« Globalizzazione: definizione e situazione » : différence entre les versions

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È un approccio che viene visto come positivo con un'idea molto nobile. Ulrich Beck vede il cosmopolitismo come prerogativa di una società globale deterritorializzata, ma è soprattutto prerogativa delle classi superiori, perché le classi inferiori avranno difficoltà a partecipare al movimento globale. Ci sarebbe una sovranità cosmopolita per domare la globalizzazione. C'è una tensione intorno a una nozione molto positiva, ma va discussa intorno alla nozione di stratificazione, che è la questione della società civile globale.
È un approccio che viene visto come positivo con un'idea molto nobile. Ulrich Beck vede il cosmopolitismo come prerogativa di una società globale deterritorializzata, ma è soprattutto prerogativa delle classi superiori, perché le classi inferiori avranno difficoltà a partecipare al movimento globale. Ci sarebbe una sovranità cosmopolita per domare la globalizzazione. C'è una tensione intorno a una nozione molto positiva, ma va discussa intorno alla nozione di stratificazione, che è la questione della società civile globale.


Tutta una serie di opere sono interessate e promuovono l'idea. Sikking e Keck in ''Activists Beyond Borders: Advocacy Networks in International Politics''<ref>Keck, Margaret E., and Kathryn Sikkink. Activists beyond Borders: Advocacy Networks in International Politics. Ithaca, NY: Cornell UP, 1998.</ref>, si sono interessati alla advocacy network; in ''Epistemic Communities and International Policy Coordination''<ref>Haas, Peter M. Knowledge, Power, and International Policy Coordination. Columbia, SC: U of South Carolina, 1997. </ref>, Haas s’est intéressé à la notion de communauté épistémique. Une communauté épistémique est un ensemble des scientifiques avec une autorité reconnue au niveau international, par exemple dans le domaine d’environnement. Les advocacy networks s’inscrivent dans la littérature des normes en relations internationales où l’idée est de pouvoir faire avancer des idées au niveau global sur une scène qui dépasse les frontières étatiques, donc la capacité de pouvoir parler à une arène globale, afin de rendre ces idées plus pertinentes et plus fortes.
Tutta una serie di opere sono interessate e promuovono l'idea. Sikking e Keck in ''Activists Beyond Borders: Advocacy Networks in International Politics''<ref>Keck, Margaret E., and Kathryn Sikkink. Activists beyond Borders: Advocacy Networks in International Politics. Ithaca, NY: Cornell UP, 1998.</ref>, si sono interessati alla advocacy network; in ''Epistemic Communities and International Policy Coordination''<ref>Haas, Peter M. Knowledge, Power, and International Policy Coordination. Columbia, SC: U of South Carolina, 1997. </ref>, Haas era interessato alla nozione di comunità epistemica. Una comunità epistemica è un insieme di scienziati con un'autorità riconosciuta a livello internazionale, ad esempio in campo ambientale. Le reti di advocacy fanno parte della letteratura delle norme nelle relazioni internazionali dove l'idea è quella di poter far avanzare le idee a livello globale su un palcoscenico che trascende i confini di stato, quindi la capacità di parlare in un'arena globale, al fine di rendere tali idee più rilevanti e più forti.


Ce type de littérature nous amène à nous interroger sur les mouvements sociaux transnationaux. Lorsqu’on regarde de plus près, l’activisme transnational garde un enracinement national. Si on ne s’interroge pas sur les conditions spécifiques de chaque pays, on risque d’avoir une analyse assez simpliste en faisant un raccourci selon lequel les intérêts dans un monde cosmopolite sont les mêmes. C’est une contradiction avec des mouvements progressistes, mais venant de catégories supérieures déconnectées des populations auxquelles ils s’adressent. Ainsi, c’est un projet cosmopolitiste socialement situé au niveau des classes les plus favorisées comme le remarque Gobille dans ''Les altermondialistes : des activistes transnationaux ?''<ref>Gobille Boris, « Les altermondialistes : des activistes transnationaux ? », Critique internationale 2/ 2005 (no 27), p. 131-145</ref> Si on prend le projet cosmopolite comme un projet élitiste, alors, on peut s’interroger sur savoir s’il faut posséder un capital cosmopolite pour pouvoir accéder à ces mouvements.
Questo tipo di letteratura ci porta a mettere in discussione i movimenti sociali transnazionali. Se guardiamo più da vicino, l'attivismo transnazionale mantiene le radici nazionali. Senza mettere in discussione le condizioni specifiche di ogni paese, rischiamo un'analisi piuttosto semplicistica prendendo la scorciatoia che gli interessi in un mondo cosmopolita sono gli stessi. Si tratta di una contraddizione con i movimenti progressivi, ma provenienti da categorie superiori che sono scollegate dalle popolazioni a cui si rivolgono. Si tratta quindi di un progetto cosmopolitico socialmente situato al livello delle classi più privilegiate, come osserva Gobille in ''Les altermondialistes : des activistes transnationaux ?''<ref>Gobille Boris, « Les altermondialistes : des activistes transnationaux ? », Critique internationale 2/ 2005 (no 27), p. 131-145</ref> Se prendiamo il progetto cosmopolita come un progetto elitario, allora possiamo chiederci se abbiamo bisogno di capitali cosmopoliti per poter accedere a questi movimenti.


On peut avoir l’impression que ces idées de rapport au monde et au global positif sont répandues dans notre société. Il faut faire attention à ne pas différencier ce que certains comme Skrbis et Woodward appellent le « cosmopolitisme ordinaire » dans ''The Ambivalence of Ordinary Cosmopolitanism : Investigating the Limits of Cosmopolitan Openness''<ref>Skrbis, Zlatko, and Ian Woodward. "The Ambivalence of Ordinary Cosmopolitanism: Investigating the Limits of Cosmopolitan Openness." The Sociological Review 55.4 (2007): 730-47.</ref>. Dans les pays occidentaux, on aurait tendance à valoriser les rapports à l’étranger à la culture, mais de rejeter la figure de l’étranger et du monde à partir du moment où l’étranger touche l’immigration et la culture nationale. L’adhésion aux thèses cosmopolites ne sont pas si données que ça et ne touchent pas tout le monde.
Si può avere l'impressione che queste idee di relazione con il mondo e con il globale positivo siano diffuse nella nostra società. Dobbiamo stare attenti a non distinguere tra quello che alcuni come Skrbis e Woodward chiamano "cosmopolitismo ordinario" in ''The Ambivalence of Ordinary Cosmopolitanism : Investigating the Limits of Cosmopolitan Openness''<ref>Skrbis, Zlatko, and Ian Woodward. "The Ambivalence of Ordinary Cosmopolitanism: Investigating the Limits of Cosmopolitan Openness." The Sociological Review 55.4 (2007): 730-47.</ref>. Nei Paesi occidentali si tende a valorizzare il rapporto dello straniero con la cultura, ma a rifiutare la figura dello straniero e del mondo dal momento in cui lo straniero tocca l'immigrazione e la cultura nazionale. L'adesione a tesi cosmopolite non è così scontata e non riguarda tutti.


==Mobilità dal basso==
==Mobilità dal basso==

Version du 18 mai 2020 à 09:07


Cos'è la globalizzazione?

Definizioni e questioni disciplinari

Dovremmo parlare di globalizzazione o di globalizzazione? Non c'è differenza. In francese si accetta che i due termini possano essere usati in modo intercambiabile.

Non c'è una definizione consensuale, è un dibattito aperto. All'interno dei dibattiti sulla globalizzazione, è un dibattito particolarmente aperto perché definire cosa sia la globalizzazione è una questione. La globalizzazione è un concetto difficile da studiare perché tutti abbiamo una certa percezione di ciò che è.

Alcuni luoghi comuni

La globalizzazione ha un impatto delle azioni a distanza quando le azioni degli agenti sociali in un luogo hanno conseguenze dall'altra parte del pianeta. C'è una compressione del tempo e dello spazio. È molto più facile comunicare, le barriere geografiche e territoriali tendono a diminuire. D'altra parte, vi è un'accelerazione dell'interdipendenza man mano che le economie e le società nazionali diventano sempre più interconnesse.

Quando si parla di globalizzazione, c'è l'idea di un mondo che si restringe. Con l'erosione delle barriere umane e geografiche a favore dell'attività socio-economica, questo dà l'impressione di un mondo che si sta restringendo. L'integrazione è globale attraverso un riordinamento delle relazioni di potere interregionali che crea la consapevolezza di una condizione globale e un'intensificazione dell'interconnessione tra le regioni. Ciò implica un'omogeneizzazione che genera visioni e pratiche comuni che verrebbero imposte dal sistema economico e politico secondo una visione neoliberale.

Una definizione?

La globalizzazione può essere conosciuta come un discorso, un processo, una griglia analitica o un progetto comune. A seconda degli studi, l'accento sarà posto sugli aspetti materiali, spazio-temporali o cognitivi.

Si tratta di dibattiti molto eterogenei, sono approcci che rappresentano investimenti disciplinari secondo i meriti delle letture. Secondo un approccio conservatore o socialista per il quale la globalizzazione è una minaccia per valori importanti, la lettura sarà diversa. Per esempio, un approccio marxista alla globalizzazione supporrà che dalla fine della guerra fredda ci sia stata un'agenda neoliberale imposta da alcuni agenti internazionali al resto del mondo. Per i realisti, la globalizzazione sarebbe imposta da un egemone per i propri interessi con mezzi militari o altri mezzi di pressione. La teoria realista sostiene di essere dinamica per il fatto che gli egemoni si evolvono nel corso della storia; quindi non ci sarebbe motivo che la globalizzazione sia una fase.

In The Global Transformations Reader de Held et Macgrew pubblicato nel 2000[9], c'è una coesistenza di conversazioni multiple piuttosto che di un vero e proprio dialogo. È qualcosa di estremamente multidisciplinare. Wellerstein in The Modern World-System propone la teoria del sistema mondiale, altri propongono un approccio attraverso l'economia politica o alcuni come Kehohane e Nye in Transnational relations and world politics pubblicato nel 1973 ha proposto una logica di complesse interdipendenze.

Sceptiques vs globaliste

Ce type de distinction n’est là que pour clarifier une entrée dans le débat. Pour certains, la globalisation n’est pas un phénomène très original, comme pour Hirst et Thompson dans Globalization in question: the international economy and the possibilities of governance[10], on devrait plutôt parler d’internationalisation. Pour eux, la globalisation est vraiment un mythe qui permet de justifier et de légitimer l’avènement d’un projet néo-libéral comme pour Hirst dans From Statism to Pluralism[11] publié en 1997 et Gordon dans The Global Economy: New Edifice or Crumbling Foundations[12] publié en 1988 en prenant exemple sur le consensus de Washington, la dérégulation, la privatisation ou encore les programmes d’ajustements structurels, etc.

Des auteurs adoptent une ontologie réaliste comme Waltz dans Theory of International Politics[13] et Gilpin dans The Theory of Hegemonic War[14] remettant en cause la mondialisation comme cadre analytique pour comprendre des phénomènes. Certains adoptent une ontologie marxiste comme Van der Pijl dans Transnational Classes and International Relations[15], Negri et Hardt dans Empire[16] publié en 2000.

Pour les globalistes comme pour Held et McGrew dans The Global Transformations Reader[17], la globalisation engendre des transformations nettes de processus qui permettent de comprendre le monde par opposition aux relations internationales qui en générales ont comme référant principale l’État ne suffisant plus à comprendre le monde d’aujourd’hui. Il y a des logiques de globalisation bien présentes qui relèvent d’un réel phénomène de changement structurel dans l’échelle d’organisation sociale du monde. L’État n’est plus le référent principal, ce sont des aller-retour, des articulations complexes. Pour les globalistes, la mondialisation touche tous les autres domaines sociaux.

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Enjeux disciplinaires : le cas des relations internationales

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C’est un classement des disciplines en fonction de leur publication. Les relations internationales arrivent péniblement en septième place avec devant l’économie, la géographie, la sociologie et même la science politique. D’autre part, ce ne sont pas les chercheurs en relations internationales qui font le débat. Les relations internationales ne sont pas la discipline qui s’est le plus intéressée à la globalisation à la différence de l’économie, la sociologie et la science politique.

Dans Globalization : An Analytical Framework, Walker souligne la dépendance des relations internationales envers l’État qui n’arrive pas à échapper au double cloisonnement intellectuel et territorial autour de la question de l’État.

Temps et globalisation

Emergence du terme de globalisation

Friedman at the Miami Book Fair International, 1990

Il est très intéressant de commencer par aborder la question sur les origines de la globalisation en s’interrogeant sur l’itinéraire de cette notion qu’il faut distinguer des processus que nous décrivons. Même si le terme de globalisation apparaît dans le dictionnaire d’Oxford des années 1930, on peut aussi trouver le terme dans The Economist dans les années 1950 – 1960. C’est vraiment à partir des années 1980 que le terme explose avec un âge d’or dans les années 1990. Dans les années 1980 – 1990, c’est une nouveauté. Avant d’être dans un débat scientifique, le débat sur la globalisation vient de l’économie politique et va très rapidement se greffer sur un débat politique entre le néoréalisme et l’altermondialiste qui incarne une contreculture qui se réclame de la globalisation, mais souhaitant un usage différent.

Le terme se diffuse de la sphère financière et économique à d’autres sphères sociales. Le journaliste du New York Time Thomas Friedman a vulgarisé le terme. Friedman publie deux livres, un en 1900 The Lexus and the Olive tree[18] expliquant sa vision de la mondialisation dans le monde d’aujourd’hui, et en 2005 The world is flat[19] qui est une analyse sur les grandes tendances de la mondialisation et les forces qui l’animent.

Évolution terme globalisation.png

Pour illustrer que le terme de « globalisation » est arrivé tardivement, ces deux graphiques montrent que le terme de « globalisation » passe d’une occurrence dans les années 1980 à une forte utilisation dans les années 2000.

Datation

Il est important de faire la distinction entre l’émergence de la notion et le fait que quand les gens parlent de « mondialisation ». Sur la datation, on est dans la même logique. La question du « quand » est particulièrement importante, parce que pour les historiens, la manière dont est présentée la globalisation souffre d’anhistoricisme. Cela pose une limite au discours sur la globalisation parce qu’on ne sait pas jusqu’où remonter.

Pour certains auteurs, aujourd’hui, on a l’aboutissement d’un processus historique qui met en exergue des avis différents. Les trois approches qui reviennent le plus sont :

  • Théorie de la modernisation dans The consequences of modernity[20] de Giddens publié en 1990. Dès le XVIIème siècle, on arrive à une uniformisation du temps par une banalisation des montres qui a permis de désencastrer du temps des individus du temps dans sa conception spatiale. Ce qui est important est l’individualisation, car la compression du temps permet de concevoir ce phénomène à partir de l’individuation. Ulrich Beck a parlé de société du risque dans son livre éponyme de 1986. Dans la société individualisée, interconnectée et globale, les questions sont beaucoup plus perçues en termes de risques.
  • Théorie du système-monde de Wallerstein : cette théorie s’articule autour d’un ouvrage paru en trois volumes publiés entre 1974 et 1989 qui s’intitule The Modern World-System[21] dans le cadre d’une approche marxiste. Selon Wallerstein, la logique de la mondialisation peut être retracée depuis le XVIème siècle avec la mise place des canons qui font la libéralisation d’aujourd’hui. Dès cette époque, il y a une structuration du monde en trois régions qu’est le centre [1], la périphérie [2] et la semi-périphérie [3]. Selon Wallerstein, la globalisation n’est pas un enthousiasme, mais c’est quelque chose que l’on peut tracer remplaçant le développement. Au-delà de sa conception positive, il y a une critique du développement notamment marxiste disant que le développement est un projet qui permet au centre de continuer à dominer la périphérie. Dans une approche marxiste et de longue durée basée sur la longue durée de l’école française des annales fondée par Lucien Febvre et Marx Bloch, ont est dans un projet de développement et de domination des États du centre sur la périphérie. Ce sont les canons du marxisme, le capital ne fait que s’étendre et dominer le monde entier.
  • Théorie de la compression de l’espace-temps : Harvey est un géographe aussi d’obédience marxiste qui constate dans son ouvrage The Condition of Postmodernity[22] publié en 1989 une accélération dans la contraction de l’espace-temps où on est vraiment dans une expression du capitalisme à l’échelle mondiale.

Il faut voir la globalisation actuelle dans une logique de longue durée et dans une logique de mise en place d’un processus qui date de plusieurs siècles.

Pour les sceptiques la mondialisation est juste un terme euristique. Il n’y a rien de nouveau, car le système économique préexiste. Par exemple, au XIXème siècle, il y a eu une très importante migration avec notamment 60 millions d’émigrants européens qui partent. À l’époque on circulait sans passeport. C’est une critique historique de la globalisation cherchant à mettre en exergue qu’on était peut-être dans un monde beaucoup plus mondialisé au XIXème siècle. Historiquement il y a eu un certain nombre de phénomènes qui n’ont rien à envier à la mondialisation actuelle avec les diasporas, le Printemps des peuples en 1848, le cosmopolitisme, le système international notamment avec le congrès de Vienne de 1815 ou encore le libéralisme.

L’État malmené

Lorsqu’on parle de la datation, ce qui revient principalement est la question de l’État. Du moment où l’on doit dater la globalisation et son processus, on se pose la question de l’érosion de l’État. Il y a un discours sur la temporalité de la globalisation principalement centrée autour de la disparition de l’État nation. C’est un point qui revient systématiquement lorsqu’on parle de globalisation. Dans Denationalization: Territory, Authority and Rights in a Global Digital Age[23], Saskia Sassen montre que peut être la globalisation est liée à une forme d’affaiblissement de l’État, mais il faut faire attention, car si on historicise la construction de l’État, on voit que la construction de l’État moderne peut être lue comme un effort pour rendre nationaux tous les aspects essentiels de la société. Toutefois, l’État perd peu à peu certaines de ses prérogatives notamment pour mener la guerre, contrôler l’économie ou encore promouvoir une culture nationale.

C’est une critique en grande partie injustifiée, car l’État est pensé de manière anhistorique. Sassen pense qu’il faudrait plutôt parler de reconfiguration de l’État plutôt que d’une érosion. Dans The Retreat of the State : The Diffusion of Power in the World Economy[24], Strange montre que ce n’est pas un autre référant politique qui va prendre la place de l’État. L’État est lui-même un des principaux acteurs de la mondialisation des marchés. C’est une certaine conception de comment l’État devrait être géré qui va pousser à affaiblir l’État, mais ce ne sont pas des forces extérieures qui vont l’affaiblir. La transformation de la citoyenneté est une logique qui est venue au sein de la conception de la citoyenneté au sein des États. La question des diasporas s’insère plutôt dans la reconfiguration que d’une érosion de l’État, car depuis un certain temps en fait beaucoup d’États reprennent le contrôle sur ses diasporas. L’image de l’érosion est plutôt fausse, on est dans une logique de reconfiguration de l’État.

Espace est globalisation

Sassen s’interroge si nous sommes dans un « tipping point », donc dans un rééchelonnage des autorités, des territoires, etc., tous ces niveaux, local, global et régional sont en train de s’articuler différemment.

Si on parle de globalisation et d’espace, on est dans une articulation entre des flux et des territoires. La constitution d’un État est un bon exemple, les cités-États étaient dans une logique de flux alors que les empires sont dans une logique de territoires par la coercition. Charles Tilly parle dans War Making and State Making as Organized Crime[25] de « war making – state making ». Les États se seraient formés en faisant la guerre. Il ne faut pas réifier l’État, c’est-à-dire que lorsqu’on parle de l’État comme référent ultime cela est une fiction.

Deux approches se dégagent. Le grand penseur en termes de flux est Castells qui recompose la géographie autour d’un espace de flux dans son ouvrage La société en réseau. Il y a une logique de flux déterritorialisés, de sociétés en réseaux et de capitalisme informationnel.

Deux penseurs importants s’intéressent à la nécessité de localiser la globalisation. Ce sont Appadurai et Robertson.

Pour Appadurai, les flux sont disjoints, ils circulent dans des paysages différents, soit ethniques, médiatiques, techniques, financiers ou encore idéologiques. La conception du local va évoluer en fonction de ces différents paysages, il y a une interaction et une articulation entre le local et le global, c’est une médiation entre le global et le local. Robertson est dans la même logique. La globalisation est un mélange indissoluble du global et du local, c’est-à-dire que la globalisation n’est pas forcément une homogénéisation. Le rapport au territoire est un dialogue permanent entre le local et le global qui vont s’interpréter.

Articulation d’échelles

Il faut se poser la question de comment articuler différentes échelles géographiques, car nous sommes dans un antagonisme entre flux et localité. Il y a un besoin des outils pour articuler toutes ces échelles. En d’autres termes, comme le préconise Dicken dans Location in space : a theoretical approach to economic geography[26], il faut penser une approche en termes de réseaux situés. Apparaît l’idée que la globalisation est un phénomène qui est à la fois multiscalaire et topologique ayant des applications à différents endroits en fonction de ces échelles.

Changement d’échelles

Les formations et les processus globaux peuvent être et sont une cause de déstabilisation de la hiérarchie des échelles fondées sur l’État national. Le global se constitue en partie grâce à la dénationalisation d’éléments particuliers qui avaient été intégrés dans les domaines institutionnels du national.

L’histoire de l’État moderne peut être lue comme un effort pour rendre nationaux tous les aspects essentiels de la société. La modification des hiérarchies ne veut pas dire disparition des anciennes au profit des nouvelles, mais que de nouvelles surgissent à côté des anciennes. Il faut être attentif, car cela veut aussi dire que certains États n’ont jamais été complètement souverains en pratique.

Les villes comme mondialisation située

Sassen parle des villes comme mondialisation située utilisant l’image et le rôle des villes parce qu’aujourd’hui apparaissent des villes polarisées avec une polarisation de l’activité économique mondiale. Il y a une dispersion des moyens de production qui favorise la concentration, la gestion et la coordination.

Les villes globales sont des villes à différencier des villes mondiales, car ces villes ont en commun qu’à partir du moment où l’économie s’est mondialisée, elles deviennent des hubs et des nœuds très importants faisant que les villes globales sont intrinsèquement liées entre elles.

Mobilité globale

La mobilité est devenue impérative, devenant un moyen pour circuler, mais qui n’est pas donnée à tout le monde, générant des inégalités. Le cosmopolitisme concerne avant tout une grange favorisée de l’humanité. Mais il existe d’autres mondialisations compartimentées.

Touristes et vagabonds

Dans Le coût humain de la mondialisation[27], Zygmunt Bauman montre comment la globalisation par l’impératif de mobilité va avoir quelque chose de clivant au sein de l’humanité. On assisterait à un nouveau clivage relevant de l’accès à la mobilité. La mobilité devient un facteur de stratification sociale. Il est très intéressant aujourd’hui de s’interroger entre le lien sur la mobilité nationale et la mobilité globale.

Cosmopolitismo

È un approccio che viene visto come positivo con un'idea molto nobile. Ulrich Beck vede il cosmopolitismo come prerogativa di una società globale deterritorializzata, ma è soprattutto prerogativa delle classi superiori, perché le classi inferiori avranno difficoltà a partecipare al movimento globale. Ci sarebbe una sovranità cosmopolita per domare la globalizzazione. C'è una tensione intorno a una nozione molto positiva, ma va discussa intorno alla nozione di stratificazione, che è la questione della società civile globale.

Tutta una serie di opere sono interessate e promuovono l'idea. Sikking e Keck in Activists Beyond Borders: Advocacy Networks in International Politics[28], si sono interessati alla advocacy network; in Epistemic Communities and International Policy Coordination[29], Haas era interessato alla nozione di comunità epistemica. Una comunità epistemica è un insieme di scienziati con un'autorità riconosciuta a livello internazionale, ad esempio in campo ambientale. Le reti di advocacy fanno parte della letteratura delle norme nelle relazioni internazionali dove l'idea è quella di poter far avanzare le idee a livello globale su un palcoscenico che trascende i confini di stato, quindi la capacità di parlare in un'arena globale, al fine di rendere tali idee più rilevanti e più forti.

Questo tipo di letteratura ci porta a mettere in discussione i movimenti sociali transnazionali. Se guardiamo più da vicino, l'attivismo transnazionale mantiene le radici nazionali. Senza mettere in discussione le condizioni specifiche di ogni paese, rischiamo un'analisi piuttosto semplicistica prendendo la scorciatoia che gli interessi in un mondo cosmopolita sono gli stessi. Si tratta di una contraddizione con i movimenti progressivi, ma provenienti da categorie superiori che sono scollegate dalle popolazioni a cui si rivolgono. Si tratta quindi di un progetto cosmopolitico socialmente situato al livello delle classi più privilegiate, come osserva Gobille in Les altermondialistes : des activistes transnationaux ?[30] Se prendiamo il progetto cosmopolita come un progetto elitario, allora possiamo chiederci se abbiamo bisogno di capitali cosmopoliti per poter accedere a questi movimenti.

Si può avere l'impressione che queste idee di relazione con il mondo e con il globale positivo siano diffuse nella nostra società. Dobbiamo stare attenti a non distinguere tra quello che alcuni come Skrbis e Woodward chiamano "cosmopolitismo ordinario" in The Ambivalence of Ordinary Cosmopolitanism : Investigating the Limits of Cosmopolitan Openness[31]. Nei Paesi occidentali si tende a valorizzare il rapporto dello straniero con la cultura, ma a rifiutare la figura dello straniero e del mondo dal momento in cui lo straniero tocca l'immigrazione e la cultura nazionale. L'adesione a tesi cosmopolite non è così scontata e non riguarda tutti.

Mobilità dal basso

La mobilità dal basso verso l'alto sarebbe il risultato di una compartimentazione della mobilità che genererà le disuguaglianze del mondo di oggi. L'idea di costruzione europea è l'istituzione di un certo numero di libertà, compresa la libertà di circolazione. L'idea di questo accordo è proprio quella di dare una controparte di sicurezza alla libera circolazione delle persone con una moltiplicazione di muri fisici ed elettronici. Ci sarebbe persino un apartheid funzionale che rivela un rapporto paradossale con la mobilità che ha effetti politici ed etici.

Chi è rimasto indietro a causa della globalizzazione e della mobilità sarà bloccato o potrà spostarsi lungo i corridoi, in particolare per quanto riguarda le rotte migratorie. Il caso delle rimesse rivela che il denaro che viene rimandato nei paesi di origine dai poveri lavoratori della globalizzazione è stato a lungo sottovalutato, per cui ci sono paesi in cui le rimesse rappresentano il 10% del PIL o anche più del proprio reddito. Questo è qualcosa che è molto evidente. Ci troviamo in questa stratificazione generata dalla mobilità nella globalizzazione.

Al di là dei governi che sono sempre più interessati ad essa, dobbiamo affrontare sempre più la possibilità per le diaspore di comunicare con i loro paesi di origine. Questo è un flusso che non è necessariamente un "vincitore" della globalizzazione. Gli imprenditori transnazionali rappresentano un flusso particolare di imprenditori che si inseriscono in logiche binazionali? In Le Gouvernement du monde. Une Critique politique de la globalisation[32], Bayard parlerà della classe media transnazionale. Si tratta di persone che, attraverso la loro socializzazione alle nuove regole economiche globali, hanno qualcosa in comune con l'appartenenza a una classe media transnazionale.

Con la mobilità, c'è un fenomeno transnazionale che avviene dall'alto, per altri la mobilità è transnazionale o compartimentalizzata.

Annessi

Corsi

Referenze

  1. Page de Stephan Davidshofer sur Academia.edu
  2. Page personnelle de Stephan Davidshofer sur le site du Geneva Centre for Security Policy
  3. Compte Twitter de Stephan Davidshofer
  4. Page de Xavier Guillaume sur Academia.edu
  5. Page personnelle de Xavier Guillaume sur le site de l'Université de Édimbourg
  6. Page personnelle de Xavier Guillaume sur le site de Science Po Paris PSIA
  7. Page de Xavier Guillaume sur Academia.edu
  8. Page personnelle de Xavier Guillaume sur le site de l'Université de Groningen
  9. Held, David, and Anthony G. McGrew. The Global Transformations Reader: An Introduction to the Globalization Debate. Cambridge, UK: Polity, 2000.
  10. Sklair, Leslie, Paul Hirst, Grahame Thompson, Tony Spybey, and Steven Yearley. "Globalization in Question: The International Economy and the Possibilities of Governance." The British Journal of Sociology 48.2 (1997): 333.
  11. Hirst, Paul Q. From Statism to Pluralism: Democracy, Civil Society, and Global Politics. London: UCL, 1997.
  12. Gordon, David M. "New Left Review - David Gordon: The Global Economy: New Edifice or Crumbling Foundations?" New Left Review - David Gordon: The Global Economy: New Edifice or Crumbling Foundations?
  13. Waltz, Kenneth N. Theory of International Politics. Reading, MA: Addison-Wesley Pub., 1979.
  14. Gilpin, Robert. "The Theory of Hegemonic War." Journal of Interdisciplinary History 18.4 (1988): 591.
  15. Pijl, Kees Van Der. Transnational Classes and International Relations. London: Routledge, 1998.
  16. Hardt, Michael, and Antonio Negri. Empire. Cambridge, MA: Harvard UP, 2000.
  17. Held, David, and Anthony G. McGrew. The Global Transformations Reader: An Introduction to the Globalization Debate. Cambridge, UK: Polity, 2003.
  18. Friedman, Thomas L. The Lexus and the Olive Tree. New York: Farrar, Straus, Giroux, 1999.
  19. Friedman, Thomas L. The World Is Flat: A Brief History of the Twenty-first Century. New York: Farrar, Straus and Giroux, 2005.
  20. Giddens, Anthony. The Consequences of Modernity. Stanford, CA: Stanford UP, 1990.
  21. Wallerstein, Immanuel Maurice. The Modern World-system. San Diego: Academic, 1974.
  22. Harvey, David. The Condition of Postmodernity: An Enquiry into the Origins of Cultural Change. Oxford: Blackwell, 1990.
  23. Sassen, Saskia. Territory, Authority, Rights: From Medieval to Global Assemblages. Princeton, NJ: Princeton UP, 2006.
  24. Strange, Susan. The Retreat of the State: The Diffusion of Power in the World Economy. New York: Cambridge UP, 1996.
  25. Tilly, Charles, Peter B. Evans, Dietrich Rueschemeyer, and Theda Skocpol. War Making and State Making as Organized Crime. Cambridge: Cambridge UP, 1985.
  26. Lloyd, Peter E., and Peter Dicken. Location in Space: A Theoretical Approach to Economic Geography. New York: Harper & Row, 1972.
  27. Zygmunt Bauman, Le coût humain de la mondialisation, Hachette, 1999
  28. Keck, Margaret E., and Kathryn Sikkink. Activists beyond Borders: Advocacy Networks in International Politics. Ithaca, NY: Cornell UP, 1998.
  29. Haas, Peter M. Knowledge, Power, and International Policy Coordination. Columbia, SC: U of South Carolina, 1997.
  30. Gobille Boris, « Les altermondialistes : des activistes transnationaux ? », Critique internationale 2/ 2005 (no 27), p. 131-145
  31. Skrbis, Zlatko, and Ian Woodward. "The Ambivalence of Ordinary Cosmopolitanism: Investigating the Limits of Cosmopolitan Openness." The Sociological Review 55.4 (2007): 730-47.
  32. Schlichte, Klaus. "Jean-François Bayart: Le Gouvernement Du Monde. Une Critique Politique De La Globalisation." Politische Vierteljahresschrift 47.2 (2006): 329-30.