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La concezione clausewitziana rimane determinante per questo tipo di approccio dove, anche se si vuole trasformare la razionalità della guerra, gli Stati fanno la guerra per soddisfare gli interessi politici.
La concezione clausewitziana rimane determinante per questo tipo di approccio dove, anche se si vuole trasformare la razionalità della guerra, gli Stati fanno la guerra per soddisfare gli interessi politici.


=Les transformations de la guerre=
=Le trasformazioni della guerra=
Une série d’approches remettent en cause le canon de Clausewitz et s’interrogent de savoir si la guerre se transforme et de savoir si elle n’est pas conceptualisable comme en dehors d’une rationalité politique. Depuis maintenant plusieurs décennies, la guerre est avant tout une affaire intra-étatique alors que l’approche classique est que la guerre est interétatique. Depuis les années 1970, l’écrasante majorité des guerres sont des guerres civiles. Il y a une remise en question des pratiques de la guerre qui dépasse le cadre du ad bellum et du jus in bellum avec l’émergence de nouveaux acteurs qui mènent des guerres de guérillas, mais aussi avec de nouveaux acteurs comme les mercenaires.  
Una serie di approcci mettono in discussione il canone di Clausewitz e si chiedono se la guerra stia cambiando e se non sia concettualizzabile come al di fuori di una razionalità politica. Da diversi decenni ormai, la guerra è stata principalmente un affare intrastatale, mentre l'approccio classico è che la guerra è interstatale. Dagli anni Settanta, la stragrande maggioranza delle guerre sono state guerre civili. C'è una messa in discussione delle pratiche di guerra che va oltre il quadro dell'ad bellum e dello jus in bellum con l'emergere di nuovi attori che intraprendono guerre di guerriglia, ma anche con nuovi attori come i mercenari.  


La conception classique se réclame de Clausewitz qui a une conception avant tout politique de la guerre. La guerre est quelque chose de rationnel se passant entre acteurs politiques qui jouent le même jeu. Au sein de la discipline de l’étude de la guerre, il y a des remises en question de ce paradigme. L’avènement d’un nouvel ordre mondial représente souvent un moment clef dans cette remise en question. À la fin des années 1970, il y a une remise en question de ce paradigme est en particulier de la question de la « trinité qui est l’État, l’armée et le peuple. On va se mettre à parler de nouvelles guerres dans le contexte d’un détachement progressif de la logique politique de la guerre. L’approche des nouvelles guerres défendues avant tout par Eric Holder. Il y a un avènement d’une guerre post-moderne.
La concezione classica è rivendicata da Clausewitz, che ha una concezione prevalentemente politica della guerra. La guerra è qualcosa di razionale che accade tra attori politici che giocano lo stesso gioco. All'interno della disciplina dello studio della guerra, ci sono sfide a questo paradigma. L'avvento di un nuovo ordine mondiale rappresenta spesso un momento chiave in questo interrogatorio. Alla fine degli anni Settanta, si mette in discussione questo paradigma, in particolare la questione della "trinità che è lo stato, l'esercito e il popolo". Si cominciò a parlare di nuove guerre nel contesto di un graduale distacco dalla logica politica della guerra. L'approccio alle nuove guerre difeso soprattutto da Eric Holder. C'è l'avvento di una guerra post-moderna.


=Guerre, technologie et sécurité=
=Guerre, technologie et sécurité=

Version du 7 juin 2020 à 22:35


Si tratta di una questione piuttosto ampia, essendo un fenomeno importante nel campo delle relazioni internazionali e della sicurezza. Negli ultimi trent'anni circa, si è parlato della guerra come di una forma di violenza politica organizzata.

La concezione classica della guerra

Carl von Clausewitz

La concezione classica della guerra si riferisce a Carl von Clausewitz [1780 - 1832], ufficiale prussiano durante le guerre napoleoniche di fine XVIII e inizio XIX secolo. Nel 1832 pubblicò il suo libro Sulla guerra, che rimane il principale riferimento tra gli operatori di guerra, ma anche nelle scienze politiche e nelle relazioni internazionali.

La definizione di guerra di Clausewitz è "un atto di violenza inteso a costringere l'avversario a compiere la nostra volontà" come "la continuazione della politica con altri mezzi". Queste nozioni rappresentano il buon senso quando si parla di guerra come impresa politica in difesa dei propri interessi. È una pratica razionale e nazionale che si riduce all'uso della violenza organizzata a fini politici. Siamo in un continuum che va dalla politica alla guerra. La guerra è un momento in cui si esce dalla politica per ottenere qualcosa.

Ci sono altre concezioni come quella giuridica, culturale, escatologica o cataclismica:

  • legale: una delle concezioni della guerra spiega che la guerra è un conflitto politico tra due unità armate. In realtà e nella pratica, questa non è una definizione molto utile. Gli Stati possono dichiararsi guerra l'uno contro l'altro senza essere in aperto conflitto. Solo perché si è legalmente in guerra non significa che si è in stato di guerra. È anche possibile raggiungere uno stato di violenza generalizzata senza dichiarare guerra.
  • culturale: la stessa pratica nello stesso contesto può portare alla guerra. È da guardare quando certe pratiche sono guerra.
  • escatologico - cataclismico: in relazione a Clausewitz, che ha una visione politica e razionale della guerra, la visione escatologica è che la guerra ha la vocazione di distruggere completamente l'umanità come le due guerre mondiali con guerre totali. Questo può essere, ad esempio, il pericolo di una guerra nucleare.

Oggi la concezione clausewitziana domina in gran parte i dibattiti di scienze politiche, relazioni internazionali e filosofia politica. La guerra è anche una concezione legata al processo di costruzione dello Stato.

In The Anarchical Society[9] Pubblicato nel 1977, Bull propose una definizione di guerra:« organized violence carried on by political units against each other. Violence is not war unless it is carried out in the name of a political unit; what distinguishes killing in war from murder is its vicarious and official character, the symbolic responsibility of the unit whose agent is the killer. Equally, violence carried out in the name of a political unit is not war unless it is directed against another political unit; the violence employed by the state in the execution of criminals or the suppression of pirates does not qualify because it is directed against individuals ».

Bull chiarisce che la violenza non è guerra se non è condotta da un'unità politica. Ciò che distingue l'omicidio dalla guerra e il suo carattere ufficiale è che si tratta di una situazione fuori dal comune. La violenza condotta da un'unità politica non è guerra, a meno che non sia condotta contro un'altra unità politica.

Guerra e relazioni internazionali

L'idea è quella di inscrivere la guerra come una migliore comprensione della posta in gioco di una disciplina. Nella disciplina delle relazioni internazionali, c'è una "divisione del lavoro" tra realismo e liberalismo. La guerra rimane un ovvio mezzo di comunicazione e di ricerca per questi approcci. Il realismo e il neorealismo saranno interessati alla guerra e il liberalismo sarà interessato alla controparte della guerra che è la pace. L'uno non va senza l'altro. Si confrontano con questa divisione del lavoro secondo la loro concezione dell'uomo e del sistema internazionale.

I realisti e i neorealisti

I realisti sono interessati alla guerra nell'ambito di un approccio anstorico in quanto istintivo con autori come Carr o Morgenthau. Per i neorealisti, la causa principale della guerra non è la natura dell'uomo, ma la natura del sistema internazionale stesso. Gli Stati competono per il potere, il sistema internazionale genererà una guerra come Kenneth Waltz che parla della guerra come di qualcosa essenzialmente legato al fatto che il sistema internazionale è un equilibrio di potere in un sistema anarchico. Non appena raggiungiamo un certo ordine di equilibrio, non abbiamo intenzione di combattere. Per i realisti e i neorealisti, la fine della guerra non è un obiettivo in sé. Secondo questa logica, la pace può essere raggiunta solo neutralizzando gli avversari. La deterrenza nucleare era un sistema efficace per non andare in guerra perché c'era il timore di una garanzia di distruzione reciproca, che è la teoria della MAD. L'approccio neorealista è incentrato sull'occidente perché il resto del mondo ha sofferto di guerre per procura.

Approcci liberali

C'è accordo con i realisti che il sistema internazionale è essenzialmente anarchico, ma c'è la convinzione che attraverso la cooperazione, il sistema può essere migliorato sviluppando la cooperazione tra i diversi attori del sistema internazionale. Ci sono due argomenti per porre fine alla guerra:

  • la pace attraverso il commercio: lo sviluppo di ampie relazioni commerciali non è nell'interesse, perché c'è troppo da perdere economicamente. Questo argomento ha fortemente influenzato il liberalismo istituzionale come con il lavoro di Keohane e Dahl.
  • teoria della pace democratica: le democrazie non si fanno la guerra tra loro. Questa è una tesi influente nelle relazioni internazionali. In linea di principio, non ci sono mai state due democrazie in guerra tra loro. Questa teoria sostiene di essere basata su Kant e sul suo progetto di pace perpetua, che è stato ampiamente ripreso dai sostenitori della pace democratica, ma anche dagli autori dell'approccio cosmopolita, come David Held, con l'idea di democratizzare il mondo affinché non ci siano più guerre.

La concezione clausewitziana rimane determinante per questo tipo di approccio dove, anche se si vuole trasformare la razionalità della guerra, gli Stati fanno la guerra per soddisfare gli interessi politici.

Le trasformazioni della guerra

Una serie di approcci mettono in discussione il canone di Clausewitz e si chiedono se la guerra stia cambiando e se non sia concettualizzabile come al di fuori di una razionalità politica. Da diversi decenni ormai, la guerra è stata principalmente un affare intrastatale, mentre l'approccio classico è che la guerra è interstatale. Dagli anni Settanta, la stragrande maggioranza delle guerre sono state guerre civili. C'è una messa in discussione delle pratiche di guerra che va oltre il quadro dell'ad bellum e dello jus in bellum con l'emergere di nuovi attori che intraprendono guerre di guerriglia, ma anche con nuovi attori come i mercenari.

La concezione classica è rivendicata da Clausewitz, che ha una concezione prevalentemente politica della guerra. La guerra è qualcosa di razionale che accade tra attori politici che giocano lo stesso gioco. All'interno della disciplina dello studio della guerra, ci sono sfide a questo paradigma. L'avvento di un nuovo ordine mondiale rappresenta spesso un momento chiave in questo interrogatorio. Alla fine degli anni Settanta, si mette in discussione questo paradigma, in particolare la questione della "trinità che è lo stato, l'esercito e il popolo". Si cominciò a parlare di nuove guerre nel contesto di un graduale distacco dalla logica politica della guerra. L'approccio alle nuove guerre difeso soprattutto da Eric Holder. C'è l'avvento di una guerra post-moderna.

Guerre, technologie et sécurité

La technologie a un impact sur la façon de mener la guerre et de la conception de la sécurité. Le constat est que même si les démocraties ne se font plus la guerre entre elles, elles continuent de la faire ailleurs. Du moment que l’on part de ce constat, il est intéressant de s’interroger sur comment la guerre en occident s’est transformée ou pas ces dernières années.

La guerre postmoderne est ce qu’on qualifie de Western Way of War avec une révolution dans les affaires militaires [RAM] avec une le concept de « guerre zéro mort ». Dans cette remise en question survient l’idée de guerre comme spectacle sportif avec une virtualisation de la guerre et la création d’un discours techno-stratégique avec des effets concrets sur l’organisation de la violence politique dans le monde d’aujourd’hui. Ces différentes approches et différentes idées remettent en question la guerre comme étant avant tout un phénomène politique. La question est de savoir si nous avons affaire à une évolution ou à une révolution avec la guerre qui a changée de nature. Colin Gray a publié en 1999 un article provocateur intitulé Clausewitz rules, OK? The future is past-with GPS[10] qui postule que la guerre n’a pas changée faisant des guerres pour les mêmes raisons.

Pour les autres, on est dans une transformation fondamentale dans la manière de faire la guerre à cause d’un certain développement technologique dans le cadre de la révolution de l’information transformant la façon de mener la guerre et même la rationalité des acteurs dans la façon de mener la guerre.

Le Western Way of War est le fait d’avoir une transformation avec le passage d’une armée de conscription à une armée professionnelle donc avec beaucoup moins de soldat. Le modèle patriotique de faire la guerre est abandonné. L’autre aspect consiste à dire que la guerre s’appuie de plus en plus sur la technologie. D’autre part, on est face à des populations de moins en moins prêtes à accepter les coûts d’une guerre est d’élargir le risque.

Predator launching a Hellfire missile

La technologie a un impact à travers l’idée de la révolution des affaires militaires. C’est un terme développé avant tout par les militaires eux-mêmes et particulièrement par des militaires américains à la fin de la Guerre froide avec l’idée d’utiliser une logistique civile et militaire pour contrôler le terrain et limiter les pertes humaines. C’est par exemple l’utilisation des drones qui permettent de mener la guerre en préservant la vie d’un pilote. Ce sont aussi les munitions intelligentes, les technologies furtives, les armes électromagnétiques ou encore les GPS. La guerre pour être gagnée doit fonctionner avec des réseaux d’informations dans lesquels les informations circulent extrêmement rapidement afin d’échanger des informations de façon instantanée, c’est le Network centric warfare afin de gagner en efficacité.

Colin McInnes se pose la question de savoir si la guerre est-elle devenue un spectacle sportif. Du moment où l’enjeu de la guerre n’est plus la survie, il est beaucoup plus compliqué de devoir mener une guerre. Surtout, cela veut dire que du moment que les populations qui sont détachées de la guerre, l’idée est que comme un supporter, on sympathise, mais on ne souffre pas, on a de l’empathie, mais on ne l’expérimente pas. Cela dématérialise la guerre soulevant la question de l’absence de réalité de la guerre.

Le lien entre le citoyen et l’action militaire est désormais virtuel dans les pays occidentaux se démarquant d’une conception plus traditionnelle de la guerre. Du moment où s’est imposée l’idée de « guerre zéro mort », la guerre se virtualise de plus en plus du point de vue occidental. C’est une approche beaucoup plus postmoderne des relations internationales. C’est une approche critique.

Depuis une vingtaine d’années, James Der Darian postule que ces nouvelles guerres créent de nouvelles réalités non pas seulement pour les populations, mais pour les opérateurs eux-mêmes pouvant transformer le rapport à la mort. La Première Guerre où on a commencé à en parler était autour de la Guerre du Golfe en 1991. Le décalage entre la réalité sur le terrain et le fait que les pays qui ont envoyé ces troupes n’ont pas conscience de ce qui se passe dû au « brouillard de guerre » peut changer le rapport que l’on a à la guerre. En 1991, Jean Baudrillard a écrit que la Guerre du Golfe n’a pas eu lieu, l’idée étant de montrer le décalage dans la perception.

Du moment qu’on entre dans cette logique virtuelle, on est face à plusieurs conséquences :

  • on est dans une logique de simulation : on va être moins prêt à gérer de l’imprévu ou quelque chose qui sort de ce scénario. La simulation déshumanise la guerre puisqu’elle décide de ce qui va se passer.
  • il devient beaucoup plus facile de tuer : la virtualisation à une tendance à déshumaniser la logique de duel. Même s’il y a de la violence, il y a l’idée qu’on est dans une forme de contrat. Avec la virtualisation, le risque de la mort est disproportionné.

C’est la mise en place d’un discours techno-stratégique mettant l’accent sur le fait que la technologie est la meilleure façon de mener la guerre en ayant le moins de perte possible. Il y a une véritable fascination pour la technologie à travers l’esthétisation avec une banalisation de la violence. Une franche féministe des relations internationales avec des auteurs comme Cohn, a produit des études sur le rapport genré à la violence liée à la technologie. Ces féministes iront même jusqu’à critiquer Der Darian montrant comment ces auteurs contribuent à la fascination de ces analyses, en d’autres termes que la fascination pour la technologie au travers une esthétisation banalise la violence. La technologie est utilisée de plus en plus dans la manière occidentale de faire la guerre, de plus, la guerre est de plus en plus distanciée du terrain à travers la virtualisation déshumanisation la guerre et remettant en question l’approche classique de la guerre.

La fine della guerra?

Foucault propone un'inversione della massima di Clausewitz secondo cui la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi[11]. Secondo questa logica, nelle pratiche di guerra si stabilirà una connessione tra la logica della sicurezza e la logica della sorveglianza. Per condurre la guerra contro il terrorismo, le popolazioni saranno sempre più sotto sorveglianza. Frédéric Gros spinge ancora più in là l'idea foucaultiana, partendo dal principio che più che pensare a come la guerra si trasforma, preferiremmo non vedere la fine della guerra, visto che fino ad allora la guerra aveva operato in un quadro che era stato riconosciuto. Nel momento in cui queste logiche vengono infrante, non siamo più in una logica di guerra o di pace, ma in uno stato di violenza.

La nuova distribuzione della violenza non si riflette più in termini di guerra e di pace, ma di intervento e di sicurezza. In un mondo globalizzato, ciò che è importante è che i flussi fluiscano, che le distanze si siano ridotte, che le merci, i capitali e le persone si muovano liberamente. Tuttavia, la globalizzazione ha un lato oscuro con chi può muoversi liberamente e chi la mette a rischio. La posta in gioco oggi è la regolamentazione della globalizzazione. Ci saranno interventi per aumentare la sicurezza della comunità dei vivi al fine di consentire una più efficiente circolazione dei diversi flussi che compongono la globalizzazione e che i flussi che minacciano sono le persone al di fuori di questo sistema. La guerra è una pausa, l'intervento è un ritorno alla normalità.

Annessi

Referenze

  1. Page de Stephan Davidshofer sur Academia.edu
  2. Page personnelle de Stephan Davidshofer sur le site du Geneva Centre for Security Policy
  3. Compte Twitter de Stephan Davidshofer
  4. Page de Xavier Guillaume sur Academia.edu
  5. Page personnelle de Xavier Guillaume sur le site de l'Université de Édimbourg
  6. Page personnelle de Xavier Guillaume sur le site de Science Po Paris PSIA
  7. Page de Xavier Guillaume sur Academia.edu
  8. Page personnelle de Xavier Guillaume sur le site de l'Université de Groningen
  9. Bull, Hedley. The Anarchical Society: A Study of Order in World Politics. New York: Columbia UP, 1977.
  10. Gray, Colin. "Clausewitz Rules, OK? The Future Is the Past—with GPS." Review of International Studies 25.5 (1999): 161-82.
  11. Entretien avec Lévy, B.-H. L’imprévu, n° 1, 27 janvier, p. 16. Correspondance Dits et Ecrits : tome II, texte n° 148.