Gli Stati Uniti e il Nuovo Ordine Internazionale

De Baripedia


Come pensano gli Stati al mondo e come si inserisce il terrorismo in questo spazio? Gli anni di Clinton sono una posizione che riporta gli Stati Uniti sul loro territorio e spiega perché non ha capito cosa è successo prima dell' 11 settembre e perché non capiscono perché la violenza sta tornando a casa.

Fino alla fine degli anni' 80, il terrorismo e l' antiterrorismo riguardavano principalmente gli Stati nazionali, le principali istituzioni di governance globale come le Nazioni Unite e le organizzazioni regionali come l' Unione europea.

Per comprendere l' evoluzione del terrorismo negli anni Novanta e 2000 e le nuove forme di antiterrorismo, dobbiamo tornare all' evoluzione delle relazioni internazionali in questo periodo. Paradossalmente, l' epicentro è uno spazio di estrema libertà che si realizza con la caduta del muro di Berlino.

Concettualizzare il concetto di ordine internazionale

9 Novembre 1989 a Berlino - Fonte: Washington Post, 12/11/1989 gallery.pictopia.com

Il grande evento autorizzativo è stato la caduta del muro di Berlino e il crollo dell' URSS. L' attuale sistema internazionale nato dalla guerra fredda. Il terrore ha prodotto un equilibrio, cioè un paese che ha la bomba atomica è una superpotenza, ma quando due hanno la bomba atomica l' equilibrio di potere cambierà.

La prima mette in discussione i principi fondamentali delle relazioni internazionali e anche l' equilibrio tra le grandi potenze della guerra fredda. La fine di un mondo bipolare, assicurato dalle relazioni tra l' URSS e gli Stati Uniti, porterà a un mondo molto più complicato da leggere. Appariranno nuovi concetti che mostreranno le evoluzioni di questo mondo. È l' emergere di un mondo più complesso con nuovi concetti e nuove rivalità:

  • multilateralismo;
  • unilateralismo;
  • sbilanciamento di potenza;
  • nuove rivalità che riflettono i cambiamenti nelle relazioni internazionali tra le potenze.

C' è un paradosso assoluto dove il terrore nucleare aveva stabilito un equilibrio paradossale. Con questo cambiamento dell' ordine internazionale, si perde un paradossale equilibrio legato al terrore nucleare.

Il concetto di ordine internazionale

"Ordine" e "internazionale" sono due parole adiacenti che testimoniano il fatto che il campo degli scambi tra poteri rientra in un ambito organizzativo. Si tratta di un discorso costruito, l' ordine internazionale è un concetto eccessivamente importante per cercare di definire la natura della costruzione di un "ordine" in opposizione al "disordine". Ordine significa che qualcosa costruito, c' è la costruzione. Siamo dalla parte della pace e non dal lato del disordine, questo concetto si riferisce alla capacità di stare insieme e di vivere nella società. La società dice che è come un ordine. Questa costruzione funzionerà secondo regole e pratiche comuni.

Quando parliamo di relazioni internazionali, possiamo contrapporre "ordine internazionale" con "relazioni internazionali". Un ordine internazionale è un sistema di regole, norme organizzative, usanze, costumi, costumi e un sistema di valori intelligibile. Le relazioni internazionali non pregiudicano la creazione o meno di un ordine.

Il campo delle relazioni internazionali può essere pensato solo in termini di oggetto scientifico e in termini analitici tra ordine e disordine. La società è vissuta come un ordine[o ordini] e funzioni da regole, costumi e costumi.

In termini di relazioni internazionali, Michel Girard, specialista delle relazioni internazionali, definisce l' ordine internazionale come "l' insieme dei principi di un' organizzazione intelligibile che governa o deve governare le relazioni tra le nazioni".

Le relazioni internazionali si basano quindi su due nozioni fondamentali:

  • Ordine: si riferisce ai concetti di regole, norme, organizzazione, intelligibilità delle relazioni, è un fondamento di valori comuni condivisi;
  • disordine: si riferisce alla rottura, all' impossibilità di concordare valori comuni.

E' importante distinguere il sistema dalle relazioni internazionali di ordine internazionale:

  • il sistema delle relazioni internazionali è un campo aperto, uno spazio fatto di interazioni tra Stati in cui le interazioni costituiscono un sistema;
  • l' ordine internazionale implica una gestione organizzata e razionalizzata del comportamento degli Stati in cui un ordine prevale su un altro.

Vi è quindi implicitamente la nozione di rapporti di potere. Affinché possa emergere un ordine internazionale, ci devono essere persone potenti, attori più forti degli altri, se necessario, che impongano il loro ordine.

L' ordine internazionale si oppone ad altre parole come "anarchia","autoregolamentazione" e il concetto di guerra, che contiene l' idea della fine delle regole. Questa nozione comprende anche la nozione di stabilità, anche se essa è costituita dalle relazioni di potere. L' ordine internazionale si oppone ad una visione naturalistica delle relazioni tra i poteri, cioè all' idea di un "equilibrio naturale" tra le nazioni.

Nel concetto di ordine internazionale, ci può essere implicitamente una costruzione dell' ordine che suggerisce rapporti di potere. Dietro queste parole, la modalità di processo è diversa. Si ipotizza che l' ordine internazionale eviterà la guerra e produrrà stabilità a vantaggio di tutti in misura maggiore o minore.

Esistono diverse possibili concezioni dell'"ordine internazionale".

Esistono diverse possibili concezioni dell' ordine internazionale". L'"ordine" può essere raggiunto in modi diversi e in relazioni diverse.

Jacques Chirac e Gaston Flosse il 28 luglio 2003 a Bora-Bora (Philippe Wojazer/Reuters)

Per capire questo, prendiamo ad esempio il caso di Jacques Chirac, che ha visitato la Polinesia nel 2003: "Sono convinto che l' organizzazione del mondo non possa che essere multipolare e basata solo sul multilateralismo. Contro il caos politico che deriverebbe dal cieco gioco delle rivalità internazionali, la Francia sta lavorando per costruire un mondo multipolare ". L' ordine internazionale proviene da un mondo multipolare.

L' idea implicita è quella di combattere un mondo di relazioni di potere e il dominio di alcuni sulla maggioranza. Il multilateralismo come possibile ordine di relazioni internazionali. Per la Francia, la stabilità deriverà dalla creazione di "diversi poli di stabilità" che costruiranno un sistema stabile. La posizione francese non può essere condivisa da tutti i paesi. Esistono quindi diverse possibili concezioni del concetto di ordine internazionale.

Prima di definire i loro contorni, guardiamo a ciò che unifica e riunisce le concezioni dell' ordine internazionale. L' ordine è una costruzione politica e fa riferimento alla nozione di stabilità. Qualsiasi teoria dell' ordine internazionale sfida lo stato della natura. La natura si trova sul fianco dell' anarchia, che può quindi essere assimilata ad uno stato di guerra. Lo stato di guerra è quindi il primo e non può essere il fondamento dell' ordine internazionale.

Pensatori di guerra come stato della natura

Per Thomas Hobbes [1588-1679],"La guerra non riguarda solo la battaglia e il combattimento reale, ma anche il tempo e lo spazio in cui la volontà di combattersi in battaglie è sufficientemente forte. La guerra è un disordine interno ed esterno, uno stato di natura contrapposto allo stato civile. Hobbes ritiene che lo stato della natura sia anarchico.

Per Jean-Jacques Rousseau [1712-1778],"Chiamo guerra del potere per alimentare l' effetto di una disposizione reciproca, costante e manifesta per distruggere lo stato nemico o indebolirlo almeno da tutti gli effetti possibili. Questa disposizione ridotta in atto è la guerra stessa. Finché non avrà alcun effetto, sarà solo uno stato di guerra. A mio parere, lo stato di guerra è naturale tra i poteri.

La guerra sarebbe quindi di tutti i tempi, di tutte le culture, una sorta di stato naturale alla condizione umana.

Obiettivo: Come ridurre le guerre? E con quali mezzi?

Lo scopo primario della costruzione dell' ordine internazionale è quello di evitare la guerra. Le ipotesi sono di porre fine al desiderio di combattere e porre fine allo stato di anarchia. Soluzioni? La soluzione di Kant di un governo mondiale è la più interessante, ma probabilmente la più difficile da implementare.

Diversi tipi di posizioni affronteranno la questione della creazione di un governo mondiale.

Per Kenneth Walz (1924 - 2013), professore di scienziato politico in Colombia,"La guerra esiste perché nulla la impedisce. Quindi è vero che con un governo internazionale non ci sarebbero più guerre internazionali. Tuttavia, tuttavia, una soluzione di questo tipo che sia logicamente irrefutabile è praticamente impossibile. I concetti kantiani di pace internazionale devono essere ripresi nuovamente, ma questo progetto non è fattibile.

Ma come procedere dopo? Quali sono i rischi della tregua?

Attraverso la questione della riduzione della guerra sono possibili diverse interpretazioni di ciò che costituisce l' ordine internazionale. Possiamo proporre una tregua? (Principio della Scuola Realistica o neo-realista). Waltz ritiene che non si possa separarsi dalla guerra, la creazione di un ordine internazionale non può derivare da grandi istituzioni, ma dall' atteggiamento e dalla difesa, questo è quello che lui chiama l' auto-aiuto. In primo luogo, ognuno deve fare affidamento sulle proprie forze per difendersi e agire. L' ordine internazionale non sarà creato da una grande infrastruttura di governance globale, ma dal fatto che gli Stati devono aiutare se stessi e costruire le proprie strutture per proteggersi e agire.

Per coloro che sono realistici, la tregua è una questione di costituzione dell' ordine internazionale:"L' ordine internazionale può essere definito come un sistema internazionale temporaneamente protetto da una guerra generale". Secondo Waltz, l' elemento essenziale è l' auto-aiuto, cioè ogni persona può contare solo sulle proprie forze per difendersi e agire.

Come possiamo procedere affinché questo ordine internazionale possa esistere e durare?

  • riportare indietro lo stato della natura;
  • spingere indietro lo stato di guerra latente;
  • limitare ed evitare le guerre.

Questa teoria include il divorzio, che sta nell' interpretazione e nella differenza tra "ottenere" l' ordine internazionale e "mantenere" l' ordine internazionale:

  • ottenere: mediante un equilibrio tra i poteri. La forza stessa non può procedere dalla creazione di un equilibrio. Sull' equilibrio di potenza.
  • mantenere: pone l' azione sul lato della forza e del potere. Impedire ad altri Stati di entrare in guerra. Sul lato della forza e della supremazia.

Henri Kissinger [1923 -] Diplomat, consulente per la sicurezza, grande teorico dell' equilibrio dei poteri nazionali, Segretario di Stato di Richard Nixon e Gerald Ford ha dichiarato: "Ogni Stato deve impedire a qualsiasi altro Stato di accumulare forze superiori a quelle dei suoi rivali della coalizione... L' ordine dovrà emergere[...] L' ordine dovrà emergere[...]".conciliazione e bilanciamento di interessi nazionali contrastanti ". È una teoria compatibile con la posta in gioco della Guerra Fredda, quindi Kissinger è quindi dalla parte della teoria dell' Auto-aiuto.

Les théoriciens de la domination : de l’hégémonie précède l’ordre international

Les théoriciens de la domination disent que l’hégémonie précède l’ordre international.

Pour Robert Gilpin, professeur émérite d’économie et spécialiste d’économie internationale « La nation dominante a créé un système au sein duquel des règles et des normes fournissent des bénéfices dans les domaines économiques et de sécurité. Elle est soutenue par un ensemble de nations satisfaites. Dans ces conditions prendre l’initiative d’un conflit armé est contre-productif, étant donné que la nation dominante subvertirait les règles qu’elle a mises sur pied, ce qu’elle ne saurait faire sans remettre en cause le soutien dont elle bénéficie ».

L’ordre international va se construire du rapport de force, on réinstaure un rapport de force qui va pouvoir fédérer un certain nombre d’États. La guerre est contreproductive parce qu’elle va revenir sur une production de désolidarisation.

Gilpin fait un lien avec l’hégémonie économique qui assure par les ressources militaires et les ressources symboliques la domination d’un pays et qui permet de :

  • gérer un ordre existant ;
  • maîtriser des relations à des puissances secondaires qu’elle inscrit dans son orbite (théorie du bandwaggoning) « accrocher les wagons ». Le Moyen-Orient est une terre d’enjeux depuis le XIXème siècle, autant du point de vue américain que russe. L’enjeu est de raccrocher à leur mouvement des États tiers.

Le leadership de la puissance dominante doit être entier et absolu. Il n’y a pas d’enjeu du changement de rapport de forces, mais seulement dans leur maintien et leur prorogation.

Il y a une incompatibilité entre ces théoriciens d’une domination hégémonique et d’autres, car on observe une incompatibilité́ absolue entre la doctrine « équilibriste » qui est positive et la doctrine « hégémoniste » qui est négative.

Les outils de l’ordre international

Qu’est-ce qui permet à l’ordre international de se réaliser dans la mesure où la réalisation d’un ordre international ne relève pas de l’état de nature ? En relations internationales, il y a la question de la production des traités et des relations internationales. Dans le droit international public, on observe la production des grands congrès internationaux qui vont produire des textes de régulations entre États. En relations internationales, la notion de traité ou de convention est un concept fort, car c’est un document crédité d’une valeur juridique qui fixe la nature des relations et échanges entre deux États, ou entre un et plusieurs États ou entre des groupes d’États. Un traité est une somme d’obligations pour définir des règles de vie collective et permettre de garantir la paix collective.

Traité de paix dit traité de Westphalie, entre Louis XIV, roi de France, et l'empereur et les princes allemands. Page de signatures. Münster, 24 octobre 1648.

Le premier grand traité est le Traité de Westphalie du 24 octobre 1648 qui est conclu à la fin de la guerre de Trente Ans. À partir du Traité de Westphalie, on constate une multiplication des traités pour gérer les relations internationales en Europe :

  • 1815 : Congrès de Vienne – Définir l’Europe monarchique après Napoléon ;
  • 1856 : Congrès de Paris – Fin de la guerre de Crimée ;
  • 1885 : Congrès de Berlin – Régler les litiges coloniaux entre grandes puissances ;
  • 1919 : Pacte de la SDN – Penser la paix après la Première guerre mondiale.

Il y a tout un champ du droit international public qui va devoir régler ces questions. Après la Deuxième guerre mondiale il va y avoir une forte activité diplomatique. L’ONU ainsi que les conventions onusiennes pour réguler la planète et éviter les conflits. Lorsque les règles et conventions ne sont pas appliquées, il peut y avoir des contestations avec des recours devant des juridictions tiers et en cas de refus d’exécution, des litiges peuvent dégénérer en conflits et passer à la guerre. Par exemple, la Guerre des Malouines entre l’Argentine et le Royaume-Uni en 1982 est un litige entre États nations sur une portion de souveraineté́ territoriale.

Afin de répondre à la question de comment réduire les potentialités de conflit dans le domaine des Relations Internationales, il est proposé d’encadrer les « activités belliqueuses de certains États » par d’autres.

Les quatre modèles de la construction de l’ordre international

Ce sont des modèles construits sur la modalité des rapports de forces.

Morton Kaplan (1921), théoricien majeur, professeur de science politique à l’Université de Chicago est aussi l’auteur de System and Process in International Politics publié en 1957, distingue quatre systèmes constitués :

  1. la domination ;
  2. l’équilibre des forces ;
  3. la concertation ;
  4. l’équilibre de la terreur.

La domination

Un Empire exerce son pouvoir de contrôle sur un territoire et dispose de la force pour se faire respecter. L’issu du concept de domination celui de « prépondérance ». Sans disposer de toutes les capacités impériales, il s’agit pour un État-nation, sans pouvoir prétendre tout contrôler, d’acquérir dans un domaine particulier les moyens d’arbitrer dans des situations ou contextes internationaux spécifiques. On parle ainsi de la prépondérance espagnole pour qualifier l’Espagne moderne des XVIème siècle et XVIIIème siècle. La prépondérance est plus limitée dans l’espace-temps, sans doute plus fragile et aléatoire.

L’équilibre des forces

Construire un jeu d’alliances approprié pour ne pas se faire marginaliser sur le plan des relations internationales. C’est une pratique ancienne déjà déployée sous l’Ancien Régime, réactualisée au XIXème siècle et dans la première moitié du XXème siècle pour tenter d’éviter les conflits ou les logiques de domination. On peut citer la tentative d’accord franco-italienne au moment de l’arrivée d’Hitler au pouvoir en Allemagne, ou les accords franco-russes pour limiter l’expansion germanique autour de la Première guerre mondiale. Les dirigeants emploient cette méthode lorsqu’ils n’en ont pas d’autres possibles. On parle alors de « jeux d’alliances ».

La concertation

Forme d’intervention réservée aux Grandes puissances. Débattre pour éviter les problèmes et difficultés à venir et négocier ensemble. La concertation peut être visible, semi-visible ou absolument secrète. Par exemple, les négociations américano-iraniennes ou encore les négociations sur le dossier Syrien...

L’équilibre de la terreur

L’exemple le plus évident est celui de la Guerre froide avec le risque de conflit nucléaire généralisé. Chacune des parties s’engage dans la course aux armements et en même temps organise des coalitions de conflit. Mais « l’équilibre dans la terreur » favorise le gel de toute conflictualité majeure. C’est ce que Morton Kaplan appelle le « système rigide bipolaire ».

Vers quel modelé d’ordre international les États-Unis s’acheminent-ils au tournant des années 1980-1990 ? Selon la nature de l’ordre international, cela va influencer la manière de penser sa sécurité intérieure et sa sécurité extérieure.

Les États-Unis : vers le refus d’un ordre international multilatéral

Les difficiles relations États-Unis – ONU et communauté internationale

Le paradoxe des relations des États-Unis au reste du monde est construit sur l’ambiguïté de l’isolationnisme sur un mode d’être, mais il faut aussi qu’ils assurent leur sécurité pensant la démocratie libérale comme un modèle exportable et mondiale. Au nom de l’universalité de leurs intérêts, ils peuvent être hégémoniste. D’un côté, par l’idéologie libérale, les États-Unis sont isolationnistes, mais en même temps le modèle américain est le seul modèle de pensée universel. Ce paradoxe les situe comme isolationniste et de l’autre hégémoniste se traduisant par une très grande méfiance historique des organisations internationales, car elles accaparent trop de pouvoir. Si l’ONU avait trop de pouvoir, cela pourrait limiter leur capacité d’agir. En d’autres termes, il y a une tentation isolationniste avec l’idée d’un monde à leur image et d’exporter la démocratie ; et une tentation hégémoniste avec l’universalité des intérêts américains

Le Congrès américain a souvent refusé de faire un pas en avant notamment avec le refus d’entériner la Société des Nations en 1919. Le grand principe des Nations-Unies est le refus du principe « une nation, une voix ». La grande question fondamentale du Conseil de sécurité est que les grandes puissances ne veulent pas se dessaisir de leur place tandis que l’Assemblée générale est devenue le siège de l’expression des tiers mondes. L’ONU va être ballotée dans les jeux d’influence hégémonique. La constitution de l’ONU ne peut être pensée en dehors de leur puissance avec un siège permanent et une aide financière américaine.

Avec la fin de la Guerre froide en 1989, nouvel espoir : voir l’ONU reprendre du service

Avec la fin de la Guerre froide, il y a l’idée de sortir d’une gestion hégémonique de grande puissance. Du coup, la première phrase que prononce Bill Clinton en 1992 est « Que l’ONU soit renforcée et qu’on lui donne ses troupes afin qu’elle réponde rapidement en cas de conflit à travers le monde ». C’est l’idée que l’ONU ait une armée propre. Lorsque le monde en 1989 s’effondre, la première phase américaine est de vouloir renforcer l’ONU. Au départ, l’hypothèse est que comme on entre dans un monde nouveau, il faut renforcer l’ONU.

Boutros Boutros-Ghali à Davos en 1995

Avec la nomination de l’égyptien Boutros Boutros-Ghali en tant que Secrétaire générale de l’ONU, de nouvelles difficultés émergent. Les États-Unis n’ont plus de contrepoids au Conseil de sécurité et commencent à douter du bien-fondé de l’ONU notamment dans ses opérations de maintien de la paix comme au Rwanda ou encore en Bosnie. Les États-Unis vont prendre de la distance avec l’ONU suspectée de s’engager dans des opérations risquées pour l’Occident.

Bill Clinton élu en 1993, engage un revirement de position et le Congrès américain se désengage du financement de l’ONU. En 1999, les États-Unis doivent à l’ONU 1,6 milliard de dollars et c’est Bill Gates qui va se proposer de payer la cotisation américaine. On retourne à une position isolationniste avec une prise de distance avec les opérations de maintien de la paix de l’ONU. C’est un retour à l’isolationnisme conquérant, car l’ONU n’est plus à même de répondre aux défis du Nouveau Siècle.

L’instant de grâce : la crise du Golfe et le mythe du « nouvel ordre international »

Michel Merle dans son ouvrage La crise du Golfe et le nouvel ordre international publié en 1991 identifie au départ un fait « banal » en 1990 qui est l’invasion du Koweït par Saddam Hussein. En pleine détente, ce dernier pense que les « Grands ne bougeront pas ». Toutefois, il y a une opposition des pays arabes qui voient une provocation faite contre d’autres arabes. Gorbatchev souhaite fonder une cogestion entre les États-Unis et l’ex-URSS, mais il n’y a pas de soutien soviétique. Un nouveau discours politique est prononcé à savoir celui de l’entente Est-Ouest et l’ex-URSS se range derrière la position occidentale pour sanctionner l’Irak L’ONU jusqu’ici paralysée par l’exercice du droit de veto légalise le recours à la force contre l’Irak par la résolution du 29 novembre 1990.

La crise du golf est le rare instant où le nouvel ordre international paraît pouvoir se réaliser. Il se réalise par une opération militaire qui réunit une coalition avec des nombreux pays de la planète avec les États-Unis et l’ex-URSS donnant l’impression d’être entré dans une nouvelle ère de paix faisant consensus. C’est le seul instant où l’ONU va revenir sur la scène internationale parce que tout le monde est d’accord et paradoxalement, ce sont les grandes puissances qui vont redéléguer à l’ONU un rôle de premier plan. C’est un moment court de l’histoire et les choses vont rebasculer ensuite.

Cette « découverte » de la réconciliation Est-Ouest engage un discours euphorique sur le « nouvel ordre mondial »

Le Conseil de sécurité va être extrêmement actif commençant à fabriquer une sorte de politique étasunienne de guerre contre l’Irak avec des formes d’ambiguïtés. On imagine un nouvel ordre international dans le cadre de la détente, tous les pays vont se retrouver d’accord pour faire consensus.

« Au moment où pour la première fois dans l’histoire des Nations Unies s’offre la possibilité de construire un ordre mondial fondé sur la loi commune du droit des peuples à disposer d’eux-mêmes, il paraîtrait inconcevable que la France s’abstînt d’apporter son concours » »

— François Mitterrand, 17 janvier 1991

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« Nous sommes prêts à avoir recours à la force pour défendre le nouvel ordre qui voit le jour parmi les États du monde, un monde constitué d’États souverains vivant en paix. Nous avons vu trop souvent, au cours de notre siècle, avec quelle rapidité une menace contre un pays devient une menace contre nous. En ce moment décisif de l’Histoire, au moment où la guerre froide disparait, nous ne pouvons échouer. L’enjeu n’est pas seulement un lointain pays appelé́ le Koweït. L’enjeu est le genre de monde que nous habiterons »

— Georges W. Bush, 5 janvier 1991

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La constitution d’un nouvel ordre international va se faire par la guerre contre une puissance majeure du Moyen-Orient qui est l’Irak, mais aussi en terme stratégique et militaire, suréquipé par les pays occidentaux comme un maillon fort pour contrôler l’Iran de Khomeiny. La première guerre contre l’Irak est placée dans une contradiction. Il faut se débarrasser de Saddam Hussein notamment pour ses ambitions régionales, mais on ne veut pas le détruire, car l’Irak joue un rôle important dans la géopolitique religieuse et du pétrole. La question est de lui faire la guerre sous mandat de l’ONU.

Cela aboutit à la fabrication des blocus afin de faire plier un État par le fait qu’on va le contraindre par les lois onusiennes et un contrôle militaire très strict. Le blocus est une arme perverse et vicieuse puisque cela touche la population et en particulier les plus pauvres pouvant consolider les plus riches qui ont leur propre réseau. On va plier un pays sans vouloir le détruire.

Les 12 résolutions du Conseil de Sécurité adoptées à la majorité requise de 11 voix dont les 5 membres permanents

À partir de 1990, le Conseil de sécurité va adopter un ensemble de mesures qui vont engager peut être la seule guerre consensuelle du XXème siècle[2] :

  • R 660 : condamnation de l’agression. Demande le retrait immédiat ;
  • R 662 : est déclaré́ « nulle et non avenue » l’annexion du Koweït par l’Irak ;
  • R.664 : exige « le départ immédiat des nationaux tiers du Koweït » ;
  • R 667 : condamne l’Irak pour l’agression des personnels diplomatiques au Koweït ;
  • R 674 : condamne les agissements des « forces des autorités et forces d’occupation au Koweït » ;
  • R 677 : condamne les mesures destinées à altérer l’identité démographique du Koweït.

Les mesures sanctions :

  • R 661 : boycottage commercial, financier et militaire de l’Irak ;
  • R 665 : autorise l’usage de la force pour faire respecter l’embargo ;
  • R 670 : embargo aérien contre l’Irak et blocage dans les ports des navires irakiens.

Deux mesures d’atténuation :

  • R 666 : est placée sous contrôle de l’ONU et de la Croix-Rouge toute livraison individuelle d’aide alimentaire à l’Irak ;
  • R 669 : le Comité de Sanctions examine les demandes d’assistance présentées par les pays éprouvés par l’embargo sur l’Irak.

Une mesure générale contraignante

C’est un espace contraignant, et avec le R 678, la force est autorisée pour faire respecter les sanctions de l’ONU. L’Irak est mis sous tutelle puisque les sanctions militaires peuvent accompagner le non-respect des sanctions économiques. L’Irak est donc placé sous haute surveillance. Elle est non seulement sanctionnée, mais doit aussi verser des réparations sous forme de livraison de pétrole. Avec le R 687 du 3 avril 1991, l’Irak est placé sous tutelle.

Cela amène à des restrictions de souveraineté, à la mise en œuvre de procédures de contrôle international donnant accès au territoire irakien, à des pressions exercées par le maintien de l’embargo, à un désarmement absolu. De plus, l’Irak doit accepter que soient détruits et neutralisés ses armements, notamment avec la suppression des armes chimiques ainsi que la destruction de ses missiles balistiques.

Est constituée une commission spéciale qui procèdera à l’inspection sur place des sites nucléaires et d’armes chimiques de destruction massive dans le but de les inventorier pour les détruire dans le cadre de l’UNSCOM. D’autre part, il y a l’obligation faite à l’Irak de souscrire au traité de non-prolifération des armes nucléaires. L’Irak est placé sous contrôle permanent pour une durée illimitée.

La crise de l’Irak est un cas singulier montrant que l’ONU revient sur la scène internationale de manière régulière. Ce qui est intéressant est de se poser la question de savoir que même si cela réussi, l’ONU autorise l’emploie de sa force afin de contraindre un État et qui peut-être nous interroge sur l’inverse, c’est-à-dire de savoir si l’ONU fut-elle un acteur ou a-t-elle été instrumentalisée dans une affaire qui l’a dépassée ?

Les États-Unis contre l’ONU

À partir des années 1992 – 1993, on va assister à un renversement de la politique américaine vis-à-vis de l’ONU. Toute la création d’Al Qaeda et son émergence comme une force politique émerge dans le conflit russo-afghan au moment où l’Afghanistan lutte contre la présence soviétique et où il y a une géopolitique qui s’élabore à partir de l’Islam. Al Qaeda émerge dans un contexte international lié au Moyen-Orient. Les premières fatwas de Ben Laden sont liées aux questionnements sur la question des dictatures, de l’autonomie politique, de l’influence et du poids des États-Unis au Moyen-Orient.

La Cour pénale internationale [CPI]

Le renversement se fait à travers la Cour pénale internationale et l’affaire de l’ex-Yougoslavie. C’est l’idée qu’on devrait arriver à créer une Cour pénale internationale qui a pour objet de lutter contre la violation des droits de l’homme. C’est une idée noble puisqu’on s’aperçoit que dans les années 1990 il y a un retour des génocides, de la barbarie comme en ex-Yougoslavie. La Cour pénale internationale serait une Cour de régulation de ces conflits permettant de sanctionner tous les criminels et tous les génocidaires.

Ces débats voient apparaître dans un premier temps les États-Unis comme un porteur de ce débat. Pour Bill Clinton à propos du Rwanda et de la Bosnie, « Nous devons instaurer une cour internationale permanente pour engager des poursuites contre les violations les plus graves de la loi humanitaire ». Il y a un quiproquo, car pour les partisans d’une Cour pénale internationale, Bill Clinton apparaît être un allié de poids.

Déjà en 1996, David Scheffer représentant américain sur ce projet écrivait : « Dans la boite à outils des Affaires Etrangères d’un monde civilisé, ce sera un beau marteau tout neuf que nous pourrons utiliser ces prochaines années »

Ces propos réconfortants engagent rapidement les acteurs et partisans de la diplomatie à engager le débat sur la création d’une Cour pénale internationale.

Deux modèles possibles pour la CPI

Deux débats sont possibles à l’époque :

  1. la Cour pénale internationale doit être mise sous la responsabilité du Conseil de Sécurité des Nations Unies avec les 5 membres permanents ;
  2. il faut qu’elle soit indépendante en dehors du Conseil de Sécurité. C’est le concept d’indépendance de jugement.

On s’aperçoit rapidement que les États-Unis commencent à se poser quelques questions étant pour les tribunaux pour crime de guerre qui sont des tribunaux locaux avec la question du Rwanda et la question de la Bosnie. Il y a un malaise, car si on crée une Cour internationale un peu libre, on ne sait trop où cela va aller. L’une des craintes est que la justice échappe au Conseil de Sécurité et surtout les instructions et mises en causes. La position de Bill Clinton est d’abord de souscrire à la solution 1. Le Congrès américain marque une opposition avec la crainte que cette future juridiction puisse avoir autorité pour juger des citoyens américains. L’enjeu est de ne pas soumettre des ressortissants américains à une juridiction internationale qui pourrait devenir incontrôlable.

Le cas d’école est celui de militaires qui par mégarde dans une opération tueraient par bombardements des civils alors pourquoi alors les soumettre à une justice internationale incontrôlable ? C’est un retour de position qui dit qu’on ne peut laisser faire n’importe quoi à travers une Cour pénale internationale qui serait un défi à l’intégrité des États-Unis.

Jess Helms, proche de Bill Clinton, illustre ce revirement des positions américaines :

« Finalement, ce que cette Cour propose c’est de siéger pour juger la politique de sécurité nationale des États-Unis. Imaginez donc maintenant ce qui se serait passé si cette Cour avait été́ établie lorsque les États-Unis ont envahi Panama ou lorsque les États-Unis ont envahi la Grenade ou lors du bombardement américain de Tripoli. Dans aucun de ces cas, les États-Unis n’ont demandé l’autorisation de l’ONU pour défendre nos intérêts. Donc de mon vivant, jamais - je dis bien, jamais, jamais - les États-Unis ne permettront qu’une quelconque cour pénale internationale ne juge leurs décisions concernant leur sécurité nationale. »

Conférence de Rome : 15 juin au 17 juillet 1998

La Conférence de Rome accepte la création de la Cour pénale internationale. Toutefois, les États-Unis vont se replier. C’est une conférence diplomatique des Plénipotentiaires pour la création d'une cour criminelle internationale avec la participation de plus de 160 gouvernements assistés d'un grand nombre de leurs délégations.

Les clauses de Rome autorisent la poursuite des ressortissants des pays signataires et de toute personne commettant un crime sur le territoire des signataires. 120 pays votent en faveur de la CPI, 21 s’abstiennent, 7 pays votent contrent dont les États-Unis, Israël, la Chine, l’Irak et le Qatar. Ainsi, les États-Unis se retrouvent sur le même plan que les États-voyous qu’ils condamnent.

Pour le Secrétaire général de l’ONU, la Cour pénale internationale est « un cadeau d’espoir pour les générations futures, un pas de géant sur la route menant vers des droits de la personne universels et vers l’autorité de la loi ». Mais pour Jesse Helms, « c’est un monstre et c’est notre responsabilité de l’occire avant qu’il ne grossisse et ne nous dévore ».

Une incompatibilité apparait de façon très flagrante entre la politique étrangère américaine et la Cour Pénale Internationale. Il y a un Congrès qui hésite, mais va soutenir la position américaine sur la base qu’on ne peut remettre la souveraine américaine en cause au nom d’une Cour pénale internationale. La Suisse adopte la CPI le 18 juillet 1998. Il faut garder en tête cette inversion qui est que les États-Unis commencent après la Première guerre du golf à émettre l’idée que l’ONU n’est peut être pas l’institution la plus appropriée pour défendre le nouvel ordre international. Les années 1990 sont le témoin d’un désengagement américain dans la gouvernance mondiale et des affaires du monde. Le 11 septembre oblige les américains à revenir.

Le conflit de l’Ex-Yougoslavie

À partir de 1992 – 1993, l’ONU s’engage dans les opérations de maintien de la paix avec l’appui des États-Unis. Toutefois, à partir de 1994 – 1995, les opérations de maintien de la paix sous la responsabilité de l’ONU augmentent. Les américains vont commencer à se méfier à propos de la multiplication des opérations de maintien de la paix qui coûtent notamment cher. Des inquiétudes surgissent de la part des américains en particulier de savoir si ces opérations ne les engageraient pas trop loin.

Pour Madeleine Albright, Ambassadrice américaine aux Nations Unies, « comme nous avons le droit de veto, nous pouvons bloquer toute opération de paix qui ne serait pas en accord avec nos intérêts. Comme nous croyons que le maintien de la paix par les Nations Unies a pris beaucoup trop de vitesse en 1992 et 1993, nous avons adopté de rigoureuses lignes directrices pour décider quand une nouvelle opération doit commencer. Il y a donc moins de troupes de maintien de la paix à l’ONU aujourd’hui qu’il n’y en a eu durant les deux dernières années ».

Analyse de l’écart entre intérêts américains – Nations Unies

La réduction des effectifs que donne les grandes puissances et un avantage au fonds et d’un point de vue économique intéressant, mais oblige à changer d’attitude. Les États-Unis vont réduire les troupes américaines sous responsabilité de l’ONU pour reconstruire des marges de manœuvre pour la politique sécuritaire américaine. Cela va de pair avec le syndrome vietnamien qui est une peur de s’embourber dans des affaires militaires qui paralyseraient à terme la première puissance mondiale.

La seule concession américaine est d’accepter seulement les bombardements. En 1992, Clinton fait campagne contre Bush en faveur du soutien des États-Unis vis- à-vis de l’ONU dans le dossier de la Serbie. L’ONU est en Bosnie pour le maintien de la paix pour créer des zones de sécurité. Toutefois, il y a une critique progressive des États-Unis devant la faiblesse de l’ONU à protéger les populations et les victoires des serbes bosniaques.

Fin 1995, avec la chute de Srebrenica, les États-Unis ont pris une position plus claire refusant le renforcement des troupes de l’ONU. Les troupes de l’ONU sont obligées de se retirer et doivent laisser place à l’OTAN qui s’engage dans les raids aériens. Les États-Unis excluent l’ONU des négociations de paix qui aboutiront aux accords de Dayton, menées en seul partenariat avec l’Union Européenne et la Russie. Les États-Unis réaffirment l’unilatéralisme, c’est-à-dire une pensée de la paix dictée par le rapport de force de la gestion et des intérêts américains.

« En mettant l’ONU en première ligne tout en la privant des outils nécessaires et en se servant d’elle comme bouc émissaire, les États-Unis et l’Occident ont gagné du temps...Le mal fait à l’ONU déjà̀ déchirée et au bord de la faillite ne serait pas facilement repérable, pas plus que les dommages causés aux principes fondamentaux de comportement international [...] »

— Boutros-Boutros Ghali, Secrétaire Général de l’ONU

Le second mandat de Boutros-Ghali est combattu par les américains et il est évincé au profit de Kofi Annan. C’est une interprétation de l’ONU comme une structure qui peut être complémentaire à la politique américaine. L’idée est de se désengager de l’ONU ou on asservit l’ONU aux intérêts américains.

« Les missions de maintien de la paix de l’ONU ajoutent à nos capacités et ne retirent rien. L’ONU nous permet d’avoir le choix entre agir unilatéralement ou nous tenir en marge pendant que les conflits s’enveniment. Elle nous permet d’avoir de l’influence sur les évènements sans assumer le plein fardeau du coût et des risques. Et elle confère le poids de la loi et de l’opinion mondiale à des causes et à des principes que nous appuyons »

— Madeleine Albright, 1995

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On constate un affaiblissement de l’ONU sur la scène internationale et un renforcement de la position américaine encore sur la base plutôt d’un désengagement des affaires internationales. La grande faiblesse est qu’il ne vont va voir arriver les événements provoqués par Al Qaeda.

Conclusion : de la fin du multilatéralisme et du retour de la force dans les Relations internationales

Les années de 1989 à 1995 sont des années charnières sur le plan des relations internationales. La chute du Mur de Berlin se pense comme l’opportunité de refondre un ordre international pacifié. Seulement, l’interprétation n’est pas la même selon les pays.

La première guerre du Golfe laisse croire en la possibilité de construire « un nouvel ordre international » fondé sur l’accord entre les grandes puissances. Les conflits entre les États-Unis et l’ONU marquent la fin du multilatéralisme et le retour de l’unilatéralisme américain dans le domaine des relations internationales. Ce retour de l’unilatéralisme se fait sur la base de la défense des intérêts américains. Au moment où Al Qaeda se crée, la position américaine ne peut pas comprendre les enjeux de la position d’Al Qaeda.

Annexes

Bibliographie

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  • Dario Battistella, « L’ordre international comme norme politiquement construite », « L’ordre international. Portée théorique et conséquences pratiques d’une notion réaliste » La Revue Internationale stratégique, Paris, 2004 ;
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Références

  1. Page personnelle de Rémi Baudoui sur le site de l'Université de Genève
  2. "Security Council Resolutions - 1990." UN News Center. UN, n.d. Web. 13 July 2014. <http://www.un.org/docs/scres/1990/scres90.htm>.