsabilités peut mener à des conflits. Cependant, l'efficacité de ces mécanismes dépend de la volonté des parties concernées de s'engager de bonne foi et de respecter les accords conclus. C'est ici que les libéraux voient le rôle crucial des institutions internationales : en tant que gardiens de la règle de droit internationale, en facilitant la coopération et en fournissant un forum pour le règlement pacifique des différends.
Du point de vue constructiviste, la perception d'une menace ou non dépend beaucoup de la façon dont elle est construite discursivement. Dans le cas des îles artificielles en mer de Chine méridionale, les États-Unis peuvent choisir d'interpréter les actions de la Chine comme une menace à leur présence en Asie, ou comme un problème régional que l'Association des nations de l'Asie du Sud-Est (ASEAN) pourrait gérer. Selon cette approche, ces deux interprétations différentes peuvent mener à des conséquences très différentes en termes de relations internationales. Si les États-Unis considèrent l'action de la Chine comme une menace, cela pourrait conduire à une escalade des tensions entre les deux pays. D'un autre côté, s'ils voient cela comme un problème régional qui peut être géré par l'ASEAN, cela pourrait conduire à une solution plus pacifique et coopérative au conflit. C'est pourquoi, du point de vue constructiviste, le discours - la façon dont les situations sont décrites et interprétées - est si important. Il ne s'agit pas seulement de comprendre les actions des autres États, mais aussi de comprendre comment ces actions sont perçues et interprétées, et comment ces perceptions et interprétations peuvent influencer le comportement d'un État.
Sous l'angle réaliste, la lutte contre le changement climatique peut être perçue comme un dilemme de type "prisonnier". Dans ce scénario, chaque pays a un intérêt personnel à continuer à émettre des gaz à effet de serre pour soutenir sa croissance économique, tout en espérant que les autres pays réduiront leurs émissions pour résoudre le problème du changement climatique. C'est ce que l'on appelle le problème du "passager clandestin" : chaque pays a intérêt à laisser les autres pays supporter les coûts de la réduction des émissions, tout en bénéficiant des avantages de ces réductions. Si tous les pays agissent de cette manière, le résultat est un échec collectif à résoudre le problème du changement climatique. Pour la Chine, en tant que plus grand émetteur de CO2, la décision de réduire ou non ses émissions a des implications importantes pour le régime international de lutte contre le changement climatique. Si la Chine choisit de ne pas réduire ses émissions, elle pourrait bénéficier économiquement à court terme, mais cela pourrait compromettre les efforts mondiaux de lutte contre le changement climatique à long terme. C'est là que le rôle des institutions internationales, comme l'accord de Paris sur le climat, peut être crucial. Elles peuvent aider à coordonner les actions des différents pays et à établir des règles et des mécanismes pour inciter les pays à réduire leurs émissions, afin de surmonter le problème du "passager clandestin".
Depuis la perspective réaliste, l'écologie et, en particulier, le changement climatique, s'avèrent être des problématiques complexes à aborder. Néanmoins, si nous adoptons des approches libérales ou constructivistes, l'espoir de trouver des solutions s'illumine. Par exemple, les négociations de Paris fournissent un cadre institutionnel adéquat pour le partage d'idées. La finance est également un sujet majeur. En particulier, la tentative de la Chine d'internationaliser sa monnaie pourrait être interprétée comme un défi au dollar, qui occupe une position centrale dans l'économie mondiale. En ce qui concerne les investissements, ils peuvent être envisagés de la même manière. Chacun de ces sujets peut être éclairé en utilisant les lentilles des trois théories principales des relations internationales : réaliste, libérale et constructiviste. Ces différentes perspectives peuvent aider à mieux comprendre les dynamiques complexes à l'œuvre dans ces domaines clés.
Voici comment ces trois théories pourraient analyser certains de ces sujets :
- Changement climatique :
- Réaliste : Le changement climatique pourrait être considéré comme un problème de sécurité à part entière, avec des pays qui cherchent à minimiser leurs propres coûts économiques tout en maximisant les bénéfices.
- Libéral : Les accords internationaux comme l'Accord de Paris sont nécessaires pour faciliter la coopération et résoudre le problème du changement climatique. Ils peuvent créer un environnement dans lequel les États sont incités à coopérer pour résoudre un problème commun.
- Constructiviste : Les États, les ONG et les institutions internationales peuvent jouer un rôle dans la construction sociale du changement climatique en tant que problème mondial qui nécessite une action collective.
- L'internationalisation de la monnaie chinoise :
- Réaliste : La Chine pourrait chercher à internationaliser sa monnaie pour augmenter sa puissance relative sur la scène internationale, en défiant la domination du dollar américain.
- Libéral : L'internationalisation de la monnaie chinoise pourrait être facilitée par des institutions internationales telles que le FMI. Cela pourrait créer un système plus diversifié et stable sur le plan monétaire.
- Constructiviste : L'internationalisation de la monnaie chinoise pourrait être perçue comme une menace ou une opportunité en fonction de la manière dont elle est discursivement construite par les acteurs internationaux.
- Investissements :
- Réaliste : Les investissements pourraient être vus comme un moyen d'accroître la puissance et l'influence d'un État.
- Libéral : Les institutions internationales peuvent faciliter les investissements en créant un environnement stable et prévisible, et en réglementant les conflits.
- Constructiviste : Les investissements peuvent être considérés comme une forme de soft power, façonnant les relations internationales par le biais de la diffusion d'idées et de valeurs culturelles.
Chaque théorie offre une perspective unique qui peut enrichir notre compréhension de ces questions complexes. la complexité des phénomènes internationaux fait qu'aucune théorie ne peut prétendre à une compréhension complète et univoque. Chaque perspective – réaliste, libérale ou constructiviste – apporte son propre éclairage, révèle certaines dynamiques tout en laissant d'autres dans l'ombre. L'utilisation de plusieurs théories peut donc aider à construire une compréhension plus riche et nuancée d'un phénomène donné. Il est également crucial de reconnaître que chaque théorie a ses propres limites et qu'il existe toujours des aspects d'un problème ou d'un phénomène qui peuvent rester inexpliqués ou mal compris, même avec l'application de plusieurs perspectives. L'interdisciplinarité est donc essentielle pour comprendre pleinement la complexité des relations internationales et de la politique mondiale. Il s'agit de combiner diverses approches théoriques, méthodologiques et disciplinaires pour offrir une vue d'ensemble plus complète et plus nuancée des enjeux mondiaux.
Nous assistons actuellement à une transformation en cours de l'ordre international, caractérisée par un mélange d'intégration et de désintégration. D'une part, la Chine se positionne de plus en plus au sein du système international existant, comme en témoigne son adhésion à de nombreuses institutions internationales. Cela démontre une volonté d'intégration et d'adhésion aux normes et règles mondiales établies. D'autre part, la Chine crée de nouvelles institutions, comme l'Initiative Belt and Road et la Banque asiatique d'investissement pour l'infrastructure, ce qui pourrait être interprété comme un signe de désintégration ou, du moins, de remise en question de l'ordre international existant. Il est important de souligner que ce processus est en cours et que l'impact à long terme de ces développements est encore incertain. Le parallélisme de ces tendances d'intégration et de désintégration révèle la complexité de la dynamique mondiale actuelle, ainsi que l'équilibre délicat entre la coopération et la compétition sur la scène internationale. Il souligne aussi l'importance de surveiller de près ces évolutions pour comprendre les transformations futures de l'ordre mondial.
Le choix de la théorie à utiliser dépend souvent de la question spécifique que l'on cherche à comprendre. Chaque théorie des relations internationales possède sa propre lentille, mettant l'accent sur différents facteurs et mécanismes, et peut donc offrir une explication plus convaincante pour certains phénomènes par rapport à d'autres. Par exemple, si l'on s'intéresse à la question de la montée en puissance de la Chine et de ses implications pour la sécurité régionale, le néoréalisme avec son accent sur l'équilibre des pouvoirs pourrait fournir une perspective particulièrement utile. Si, en revanche, on examine les efforts internationaux pour lutter contre le changement climatique, une approche libérale qui souligne l'importance de la coopération internationale et des institutions pourrait être plus éclairante. Enfin, si l'on s'intéresse à la manière dont les normes internationales évoluent et sont interprétées, le constructivisme, qui met l'accent sur les idées, les discours et les normes sociales, pourrait offrir des insights précieux. Il est donc essentiel de choisir la théorie la plus pertinente en fonction de la question spécifique à laquelle on s'intéresse. Cependant, il peut aussi être utile de prendre en compte plusieurs perspectives pour obtenir une compréhension plus complète et nuancée des problèmes complexes et multidimensionnels qui caractérisent les relations internationales.
Appendici
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