« Geografia della ricchezza e dello sviluppo » : différence entre les versions

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Dal momento in cui ci troviamo in questo paradigma, che è un paradigma piuttosto negativo di effetti di saccheggio, le uniche soluzioni sono di combattere o cercare di compensarlo. Non è questa l'ideologia dominante. E' l'ideologia di molti intellettuali di "sinistra", è anche l'ideologia di molti movimenti di alterglobalizzazione, ma non è l'ideologia delle grandi organizzazioni internazionali che decidono come il WTO, la Banca Mondiale e i maggiori Stati che decidono gli accordi internazionali. Sono pochissimi i paesi che hanno guidato questo tipo di pensiero.
Dal momento in cui ci troviamo in questo paradigma, che è un paradigma piuttosto negativo di effetti di saccheggio, le uniche soluzioni sono di combattere o cercare di compensarlo. Non è questa l'ideologia dominante. E' l'ideologia di molti intellettuali di "sinistra", è anche l'ideologia di molti movimenti di alterglobalizzazione, ma non è l'ideologia delle grandi organizzazioni internazionali che decidono come il WTO, la Banca Mondiale e i maggiori Stati che decidono gli accordi internazionali. Sono pochissimi i paesi che hanno guidato questo tipo di pensiero.


== Les échanges comme jeu à somme positive ==
== Gli scambi come gioco a somma positiva ==


L'idéologie qui prévaut est celle de l'échange comme jeu à somme positive. Cela fonctionne comme une idéologie. On est dans un cadre de pensée ou l'échange produit la richesse. L'échange permet de la spécialisation et autorise la production de richesses. Ce type de développement n’est pas exogène, mais endogène. Il est de la capacité de certains pays à se spécialiser et à s'ouvrir sur les échanges, à valoriser leurs avantages comparatifs ou à mettre en place leurs rendements croissants.
L'ideologia prevalente è quella dello scambio come gioco di somme positivo. Funziona come un'ideologia. Siamo in un quadro di pensiero in cui lo scambio produce ricchezza. Lo scambio permette la specializzazione e autorizza la produzione di ricchezza. Questo tipo di sviluppo non è esogeno, ma endogeno. È la capacità di alcuni paesi di specializzarsi e aprirsi al commercio, di accrescere i loro vantaggi comparativi o di realizzare i loro crescenti profitti.


On est dans le cadre de l'explication déterministe du développement qui essaie d'identifier une carte qui serait comme ante-économique qui permettrait d'expliquer les contrastes de développement économique. Certains pays avaient une capacité au développement, une prédisposition au développement et puis d'autres non. Une fois cartographiées, ces prédispositions permettront de comprendre la carte qui en résulte à savoir celle des accumulations de richesse. Il faut bien comprendre que dans un premier temps, si on suit Ricardo, il ne s'agit pas du tout de cartographier l'avantage comparatif puisque tous les pays ont un avantage comparatif. On devrait essayer de cartographier le différentiel de capacité des pays à exploiter leur avantage comparatif puisqu’ils en ont tous un. Si tous les pays, selon Ricardo, ont un avantage comparatif, cela ne veut pas dire qu’ils se valent et qu’ils sont tous autant producteurs de richesses, de développement, de plus-values et de croissance. Ce qui est intéressant dans ce cadre de pensée est l'idée qu’au fond le développement, l'industrialisation, la richesse et la croissance sont normaux puisque chacun a un avantage comparatif. Ce qui est anormal et qui mérite d'être expliqué n’est pas la richesse, mais la pauvreté. En conséquence, il ne faut pas aller fouiller dans l'histoire des sociétés les plus riches et qui se sont enrichies, mais il faut aller voir ce qui empêche les pays pauvres de s’enrichir. Cela est raisonner en termes de blocage.
Siamo nel contesto della spiegazione deterministica dello sviluppo, che tenta di identificare una mappa che sarebbe anti-economico al fine di spiegare i contrasti nello sviluppo economico. Alcuni paesi avevano una capacità di sviluppo, una predisposizione allo sviluppo e altri no. Una volta mappate, queste predisposizioni ci aiuteranno a comprendere la mappa risultante dell'accumulazione di ricchezza. Occorre comprendere chiaramente che, inizialmente, se seguiamo Ricardo, non si tratta affatto di mappare il vantaggio comparativo, poiché tutti i paesi hanno un vantaggio comparativo. Dovremmo cercare di individuare le differenze nella capacità dei paesi di sfruttare il loro vantaggio comparativo, poiché tutti ne hanno uno. Tutti i paesi, secondo Ricardo, hanno un vantaggio comparativo, ma questo non significa che siano uguali e che siano tutti produttori di ricchezza, sviluppo, valore aggiunto e crescita. Ciò che è interessante in questo quadro di pensiero è l'idea che fondamentalmente lo sviluppo, l'industrializzazione, la ricchezza e la crescita sono normali, dal momento che tutti hanno un vantaggio comparativo. Ciò che è anormale e che vale la pena spiegare non è la ricchezza, ma la povertà. Di conseguenza, non dobbiamo guardare alla storia delle società più ricche che sono diventate più ricche, ma dobbiamo guardare a ciò che impedisce ai paesi poveri di diventare più ricchi. Questo è il ragionamento in termini di blocco.


Beaucoup des théories économiques du développement et du commerce international vont essayer de décrire les blocages avec plus ou moins de finesse. Une théorie très à la mode dans les années 1960 était la théorie de Rostow qui réside dans les écarts à la croissance et qui avait formulé la « théorie du décollage ». Cette théorie est intéressante historiquement. L’idée de Rostow est qu’il avait regardé avec attention le développement économique de l’Europe, de l’Angleterre et des États-Unis et il avait repéré qu'il avait cinq étapes successives dans le développement. Ces étapes étaient marquées au milieu par une phase d'accélération. À regarder les chiffres de la production par exemple les prix, on pouvait voir des signes avant-coureurs juste avant le « takeoff » et voir que la phase de décollage a bien eu lieu. Il y a une phase de stabilité haute avec beaucoup de richesses et un taux de croissance élevé étant le mode de développement économique. Tout pays va connaître ce type de développement économique. C’est un modèle de transition. La transition est très importante dans l'histoire des sciences occidentales et aussi dans le l’histoire des sciences-sociales. C'est la vérité de la transition démographique. Les indices démographiques sont, par exemple le fait que la natalité commence à baisser, que la mortalité commence à diminuer et que ça va décoller. Ces théories ne sont pas des théories déductives, mais ce sont des théories empiriques fondées sur l'expérience de l'observation, sur ce qui s'est passé, mais qu’on a pu observer. L'idée était que ce modèle était universaliste, que nécessairement tous les pays allaient suivre la même route, que la transition démographique et la croissance économique suit un chemin régulier, une route qu’on pouvait emprunter que d'une façon et dans un sens. Si la Corée du Sud veut s’industrialiser, elle va devoir faire comme l’Angleterre au XVIIème siècle et au XVIIIème siècle. Cela ne s’est pas passé comme cela. Il n'y a pas qu'un seul modèle, il y a plusieurs voix, mais ce n’est pas forcement une fatalité. En d’autres termes, il n'y apas qu'une croissance, mais la croissance n’est pas une fatalité. Donc, les blocages ne seraient pas un moment comme pour Rostow.
Molte delle teorie economiche dello sviluppo e del commercio internazionale cercheranno di descrivere i blocchi con più o meno finezza. Una teoria molto alla moda nel 1960 è stata la teoria di Rostow dei divari di crescita, che aveva formulato la "teoria del decollo". Questa teoria è interessante storicamente. L'idea di Rostow era di aver esaminato attentamente lo sviluppo economico dell'Europa, dell'Inghilterra e degli Stati Uniti e di aver notato che aveva cinque fasi successive di sviluppo. Queste fasi sono state contrassegnate a metà da una fase di accelerazione. Osservando i dati di produzione, ad esempio i prezzi, si possono vedere i segnali di avvertimento poco prima del decollo e vedere che la fase di decollo ha avuto luogo. C'è una fase di elevata stabilità con molta ricchezza e un alto tasso di crescita è la modalità di sviluppo economico. Ogni paese sperimenterà questo tipo di sviluppo economico. E' un modello di transizione. La transizione è molto importante nella storia delle scienze occidentali e anche nella storia delle scienze sociali. Questa è la verità della transizione demografica. Gli indicatori demografici sono, ad esempio, il fatto che il tasso di natalità sta cominciando a diminuire, che la mortalità sta cominciando a diminuire e che decollerà. Queste teorie non sono teorie deduttive, ma sono teorie empiriche basate sull'esperienza dell'osservazione, su ciò che è accaduto, ma che sono state osservate. L'idea era che questo modello fosse universalista, che necessariamente tutti i paesi seguissero la stessa strada, che la transizione demografica e la crescita economica seguissero un percorso costante, un percorso che potesse essere intrapreso solo in un modo e in una direzione. Se la Corea del Sud vuole industrializzarsi, dovrà fare come l'Inghilterra nei secoli XVII e XVIII. Non è così che è successo. Non c'è un solo modello, ci sono più voci, ma non è necessariamente inevitabile. In altre parole, c'è solo crescita, ma la crescita non è inevitabile. Quindi i blocchi non sarebbe un momento come per Rostow.


Une autre théorie du blocage intéressante mise en place par Nurske est la théorie des cercles vicieux de la pauvreté qui est donc beaucoup plus basée sur une société dans sa capacité. Une société qui investit peu est une société qui produit peu et qui dégage peu de profits et qui s'enferme dans la pauvreté. Cette idée explique un blocage dans les cercles vicieux qui sont ceux de la pauvreté et des cercles vertueux qui sont ceux de la richesse. Il y a l’idée comparable à ces deux modes d'être économique avec un « régime bas » qui est la pauvreté avec ses logiques et ses cercles vicieux et puis un « régime haut » de la richesse avec ses cercles vertueux qui fait que ça s'entretient, mais pas de moyen de passer de l'un à l'autre. Ces théories font passer la croissance pour normale et cherchent à expliquer au fond l'absence de croissance décrivant des processus, mais elle n'en donne pas vraiment les causes.
Un'altra interessante teoria di blocco messa in atto da Nurske è la teoria del circolo vizioso della povertà, che è quindi molto più basata su una società nella sua capacità. Una società che investe poco è una società che produce poco e fa poco profitto e si blocca nella povertà. Questa idea spiega un blocco nei circoli viziosi della povertà e nei circoli virtuosi della ricchezza. C'è l'idea paragonabile a questi due modi di essere economico con un "regime basso" che è la povertà con le sue logiche e i suoi circoli viziosi e poi un "regime alto" di ricchezza con i suoi circoli virtuosi che lo fanno mantenere, ma non c'è modo di passare dall'uno all'altro. Queste teorie fanno sembrare normale la crescita e cercano fondamentalmente di spiegare la mancanza di processi di descrizione della crescita, ma non ne indicano le cause.


Il faut aller plus loin. On est allé chercher trois types d'explications :
Dobbiamo andare oltre. Siamo andati a cercare tre tipi di spiegazioni:
*le premier type est le déterminisme physique démographique ;
*il primo tipo è il determinismo demografico fisico;
*le deuxième type est des explications sociales, historiques et culturelles ;
*il secondo tipo è quello delle spiegazioni sociali, storiche e culturali;
*le troisième type renverra à Krugman se sont les rendements croissants.
*il terzo tipo tornerà a Krugman sono i rendimenti crescenti.


=== Les milieux naturels ===
=== Ambienti naturali ===


Il y a la question des milieux naturels et de l’environnement. Si on était capable d’expliquer les inégalités de ressources et de richesses par le milieu naturel, les géographes seraient très hauts placés dans la hiérarchie universitaire et ce serait un discours très déculpabilisant. Le milieu naturel n’est pas nous, peut-être dieu et donc les êtres humains ne sont pas coupables des inégalités. Cette explication est rassurante surtout pour les riches. On n'a pas établi de lien entre tel type de milieu naturel et puis entre la richesse et la pauvreté. Ce sont deux phénomènes qui n'ont rien à voir. Pendant des siècles et des millénaires, cette idée a porté des noms très différents. Chez les grecs, on parlait aussi de la théorie des climats, sous Montesquieu et Bodin et puis après on a parlé de déterminisme géographique ou de déterminisme environnemental. L'idée était simple qui était que la géographie humaine s'expliquait par la géographie physique. Il y aurait des pays qui ont des bonnes ressources naturelles et deviennent riches et des pays qui ont peu de ressources naturelles et qui restent pauvre. Cette idée a été battue en brèche assez récemment à partir des années 1960 et 1970 et pas seulement par les géographes.
C'è la questione dell'ambiente naturale e dell'ambiente. Se fossimo in grado di spiegare le disuguaglianze nelle risorse e nella ricchezza attraverso l'ambiente naturale, i geografi sarebbero molto in alto nella gerarchia universitaria e questo sarebbe un discorso molto privo di colpe. L'ambiente naturale non siamo noi, forse Dio, e quindi gli esseri umani non sono colpevoli di disuguaglianze. Questa spiegazione è rassicurante soprattutto per i ricchi. Non è stato stabilito alcun legame tra questo tipo di ambiente naturale e poi tra la ricchezza e la povertà. Questi due fenomeni non hanno nulla a che vedere con il fenomeno. Per secoli e millenni, questa idea ha avuto nomi molto diversi. Tra i greci, abbiamo anche parlato di teoria del clima, sotto Montesquieu e Bodin e poi abbiamo parlato di determinismo geografico o determinismo ambientale. L'idea era semplice: la geografia umana si spiegava con la geografia fisica. Ci sarebbero paesi che dispongono di buone risorse naturali e diventerebbero ricchi e paesi che dispongono di scarse risorse naturali e rimangono poveri. Questa idea è stata minata molto recentemente, dagli anni '60 e '70, e non solo dai geografi.


Un premier argument est qu’il n'y a pas de ressources naturelles. D'une part, une ressource répond à un besoin et les besoins sont socialement construits. La première question est : est-ce qu'il existe des besoins naturels ? Une ressource qui correspond à un besoin social n'est pas vraiment naturelle parce qu’elle ne l'est qu‘à l’égard d’un besoin déterminé. Ce besoin est lié également à des capacités technologiques. Dans le cadre de mutations technologiques, certaines ressources deviennent obsolètes. Cela est toujours naturel, mais ce n’est plus des ressources. Ce qui détermine une ressource est social, économique, politique et technologique. Il n’y a pas de ressources dans lesquelles il y a toujours du culturel, du politique, de l'économie et du technologique. En quelque sorte, le pétrole s'invente, ce n'est pas une ressource naturelle. Tant que quelqu’un n’avait inventé le moteur explosion, on ne saurait pas quoi faire du pétrole. Il faut une convergence technologique très importante pour que le pétrole devienne intéressant à savoir une ressource. Cette convergence n’est pas seulement économique et technologique, mais elle est aussi culturelle. Ce qui constitue le pétrole comme ressource sont les sociétés. Cet argument est essentiel parce que cela signifie que rien n'est jamais donné d'avance. Peut-être que si on veut renverser la logique, on pourrait dire que les pays riches sont des pays qui ont réussi à inventer leurs ressources naturelles. Pour le dire de façon moins provocatrice, des pays riches sont des pays qui ont réussi à transformer les éléments de leur environnement en ressources naturelles.
Una prima argomentazione è che non ci sono risorse naturali. Da un lato, una risorsa soddisfa un bisogno e i bisogni sono socialmente costruiti. La prima domanda è: ci sono bisogni naturali? Una risorsa che corrisponde a un bisogno sociale non è veramente naturale perché è solo naturale rispetto a un bisogno specifico. Questa esigenza è legata anche alle capacità tecnologiche. Nel contesto dell'evoluzione tecnologica, alcune risorse stanno diventando obsolete. E' sempre naturale, ma non è più una risorsa. Ciò che determina una risorsa è sociale, economico, politico e tecnologico. Non ci sono risorse in cui ci sia sempre cultura, politica, economia e tecnologia. In un certo senso, il petrolio è inventato, non è una risorsa naturale. Finché qualcuno non avrà inventato il motore a scoppio, non sapremo cosa fare dell'olio. Ci vuole una convergenza tecnologica molto importante perché il petrolio diventi una risorsa interessante. Questa convergenza non è solo economica e tecnologica, ma anche culturale. Ciò che costituisce il petrolio come risorsa sono le società. Questo argomento è essenziale perché significa che non si dà mai nulla in anticipo. Forse, se vogliamo invertire la logica, potremmo dire che i paesi ricchi sono paesi che sono riusciti a inventare le proprie risorse naturali. Per dirla in termini meno provocatori, i paesi ricchi sono paesi che sono riusciti a trasformare elementi del loro ambiente in risorse naturali.


Le deuxième point est que si il y avait eu lien entre les ressources naturelles, leur exploitation, et l'enrichissement, on pourrait suivre l'accumulation du capital selon les lieux où on a opéré une exploitation massive de ce lieu naturel. Les régions les plus riches seraient les régions où on a le plus exploité les richesses naturelles. Le capital, le profit dégagé, le capital accumulé lors de l’exploitation ne reste pas sur place. Les fronts pionniers, les régions minières sont des lieux désertés par les capitaux qui sont allés s'investir dans des grands centres et des grandes capitales. Par exemple, la richesse dégagée par les fronts pionniers brésiliens se voit à San Paolo.
Il secondo punto è che se ci fosse stato un legame tra le risorse naturali, il loro sfruttamento e il loro arricchimento, potremmo seguire l'accumulo di capitale a seconda di dove abbiamo operato un massiccio sfruttamento di questo luogo naturale. Le regioni più ricche sarebbero quelle in cui le risorse naturali sono state sfruttate maggiormente. Il capitale, il profitto generato, il capitale accumulato durante lo sfruttamento non rimangono sul posto. I fronti pionieristici, le regioni minerarie, sono luoghi abbandonati dal capitale che ha investito in grandi centri e capitali. Ad esempio, la ricchezza generata dai fronti pionieristici brasiliani si può vedere a San Paolo.


La troisième raison pour douter de ce lien entre les ressources naturelles et la richesse est à l'absence de corrélation entre les deux. Il y a trop de contre-exemples. Il y a plein d'exemples de pays très richement dotés en ressources naturelles et qui n'ont connu aucun décollage économique. En revanche, il y a des pays très peu et très mal dotés en ressources naturelles qui ont connu un développement important. L'exception est les économies de rente. On ne peut nier par exemple que la richesse des pays du golfe est liée au pétrole. Les choix que sont en train de faire Dubaï au Qatar montrent bien qu'ils pensent à l’après-pétrole et qu'ils essaient de transformer leur économie en quelque chose qui se fonde sur autre chose que la rente. Les ressources naturelles ne durent pas. Ce n’est pas aux ressources naturelles que l’on va comprendre les contrastes de richesse et de développement.
Il terzo motivo per dubitare di questo legame tra risorse naturali e ricchezza è la mancanza di correlazione tra le due. Ci sono troppi contro-esempi. Vi sono molti esempi di paesi che sono molto ricchi di risorse naturali e non hanno visto alcun decollo economico. D'altro canto, vi sono paesi con pochissime e pochissime risorse naturali che hanno conosciuto uno sviluppo significativo. Fanno eccezione i risparmi previdenziali. Non si può negare, ad esempio, che la ricchezza dei paesi del Golfo è legata al petrolio. Le scelte che Dubai sta facendo in Qatar dimostrano che stanno pensando al post-petrolio e stanno cercando di trasformare la loro economia in qualcosa di diverso da un affitto. Le risorse naturali non durano. Non sono le risorse naturali a farci capire i contrasti tra ricchezza e sviluppo.


L’autre versant est la question des contraintes, la question des risques et la question des milieux hostiles. Il y a des milieux hostiles, difficiles, compliqués et d'autres qui sont plus propices au développement humain. Il y a des milieux hostiles et des milieux épidémiologies qui sont moins hostiles. Si un pays a la malaria, le cyclone, le tremblement de terre, le volcan, 40° à l'ombre, humidité à 90%, les contraintes sont telles et le milieu tellement aussi que ce n’est pas possible. C’est une idée très ancienne et elle est réversible. La raison pour laquelle ont s ‘est développé en milieu tempéré est difficile parce qu’on a des saisons qui changent, parfois il fait froid, parfois il fait chaud, la terre ne nourrit pas facilement, il faut développer une civilisation, une technologie et une société hiérarchisée. Le fait déterministe marche dans les deux sens, mais sur le plan logique n’est pas à porter à son crédit. Ce qui n'est pas à porter à son crédit non plus et qu’il aboutit toujours à la même conclusion, c'est-à-dire au fait que la zone intertropicale est condamnée à la pauvreté, au sous-développement et ne sortira jamais de l’« âge des cavernes » et ; en revanche, la zone tempérée est condamnée à la civilisation, au progrès, au développement et à la richesse. On retrouve cette idée dans la théorie des climats notamment chez les grecs en -500 avant Jésus-Christ. Laperception de notre environnement est liée à notre culture et à nos attentes.
L'altro lato è la questione dei vincoli, dei rischi e degli ambienti ostili. Ci sono ambienti ostili, difficili, complicati e altri che sono più favorevoli allo sviluppo umano. Esistono ambienti ostili e ambienti epidemiologici meno ostili. Se un paese ha malaria, ciclone, terremoto, vulcano, 40° all'ombra, umidità al 90 per cento, i vincoli sono tali e l'ambiente tanto che non è possibile. E' un'idea molto antica ed è reversibile. La ragione per cui ci siamo sviluppati in ambiente temperato è difficile perché abbiamo stagioni che cambiano, a volte è freddo, a volte è caldo, la terra non si nutre facilmente, è necessario sviluppare una civiltà, una tecnologia e una società gerarchica. Il fatto deterministico funziona in entrambi i sensi, ma logicamente non gli fa onore. Nemmeno questo va a suo merito, e giunge sempre alla stessa conclusione, che la zona intertropicale è condannata alla povertà, al sottosviluppo e non uscirà mai dall'"età delle caverne"; d'altra parte, la zona temperata è condannata alla civiltà, al progresso, allo sviluppo e alla ricchezza. Questa idea può essere trovata nella teoria dei climi, soprattutto tra i greci nel 500 aC. La percezione del nostro ambiente è legata alla nostra cultura e alle nostre aspettative.


S’il y a d'un côté la question des ressources naturelles, d'un autre côté il y a celle des contraintes. L’idée des contraintes a souvent été évoquée comme pour les ressources. On a pu essayer d'expliquer que les pays qui avaient beaucoup de contraintes naturelles n'arrivaient pas à se développer ou bien qu'au contraire, les pays où il n’y avait pas de contraintes naturelles n'arrivaient pas à se développer. Le premier constate à relativiser voir à démentir est l'idée qu'il existerait des milieux hostiles ou des milieux à risque puisque le caractère inhospitalier d'un milieu ne se fait toujours que par rapport à certains genres de vie et donc par rapport à un point de vue qui lui est souvent extérieur.
Se da un lato c'è la questione delle risorse naturali, dall'altro c'è la questione dei vincoli. L'idea dei vincoli è stata spesso evocata come quella delle risorse. Si è cercato di spiegare che i paesi con molti vincoli naturali non erano in grado di svilupparsi o che, al contrario, quelli senza vincoli naturali non lo erano. Il primo è l'idea che ci siano ambienti ostili o a rischio, poiché la natura inospitale di un ambiente è sempre in relazione con certi tipi di vita e quindi con un punto di vista che spesso è esterno ad esso.


Tout comme il n'existe pas de ressources naturelles, il n'y a pas non plus de risques naturels. Jamais un risque purement naturel ne peut présenter de danger. Un des gros problèmes liés aux risques naturels sont des questions d'hygiène ou les épidémies qui se déclenchent après les grandes catastrophes. Ces épidémies ou ces problèmes d'hygiène sont souvent liés à des concentrations humaines. L'aléa est la nature dans les expressions, en revanche, la vulnérabilité d’une société à cet aléa est toujours une construction sociale, historique, économique et politique. Ce qu'on appelle en géographie un « risque » est la conjonction d'un aléa et d’une vulnérabilité. Pour réduire les risques, on ne peut pas faire grand-chose sur les aléas, mais, en revanche, il est possible de faire beaucoup sur la réduction de la vulnérabilité. D'un côté, on clame la toute-puissance de la nature et de soumission à celle-ci et en même temps on a du mal à accepter l’idée que l'aléa peut avoir des causes qui ne sont pas des causes qui ne sont pas humaines. Les risques naturels n’existent pas en tant que tel et ne constituent pas un frein au développement ou une explication au contraste de richesses.
Così come non ci sono risorse naturali, non ci sono nemmeno pericoli naturali. Un rischio puramente naturale non può mai rappresentare un pericolo. Uno dei principali problemi legati ai pericoli naturali è rappresentato dalle questioni igieniche o dalle epidemie che si verificano dopo gravi catastrofi. Queste epidemie o questi problemi igienici sono spesso legati alle concentrazioni umane. Il pericolo è natura nell'espressione, ma la vulnerabilità di una società nei suoi confronti è sempre una costruzione sociale, storica, economica e politica. Ciò che in geografia viene chiamato "rischio" è la combinazione di pericolo e vulnerabilità. Per ridurre il rischio, non si può fare molto per i pericoli, ma si può fare molto per la riduzione della vulnerabilità. Da un lato, proclamiamo l'onnipotenza della natura e la sua sottomissione e, dall'altro, ci risulta difficile accettare l'idea che il pericolo possa avere cause diverse da quelle umane. I pericoli naturali non esistono in quanto tali e non costituiscono un ostacolo allo sviluppo né una spiegazione del contrasto della ricchezza.


Une l'idée est que toute société construit son développement économique sur la base de consommation de ressources qui sont naturelles au sens où elles ne sont pas fabriquées. Ces ressources naturelles sont indispensables à la continuation de la production et si la production les détruit, à terme, cela pose problème. Beaucoup de travaux sont portés sur le passé et ont tenté d'expliquer un certain nombre de grandes catastrophes civilisationnelles et la disparition de certaines civilisations par des problèmes de gestion des ressources. Parmi les deux grands exemples qu’on peut étudier, il a la disparition de la civilisation maya. Quand les conquistadors sont arrivés en Amérique centrale, les mayas avaient déjà disparu. Un autre exemple est celui de l’île de Pâques qui a été peuplée tardivement dans le cadre des grandes migrations des peuples polynésiens. Elle est très célèbre par les statues géantes qui ont été érigées, mais aussi par le fait que ces statues témoignent d'une civilisation assez puissante et prospère, d’une forte densité sur l'île alors qu'au moment où les premiers explorateurs l'ont atteinte au XVIIIème siècle, ils ont trouvé une société où régnait la misère, la disette et avec des densités très faible. Visiblement, l’île, à un moment à été très peuplée et avec un haut niveau de technologie ainsi qu’un haut niveau de production et de consommation et puis quand les explorateurs européens sont arrivés, cette civilisation avait quasiment disparu sans avoir aucune idée de comment ces colosses avaient bien pu être taillés, dans les carrières, transportées ensuite et puis érigées.
Un'idea è che ogni società costruisce il proprio sviluppo economico sulla base del consumo di risorse naturali, nel senso che non vengono prodotte. Queste risorse naturali sono essenziali per il proseguimento della produzione e, se la produzione le distrugge, ciò pone un problema a lungo termine. Molto lavoro è focalizzato sul passato e ha cercato di spiegare una serie di gravi disastri di civiltà e la scomparsa di alcune civiltà da problemi di gestione delle risorse. Tra i due grandi esempi che si possono studiare, ha la scomparsa della civiltà Maya. Quando i conquistadores arrivarono in America centrale, i Maya erano già scomparsi. Un altro esempio è quello dell'Isola di Pasqua, che si è insediata tardivamente nell'ambito delle grandi migrazioni dei popoli polinesiani. E' molto famosa per le statue giganti che furono erette, ma anche per il fatto che queste statue testimoniano di una civiltà piuttosto potente e prospera, di una forte densità sull'isola, mentre quando i primi esploratori la raggiunsero nel XVIII secolo, trovarono una società in cui regnava la miseria, la carestia e con densità molto basse. Ovviamente l'isola un tempo era molto popolata e con un alto livello tecnologico oltre che di produzione e consumo e poi, quando arrivarono gli esploratori europei, questa civiltà era quasi scomparsa senza avere idea di quanto bene fossero stati scolpiti questi colossi, nelle cave, trasportati di tanto in tanto.


Une des théories est celle de Diamond qui est celle de la catastrophe écologique. Sa théorie est que l’économie et la société maya tout comme l'économie et la société à de l’île de Pâques polynésienne étaient toutes les deux sur la surexploitation d'un milieu fragile. L’île de Pâques avait une couverture forestière dense et les habitants de l'île de Pâques ont déforesté petit à petit en quelques siècles toute l’île parce qu'ils avaient besoin de bois notamment pour transporter les fameux colosses. Une fois que l'île a été totalement été déforestée, il en a résulté une érosion des sols, une modification des écosystèmes qui a eu des conséquences catastrophiques. Selon Diamon, beaucoup de sociétés ont disparu du fait qu’elles n'ont pas su gérer leurs ressources. Au lieu de préserver leurs ressources dans le cadre d'un souci de durabilité, ils ont au contraire détruit leurs ressources dans une attitude qui est suicidaire.
Una delle teorie è quella del Diamante che è quella della catastrofe ecologica. La sua teoria è che l'economia e la società Maya, così come l'economia e la società dell'isola di Pasqua polinesiana erano entrambe in sovrasfruttamento di un ambiente fragile. L'isola di Pasqua aveva una fitta copertura forestale e gli abitanti dell'isola hanno gradualmente disboscato l'intera isola in pochi secoli perché avevano bisogno di legno per trasportare il famoso colosso. Una volta che l'isola era completamente deforestata, il risultato fu l'erosione del suolo, un cambiamento negli ecosistemi che ebbe conseguenze catastrofiche. Secondo Diamon, molte aziende sono scomparse perché non sono riuscite a gestire le proprie risorse. Invece di preservare le proprie risorse nell'ottica della sostenibilità, hanno distrutto le proprie risorse con un atteggiamento suicida.


Cette thèse a rencontré un grand écho parce qu’elle correspond à des interrogations importantes aujourd'hui sur des angoisses millénaristes sur les limites de la croissance, sur l'épuisement des ressources non-renouvelables et spécialement pétrolières, sur le réchauffement climatique avec toute la théorie du développement durable qui voudrait que la satisfaction des besoins actuels ne se fasse pas au détriment de celle des générations futures. C’est une croissance économique qui ne met pas en péril la satisfaction des besoins des générations futures. L’idée que si des sociétés ont pu disparaître du fait de leur manque de précaution dans la gestion de leurs ressources, c'est un contre-exemple qui est précieux aujourd'hui. Les analyses de Diamond ont été beaucoup contestées et beaucoup battues en brèche. Lorsqu’on lit la littérature scientifique à ce propos aujourd'hui, il est très difficile de se faire une opinion. Ces disparitions restent assez mystérieuses. L’angoisse sur la gestion des ressources est plus le fruit d'interrogations actuelles que le fruit d'une expérience historique.
Questa tesi ha avuto una grande eco perché corrisponde a questioni importanti oggi sulle ansie millenarie sui limiti della crescita, sull'esaurimento delle risorse non rinnovabili e soprattutto del petrolio, sul riscaldamento globale con tutta la teoria dello sviluppo sostenibile che non permetterebbe di soddisfare i bisogni attuali a scapito di quelli delle generazioni future. E' la crescita economica che non mette a repentaglio le esigenze delle generazioni future. L'idea che se le aziende possono essere scomparse a causa della loro mancanza di precauzione nella gestione delle loro risorse, è un contro-esempio che è prezioso oggi. Le analisi di Diamond sono state molto contestate e battute. Quando oggi leggiamo la letteratura scientifica sull'argomento, è molto difficile formarsi un'opinione. Queste sparizioni rimangono piuttosto misteriose. L'angoscia per la gestione delle risorse è più il risultato di domande attuali che il frutto dell'esperienza storica.


Il faut essayer de mettre en rapport ces interrogations avec l'usage qui en est fait et leur instrumentalisation possible au plan politique et sur le plan des relations internationales. On s'aperçoit qu’aussi bien si on raisonne en termes de ressources naturelles, en termes de risques naturels ou en termes de développement durable, on se trouve souvent face à une opposition Nord-Sud avec des pays du Nord qui après avoir connu l'industrialisation, après avoir connu la pollution en sont venus à des positions raisonnables avec une certaine désindustrialisation, une tertiarisation de l'économie, une croissance faible et puis une production qui est essentiellement liée à des services de type peu polluants, peu consommateurs de matières premières et donc respectueux de l'environnement et garantissant à terme le développement durable, respectant ses forêts et les replantant. De l'autre côté, il y aurait les pays du Sud qui sont des pays pauvres, qui ont l'insolence de connaître encore une croissance à deux chiffres, qui prétendent encore faire de l'industrie, qui polluent encore et qui ne respectent pas les impératifs qu'on voudrait leur imposer en termes de bilan carbone ou de gestion de l'environnement.
Dobbiamo cercare di mettere in relazione tali questioni con l'uso che se ne fa e con il loro possibile uso nelle relazioni politiche e internazionali. Ci rendiamo conto che se ragionamo in termini di risorse naturali, di rischi naturali o di sviluppo sostenibile, ci troviamo spesso di fronte a un'opposizione nord-sud con i paesi del Nord che, dopo aver sperimentato l'industrializzazione, dopo aver sperimentato l'inquinamento, sono giunti a posizioni ragionevoli con una certa deindustrializzazione, una terziarizzazione dell'economia, una crescita debole e quindi una produzione essenzialmente legata a servizi di tipo poco inquinante, che consumano poche materie prime e quindi rispettano l'ambiente e garantiscono in ultima analisi uno sviluppo sostenibile, che rispetta le foreste e le rimboschisce. Dall'altro lato, ci sono i paesi del sud, che sono paesi poveri, che hanno ancora l'insolenza di una crescita a due cifre, che pretendono ancora di essere industrializzati, che ancora inquinano e che non rispettano gli imperativi che vorremmo imporre loro in termini di impronta di carbonio o di gestione ambientale.


Cette lecture pose plusieurs problèmes notamment en termes de patrimonialiation des ressources qui ne sont pas les nôtres avec l’idée par exemple que la forêt amazonienne est les poumons de la planète. Un autre problème est de condamner la déforestation et puis l’industrialisation consommatrice de ressources et inductrice de pollution quand toutes nos sociétés l’ont fait. On arrive toujours au même modèle qui est celui d'une zone tempérée ou cela se passe bien où la richesse est créée, une richesse durable et puis un monde intertropical sur l’hypothèse du milieu naturel est que cela n'aboutit pas. On ne peut pas expliquer les écarts de richesses et le développement en renvoyant au milieu naturel. Quand bien même on reconnaîtrait qu’il y a une influence importante des milieux sur les sociétés, il ne s'agit pas des milieux naturels, mais des milieux qui sont profondément transformés par l’homme.
Questa lettura pone diversi problemi, in particolare per quanto riguarda il patrimonio di risorse che non sono le nostre, con l'idea, per esempio, che la foresta amazzonica sia il polmone del pianeta. Un altro problema è quello di condannare la deforestazione e poi l'industrializzazione, che consuma risorse e inquina quando tutte le nostre società lo hanno fatto. Arriviamo sempre allo stesso modello, che è quello di una zona temperata dove va bene dove si crea ricchezza, una ricchezza sostenibile e poi un mondo intertropicale basato sull'ipotesi dell'ambiente naturale è che non riesce. Non possiamo spiegare i divari di ricchezza e lo sviluppo facendo riferimento all'ambiente naturale. Anche se riconosciamo che c'è un'influenza importante degli ambienti sulla società, non sono gli ambienti naturali, ma gli ambienti che vengono profondamente trasformati dall'uomo.


=== La démographie ===
=== La démographie ===

Version du 8 juin 2018 à 02:14


Il primo mistero che è stato spiegato è l'iniqua distribuzione della ricchezza. Ci sono molte parole per dirlo che di solito sono eufemistici. Parleremo volentieri di sviluppo disuguale, ci opporremo ai paesi del nord e ai paesi del sud o parleremo ancora di crescita. Dobbiamo ricordare la brutalità dei fatti, che è la questione della povertà e della ricchezza: ci sono paesi poveri e paesi ricchi. Si tratta di un fenomeno di massa che non può essere spiegato. In sostanza, oggi non abbiamo una teoria veramente soddisfacente che spieghi perché abbiamo paesi ricchi e paesi poveri e perché ci sono paesi ricchi e perché ci sono paesi poveri. Dovremmo cercare di denaturalizzare questa rappresentazione e dire a noi stessi che è una cosa molto strana e così bizzarra che non possiamo spiegarla. Da un lato, è accettato come ovvio e, dall'altro, non può essere spiegato e teorizzato.

Ciò che è difficile da capire è l'iniqua distribuzione della ricchezza nello spazio. Non solo è incomprensibile, ma è anche scandaloso perché la questione della giustizia spaziale è una questione di giustizia sociale. Le persone non sono mobili e nate da qualche parte, il che significa che se c'è una distribuzione iniqua della ricchezza, siamo condannati alla povertà. Questa "maledizione" è legata al fatto che gli spazi sono disuguali. E' qualcosa di strano, di massiccio, che non possiamo spiegare e di scandaloso. Siamo così abituati a questa palese ingiustizia e a questo mistero che non la vediamo più come una questione centrale in geografia.

Sul piano teorico, la persistenza delle disuguaglianze, nonostante la globalizzazione, ipoteca la teoria di Ricardo e la teoria del vantaggio comparativo. Se c'è globalizzazione, se sempre più paesi aprono sempre più settori all'economia, sempre più paesi dovrebbero arricchirsi. La questione sollevata è che si tratta del rapporto tra disuguaglianze spaziali e globalizzazione? Come predice Ricardo, la globalizzazione porta all'arricchimento di tutti, portando ad una riduzione delle disuguaglianze e, in caso contrario, perché no? Riflettere sull'iniqua distribuzione della ricchezza significa interrogarsi sulla recente evoluzione delle disuguaglianze per vedere quale impatto ha avuto la globalizzazione.

Ambiguità delle nozioni di ricchezza e sviluppo

Ci sono molti termini usati per parlare di disuguaglianze nello spazio. Stiamo parlando di paesi poveri, paesi ricchi o altre dimensioni che implicano un certo numero di elementi. Eppure è un abuso di lingua perché una città, un paese o una regione non ha nulla, solo gli abitanti hanno qualcosa. Uno spazio non è mai ricco e mai povero, ma in uno spazio ci sono persone che sono ricche e persone che sono povere. La ricchezza di qualcuno non è necessariamente il luogo in cui vive. Ci può essere una disgiunzione tra il luogo di ricchezza e il luogo della persona che possiede la ricchezza. E' importante fare la differenza che non si parli della ricchezza degli spazi, ma delle persone che li abitano. Se pensiamo in termini di spazio, un territorio non ha nulla, ma i suoi abitanti. Tuttavia, è necessario differenziare gli abitanti tra loro. La questione della disuguaglianza nel tenore di vita tra gli abitanti è importante.

Ricchezza e PIL

Per misurare le disuguaglianze sono necessarie cifre. La prima cifra disponibile è il prodotto interno lordo. Il PIL è la somma delle plusvalenze realizzate in un determinato paese nel corso di un determinato anno. L'idea del valore aggiunto complica le cose, in particolare per quanto riguarda la ridistribuzione. Questo indicatore non dice nulla sulla nazionalità dei produttori. Se un'azienda americana produce in Svizzera, si conta nel PIL svizzero. Ciò che conta nel PIL è ciò che accade all'interno dello spazio nazionale. Si tratta di una definizione molto geografica della produzione. Al contrario, il prodotto nazionale lordo si riferisce alla somma del valore aggiunto prodotto nel corso di un anno dai cittadini nazionali. Noi integriamo ciò che gli svizzeri producono in patria e all'estero. Il PNL è un concetto meno geografico del PIL.

Il PIL non misura la ricchezza, non la produzione, ma l'arricchimento. Il PIL parla di aumento della ricchezza e quindi della crescita. C'è lo stock di ricchezza che nessuno misura mai e che non conosciamo. C'è l'aumento nel corso dell'anno della ricchezza, che è il PIL, e c'è l'aumento del PIL, che si chiama crescita. La crescita è l'aumento della ricchezza. In altre parole, la crescita è l'accelerazione dell'arricchimento. La ricchezza è ciò che è disponibile nel conto bancario, il PIL è il reddito e la crescita e l'aumento del reddito di quest'anno rispetto allo scorso anno. Parlare di crescita zero non significa non arricchirsi, ma non accelerare l'arricchimento. Esiste un'importante correlazione tra ricchezza e ricchezza, tra la ricchezza di un paese e il suo PIL. D'altro canto, non esiste una vera e propria correlazione tra ricchezza e ricchezza da un lato e crescita dall'altro. I paesi il cui arricchimento sta accelerando non sono i più ricchi. La promessa di compensazione e livellamento non è fatta in ricchezza, ma in crescita.

Vi sono paesi in cui l'economia sommersa è molto importante, e vi sono paesi in cui la donazione è molto importante. Il PIL è piuttosto una buona stima per i paesi con poche economie sommerse e in cui l'economia di mercato occupa gran parte della loro economia, e piuttosto una cattiva stima per i paesi in cui esiste una grande economia sommersa e in cui dare per dare gioca un ruolo importante. Ciò che conta è il PIL in relazione agli abitanti.

Naturalmente, ciò che ci interessa non è solo il reddito o la ricchezza, ma anche ciò che ci consente di fare. Come il costo della vita estremamente variabile a tutti i livelli, ha un forte impatto sui redditi. Se il costo della vita al posto B è il doppio di quello al posto A, il reddito e il costo della vita e il tenore di vita devono essere messi in prospettiva. Si può avere qualcuno che vive in Madagascar e che ha esattamente lo stesso tenore di vita di qualcuno nel Massiccio Centrale o a Zurigo, ma ogni volta che si devono moltiplicare gli stipendi per ottenere la stessa cosa. Dobbiamo cercare di controllare questa difficoltà.

Un primo modo per controllarlo e scegliere un indicatore. Un ottimo indicatore è il Big Mac. Se traduciamo uno stipendio o un PIL in McDonald's, in hamburger, abbiamo una buona integrazione del costo della vita. In generale, le cose vengono prese sul serio ed è stato proposto un indice che è il PIL pro capite. PPP è l'acronimo di "parità di potere d'acquisto". Adatteremo il PIL pro capite in base a ciò che questo reddito pro capite ci consente effettivamente di fare. Lo traduciamo in dollari in modo uniforme e poi in parità di potere d'acquisto. Se con 100 euro in Francia potessimo fare la stessa cosa che con 10 euro in Madagascar, correggeremmo il reddito e considereremmo che i 10 euro in Madagascar valgono quanto i 100 euro in Francia. Il costo della vita è molto elevato quando i salari sono elevati. Esiste un'ottima correlazione tra i livelli salariali e il costo della vita; al contrario, il costo della vita è molto basso quando il reddito è molto basso.

E' un'ottima correlazione, ma non perfetta. Se le due cose variassero, esattamente allo stesso modo, tutti avrebbero lo stesso tenore di vita ovunque. L'idea che vi sia una correlazione positiva tra il costo della vita e i redditi suggerisce che i divari del PIL che possono apparire molto brutali se misurati senza tener conto della parità d'acquisto saranno ridotti se si tiene conto della parità del potere d'acquisto. La livellazione avverrà: tutti i paesi poveri sono paesi in cui il costo della vita è basso, a parità di potere d'acquisto questo sovrastimerà i redditi; d'altro canto, i paesi ricchi sono paesi in cui il costo della vita è alto e questo ridurrà il reddito in termini di potere d'acquisto. Infatti, quando si passa da una mappa del PIL pro capite del mondo a una mappa della parità del potere d'acquisto del mondo, si riducono i divari. Pertanto, le differenze nel tenore di vita sono in realtà meno evidenti delle differenze nel PIL perché intervengono le distorsioni del costo della vita.

Un secondo elemento da prendere in considerazione in questo effetto di riduzione delle disuguaglianze è che il PIL riflette certamente meglio l'economia reale dei paesi ricchi che quella dei paesi poveri. Nei paesi poveri l'economia non di mercato è spesso importante, con spesso il settore grigio, un settore nero, un'economia sommersa che non sono presi in considerazione dal PIL, mentre più spesso nei paesi ricchi, questa quota è inferiore perché le persone sono più virtuose, ma anche perché ci sarà un maggiore controllo. Al di là di uno di quei mercati sotterranei che non sono presi in considerazione dal PIL, c'è il fatto che nei paesi ricchi, la quota di mercato è maggiore che nei paesi poveri. Nei paesi poveri, i sistemi di autoaiuto e di autoconsumo sono più importanti e ovviamente non si riflettono nel PIL. Anche le reti di autoaiuto, le reti familiari e le reti di autoaiuto dei clan sono molto importanti. Ci sono molti prestiti, per esempio, che saranno concessi attraverso sistemi di clan che non saranno concessi dalle banche e quindi non sono inclusi nel PIL. In questo modo si compenseranno anche le disparità tra paesi ricchi e paesi misurati con il PIL, poiché questa misura del PIL rappresenta una quota molto ampia dell'economia dei paesi ricchi, ma una quota piuttosto ridotta nei paesi poveri. Si tratta di una conclusione piuttosto ottimistica, secondo cui le disuguaglianze in termini di PIL pro capite che sembrano evidenti sono in realtà meno importanti di quanto si creda se si tiene conto delle correzioni apportate ai PPP e dell'importanza dell'economia sommersa e dei circuiti di autoconsumo e di mutua assistenza.

Alla fine degli anni '80 sono emerse preoccupazioni circa la pervasività e l'importanza dell'indicatore del PIL pro capite. In parte per i punti che abbiamo sollevato, ma anche perché stiamo facendo in modo che svolga un ruolo che dovrebbe essere proprio, il PIL, stricto sensu , è solo un indicatore economico e non è l'unico indicatore economico. Perché si utilizza il PIL pro capite? Si tratta di misurare le economie dei paesi"? Sì" naturalmente, confrontarlo, misurare la crescita, "sì" naturalmente. Dietro di esso c'è qualcos'altro con l'idea che vorremmo ottenere un indicatore che ci permettesse di misurare il successo delle società, il miglioramento delle situazioni, il progresso e lo sviluppo. I paesi saranno classificati in ordine di PIL pro capite, in ordine crescente e decrescente. E' ovvio che un indicatore economico che sia solo un indicatore economico svolge questo ruolo in modo insufficiente. Questo è insufficiente perché per misurare il successo di una società in cui il miglioramento di una situazione, siamo d'accordo che la misura dell'economia sul profitto della rivalutazione del reddito è insufficiente. Si potrebbe dire che questi elementi sono variabili nel modo in cui parliamo. Per esempio, alcune culture attribuiranno maggiore importanza alla dimensione religiosa, alla metafisica o allo spirituale. L'obiettivo in questi casi è quello di ottenere criteri universalmente riconosciuti da tutti. E' chiaro che il PIL pro capite è un criterio riconosciuto da tutti. A parità di altre condizioni, è meglio essere ricchi che poveri. Siamo tutti d'accordo sul fatto che, a parità di condizioni, è meglio essere sani che ammalati.

Altri indicatori?

Un terzo elemento di cui si terrà conto è la scolarizzazione. A parità di altre condizioni, una società ha più successo se ha un buon livello di istruzione, ossia se ha un'ampia percentuale della sua popolazione con un buon livello di istruzione. La sanità, l'istruzione e il reddito saranno inclusi in un indice che chiameremo Isu, che è l'indice di sviluppo umano.

Un terzo dell'indice è costituito dal PIL e più precisamente dal PIL pro capite a parità di potere d'acquisto, il che corregge già la dimensione delle misure di reddito per misurare il tenore di vita. Il secondo fattore demografico è la salute, ossia l'aspettativa di vita alla nascita. A parità di altre condizioni, è meglio un paese in cui l'aspettativa di vita alla nascita è elevata. La speranza di vita alla nascita ha un significato molto intuitivo, che è quanto tempo possiamo aspettarci di vivere. In media, un'aspettativa di vita di 80 anni significa che in media vivremo 80 anni in una società. In realtà era, è più astratto di quanto sembri. È calcolato prendendo i tassi di mortalità di ogni fascia d'età oggi. Ciò significa applicare i tassi di mortalità attuali alle generazioni future. Il criterio "istruzione" è il livello medio di istruzione. Ogni criterio ha un terzo: economia, sanità, istruzione.

Se prendiamo tutti e tre, è perché non sono perfettamente correlati. Se tutti e tre variassero allo stesso modo, non avrebbe senso non servire. Se il PIL aumenta, molto spesso aumenta l'aspettativa di vita e poi aumenta l'istruzione, ma con piccole variazioni.

Il termine "sviluppo" significa che una società considerata sviluppata ha un PIL pro capite elevato, un'aspettativa di vita elevata e un livello di istruzione elevato. Se chiamiamo questo "sviluppo umano", dobbiamo renderci conto che questo indice è composito e che non ha più alcun significato intuitivo. Che cosa sta misurando in fondo? Non lo sappiamo davvero. Sostituiremo la classifica mondiale fatta nel paese con la classifica del PIL pro capite con la classifica dell'Isu. Vi sono esempi di paesi con i quali, quando passeremo dal PIL all'Isu, perderemo o guadagneremo posti. Un paese che sale nella gerarchia, che guadagna posti, quando si passa dal PIL all'Isu, significa che la società è troppo sviluppata per la sua ricchezza, o per dirla in un altro modo, questa società sa come utilizzare il suo reddito molto bene per lo sviluppo. E' un paese che trasforma molto bene la propria ricchezza in sviluppo. Un paese che cade in classifica quando passiamo dal PIL all'Isu, vuol dire che è guidato dalla considerazione dell'istruzione e della sanità. Per dirla in modo diverso. Ciò significa che sta avendo difficoltà a trasformare la sua ricchezza in sviluppo.

Alcuni paesi hanno un PIL diverso, ma un Isu comparabile: Spagna e Singapore. L'Isu è quasi lo stesso a 0,89, che è un ottimo Isu, mentre il PIL della Spagna è di 16000 e quello di Singapore di 28000. C'è una grande differenza nel PIL, perché a Singapore il PIL è quasi il doppio rispetto alla Spagna. Singapore è due volte più ricca. Eppure Singapore e la Spagna hanno lo stesso Isu. Questo ovviamente significa che i punteggi per la Spagna per la speranza di vita e per l'istruzione sono molto buoni e che tutto il resto, a parità di condizioni, a Singapore, sono mediocri. In altre parole, la Spagna è molto brava a trasformare la sua ricchezza relativamente modesta in sviluppo e Singapore ha ricchezza, ma questo non si traduce in qualcosa di simile in termini di speranza di vita o di istruzione. Un altro esempio è quello della Georgia e della Turchia, che hanno lo stesso Isu nell'ordine di 0,73, mentre in Georgia sono 2000 per il PIL pro capite e 6 300 per il PIL pro capite in Turchia. Con una ricchezza tre volte inferiore, la Georgia ha lo stesso livello di sviluppo della Turchia. La Turchia, pertanto, utilizza molto male il proprio reddito in termini di sviluppo umano.

Con l'Isu si è aperta la porta alla considerazione di fattori non economici. Economisti ed econometrici hanno suggerito che mancano cose nell'Isu. Ad esempio, è stato proposto un indice che è il GDI, che è l'indice di sviluppo umano di genere che integra un quarto fattore, ossia le disuguaglianze tra uomini e donne. Si può immaginare che, a parità di condizioni, una società in cui uomini e donne siano uguali sia migliore. Non tutti i paesi del mondo firmerebbero meglio questa idea. Ovviamente, questo è un indice che è stato imposto dai paesi occidentali.

Un secondo elemento è la questione della soglia di povertà. Gli IDE, gli IDE e il PIL sono valori medi. Quando diciamo di avere, ad esempio, un PIL di 14.000 dollari pro capite all'anno, ciò significa che il reddito medio disponibile per ogni abitante è di 14.000 dollari. È possibile ritrovarsi in una situazione in cui nessuno guadagna assolutamente 14.000 dollari, né un importo compreso tra i 10.000 e i 16.000 dollari. Questa media di 14.000 dollari significherebbe in realtà che gran parte della popolazione è povera, quindi guadagna 5.000 dollari all'anno e una parte della popolazione sarebbe molto ricca e guadagnerebbe 100.000 dollari all'anno. Ciò potrebbe non corrispondere ad alcuna realtà nella vita del paese in questione. Possiamo immaginare due configurazioni:

  • una configurazione per un paese dove il PIL pro capite è di 20.000 dollari e tutti vincono 20.000 dollari.
  • una configurazione in cui il paese ha lo stesso PIL di 20.000 dollari pro capite e all'anno, ma in cui questa media nasconde profonde disparità tra gran parte della popolazione, vale a dire il 90% che guadagna 5.000 dollari pro capite e all'anno, e una piccola parte della popolazione, vale a dire il 10% che guadagna tra i 40.000 ei 50.000 dollari pro capite e all'anno. Siamo tutti d'accordo sul fatto che la seconda impresa ha meno successo, meno successo e meno sviluppo della prima.

Un modo per affrontare il problema della disuguaglianza e della povertà consiste nell'includere nell'Isu il numero di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. Meno persone vivono al di sotto della soglia di povertà, più la società diventa sviluppata. Cercare di definire questa soglia di povertà è complicato perché dipende dalla parità del potere d'acquisto e i PPP sono relativi. Per dire che la povertà o la ricchezza e rispetto a qualcuno. La soglia di povertà del dollaro al giorno non sarà la stessa in tutti i paesi.

Il "PIL verde" è stato proposto per la prima volta negli anni '90 come PIL ambientale. Questi PIL ambientali partono dal presupposto che non è necessariamente positivo perché il PIL aumenta. Per esempio, c'è un boom nell'industria delle sigarette che sta producendo crescita. Dobbiamo accogliere con favore l'aumento del PIL legato allo sviluppo dell'industria del tabacco? L'aumento del PIL non è legato solo alla vendita di sigarette, ma anche al fatto che molte persone si ammaleranno di cancro, il che richiederà che ospedali, ambulanze e scanner siano un fattore molto positivo per il PIL. Ci possono essere elementi del PIL che sono meno positivi di quanto sembri perché i fondi devono essere spesi. L'idea che il tabacco costi alla società qualcosa non è chiara, perché se prendiamo in considerazione le spese sanitarie evitate e le pensioni che fanno risparmiare denaro. Tuttavia, questo modo di ragionare pone dei problemi. Al di là della questione del giudizio o della questione morale, potremmo dire che tutto ciò che la società spenderà per curare le persone che hanno fumato, tutte quelle persone che hanno bronchite cronica, che si prenderanno del tempo libero e non produrrà è un costo.

Un'attività di spesa difensiva è in un certo senso il costo di esternalizzazione di una produzione. Questi costi devono essere presi in considerazione. Sono state avanzate proposte per eliminare dal PIL tutte le spese difensive. E' molto complicato mettersi d'accordo su cosa sia una spesa difensiva. Un secondo problema delle risorse naturali è che i costi dovrebbero essere inclusi nello sfruttamento delle risorse naturali, in particolare di quelle non rinnovabili. Questo non solo perché in futuro non ce ne sarà più, ma anche perché è tutto ciò che dovrà essere pagato e investito per trovare, ad esempio, materiali alternativi ed energie alternative. Ad esempio, il fatto di sfruttare il petrolio a livelli molto elevati è ciò che ci obbliga a investire nell'energia solare o nella biomassa. Si tratta di una sorta di spesa difensiva, perché un paese che esaurisce le proprie risorse naturali aumenta il PIL anche se non viene conteggiato positivamente. Un paese sviluppato è un paese che attinge il meno possibile dalle sue risorse naturali rinnovabili. A parità di altre condizioni, è meglio non toccare troppo e non troppo in fretta le vostre risorse rinnovabili. Tuttavia, il PIL dice il contrario: prima si esaurisce la ricchezza, prima si aumenta il PIL. Si propone che il costo del futuro esaurimento delle risorse naturali, in particolare di quelle non rinnovabili, sia detratto con successo dal PIL.

Per quanto riguarda le risorse rinnovabili, la situazione è ancora più complicata. Qual è il costo dell'estinzione di una specie? Non siamo in grado di valutarli, ma in linea di principio sono quasi infiniti e potenziali. Su questa base è stato costruito l'IBED, l'indice di benessere sostenibile. Sostenibile" con riferimento al tema della sostenibilità evidenziato dal rapporto Brundtland che è quello di una società che assicura la soddisfazione dei propri membri senza ipotecare quella delle generazioni future. IBED è complicato e anche molto contrintuitivo. Il PIL, che comprende l'aspettativa di vita, il livello di istruzione meno la spesa produttiva meno la distruzione delle risorse, sta cominciando ad essere molto astratto.

L'impronta ecologica, d'altro canto, è un indizio interessante. Ha un significato che è molto chiaro e intuitivo. L'impronta ecologica di una data popolazione o città, ad esempio, è il metro quadrato necessario per soddisfare le sue esigenze. L'impronta ecologica di Ginevra è la superficie di cui Ginevra ha bisogno per assicurare il suo consumo. Quanti metri quadrati sono necessari per fornirci energia e cibo, acqua, dove mettiamo i nostri rifiuti con l'idea che la società ideale è quella in cui la sua impronta ecologica non supera il suo territorio. Cominciamo ad avere un problema quando l'impronta ecologica di una popolazione supera il numero di metri quadrati su cui si trova. Tuttavia, poiché le nostre esigenze crescono più rapidamente delle nostre tecniche, l'impronta ecologica è raddoppiata in 40 anni. Ciò significa che abbiamo bisogno di sempre più spazio per soddisfare le nostre esigenze.

Abbiamo anche considerato i PIL sociali che tengono conto di criteri sociali. È stato così elaborato l'indice di benessere economico, che comprenderà quattro dimensioni:

  • consumo di corrente;
  • accumulo di scorte: tra tutti i criteri presi in considerazione finora, nessuno misura la ricchezza, ma tiene conto del patrimonio.
  • disuguaglianze ;
  • la sicurezza economica, vale a dire la garanzia che gli operatori economici hanno del loro futuro, come il rischio di disoccupazione.

Si tratta di tentativi lodevoli, perché ci fanno riflettere su ciò che produce, su come partecipa l'economia, su quali capacità e in quale misura. Ci sono cose che ancora ci mancano. Si può pensare all'indice di solitudine. A parità di altre condizioni, è meglio una società in cui le persone non siano sole. È possibile creare indici che misurino il numero dei nostri amici, delle persone su cui possiamo contare. Questo non è importante solo in termini di psicologia o comfort emotivo, ma è anche in parte una questione di sicurezza economica. Con società in cui molte persone soffrono di isolamento, ci sarebbe qualcosa di sbagliato nel loro sviluppo. Possiamo anche parlare di spiritualità. Sarebbe meglio avere una vita spirituale, una vita intellettuale, una vita artistica piuttosto che immergersi nel materialismo più vile. Possiamo arrivare a misurare la felicità e dire a noi stessi che ciò che dovremmo sostituire la mappa del PIL con una mappa della felicità.

Carte du bonheur 1.png

Questa mappa è la mappa della felicità su scala globale. L'intero problema è come misurare la felicità. La felicità è soggettiva, non c'è differenza tra essere felici e sentirsi felici. La felicità è qualcosa che si sente. Su base autodichiarativa, nuotiamo nella felicità in Nord America, Stati Uniti e Canada, Australia e Nuova Zelanda, Colombia, Svezia, Norvegia, anche in Mongolia. Ciò solleva problemi di standardizzazione.

I paesi con il più alto tasso di suicidi pro capite sono quelli in cui le persone sono più felici. Si potrebbe obiettivamente pensare che questo non è davvero un segno di felicità. Essere "ricchi" o "poveri" è un paragone con essere felici. E se il suicidio fosse un lusso per i ricchi. Il suicidio sarebbe un lusso borghese. Le persone che sono coinvolte nelle difficoltà della vita possono avere meno ansia metafisica, meno problemi e meno depressione. Osserviamo che dove ci suicchiamo, è dove c'è ricchezza. L'idea della dichiarazione può essere una buona soluzione, ma con un sacco di pregiudizi, poiché tutti dovrebbero dire la stessa cosa. Il PIL rimane la cifra più attendibile e comparabile anche se insoddisfacente.

Principali disuguaglianze

Il grande interrogativo è se il PIL sia distribuito in modo uniforme nello spazio. Gli indici statistici consentono di farlo prendendo in considerazione ogni unità spaziale per calcolare la deviazione standard o l'indice di Gini per calcolare l'uguaglianza o la disuguaglianza della distribuzione di una variabile all'interno di una popolazione.

Cartes

Pays par habitant 2005.jpg

In geografia, le mappe sono utilizzate per mostrare l'entità del "danno". Questa mappa ci mostra il PIL pro capite a parità di potere d'acquisto. Compaiono quattro categorie di paesi, i paesi più ricchi tra 24000 e 60000$ all'anno, i paesi poveri tra 600 e 4000$ e poi una categoria intermedia tra 4000 e 24000$. Per la costituzione di tali classi esistono norme statistiche. Per esempio, non ci siamo assicurati che le classi fossero di uguale ampiezza.

La prima osservazione riguarda i contrasti che sono maggiori. Per noi è importante confrontare le classi. C'è un quarto dei paesi in cui il PIL pro capite è inferiore a 40.000 dollari e poi un altro quarto nel mondo in cui il PIL pro capite è superiore a 25.000 dollari. Questa è una differenza da uno a cinque. Le disuguaglianze esistono e sono importanti. Un'altra cosa è interessante. Ci sono effetti di raggruppamento che in geografia sono chiamati autocorrelazione spaziale. È molto probabile che un determinato paese abbia un PIL paragonabile a quello dei paesi vicini. In altre parole, è molto probabile che un paese abbia lo stesso colore dei suoi vicini. Un grande pacchetto appare in tutta l'Africa, che è molto omogeneo, in Sud America, Nord America, ma anche in Europa. Ci deve essere una legge geografica, una regola geografica dietro di essa. Se non ci fosse, avremmo una miscela allegra di tutti i colori all'interno di ogni continente, ma non è così. Che cosa rende tutti questi paesi nella classe più povera o più ricca? I contrasti di ricchezza sono molto forti su scala globale e sembrano rispondere alle regole di distribuzione. Molto rari sono i luoghi dove si vede al confine un paese molto ricco che côtoie un paese molto povero.

Carte anamorphose rapport mondial sur le développement humain 2002.gif

Questa mappa segue il principio dell'anamorfosi. La dimensione di ogni entità non è proporzionale all'area di questa entità nello spazio reale, l'area della quantità è relativa ad un'altra variabile, in questo caso la popolazione. I paesi densamente popolati vedranno le loro superfici rappresentate nei paesi grandi e i paesi più poveri in quelli piccoli. I contrasti sono più forti o più deboli quando si passa dal PIL all'Isu? Non possiamo fare paragoni perché il PIL va da 600 a 60000 dollari e se i paesi più poveri diventano più poveri, i paesi più ricchi diventano più ricchi. Il paese più povero ha un indice di 0,27 e il paese più ricco ha un indice di 0,94 è nel frattempo, ci sono sei classi. Non si può dire che un paese con un indice di sviluppo umano pari a 0,4 abbia un indice di sviluppo umano doppio rispetto a un paese con un indice di sviluppo pari a 0,2. Non possiamo confrontarli. È probabile che due paesi contigui dispongano di un Isu comparabile. Non sembra esserci una chiara correlazione tra la popolazione del paese e la sua ricchezza. Non si può dire che i paesi densamente popolati siano più ricchi o più poveri di quelli scarsamente popolati. Esiste una grande situazione di disuguaglianza su scala globale e le regole di distribuzione.

Pnb representé par anamorphose 1.jpg

Con questa mappa, più grande è il paese, maggiore è il PIL pro capite. Il contrasto con le due carte precedenti è forte. Su scala globale, tra i continenti dei grandi, ci sono grandi contrasti di ricchezza.

Carte dev eur.gif

Questa mappa ci mostra il PIL per regione Europa. Cambiamo scala considerando un continente. Su questa scala, c'è ancora un fenomeno di autocorrelazione spaziale? Questa mappa è stata fatta dalla deviazione dalla media. Nella classe grigia, vediamo regioni che si collocano nella media europea. I paesi in grigio sono quasi in media, mentre quelli in giallo sono un po' al di sopra della media. Il divario tra le regioni più ricche e quelle più povere è di 3-6 unità. Rispetto al mondo, questo è niente di più. In altre parole, i divari di ricchezza tra le regioni europee sono dieci volte inferiori ai divari di ricchezza tra i paesi del mondo. Si tratta di un fenomeno che non è invariante. Si tratta di un fenomeno economico, sociale, fisico o climatologico che di per sé ha alcune dimensioni che osserviamo, è un frattale. Se cambiamo scala, le disuguaglianze scompaiono. C'è ancora un fenomeno di autocorrelazione spaziale con le regioni che toccano. C'è una regola spaziale, non è distribuito in alcun modo. C'è una regolarità proprio come su scala mondiale.

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È una mappa della Francia. La mappa che la Francia ha è di 36000 città. Questa mappa mostra le regioni ricche di colori caldi e poi le regioni più povere nei colori più freddi. Nella zona fucsia, gli abitanti hanno un reddito superiore di un terzo rispetto alla media francese, mentre nella zona verde, questo significa che in media, le persone sono il 30% più poveri rispetto alla media nazionale. Il divario tra i comuni più ricchi e quelli più poveri dell'area francese è di 1 a 2. Il livello di disuguaglianza è piuttosto basso. Questo non è distribuito in alcun modo, ci sono anche regole di organizzazione spaziale su questa scala.

Che si consideri il mondo, un continente o un paese, esistono regole geografiche per la distribuzione della ricchezza. D'altro canto, quanto più si guarda alla povertà, tanto meno sono evidenti le disuguaglianze.

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Tale mappa rappresenta il reddito imponibile medio. In media, il reddito imponibile in Svizzera è di 68 000 franchi per abitante, nei cantoni più poveri tra i 20 000 e i 43 000 franchi, nei cantoni più ricchi tra i 96 000 e i 338 000 franchi. I contrasti tra i distretti svizzeri sono più forti di quelli tra i comuni francesi. Anche in questo caso esiste una regola geografica, perché vediamo che le regioni povere sono le montagne e che le regioni ricche sono in pianura.

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Detroit è un esempio caricaturale di segregazione razziale. Nel centro di Detroit, ci sono tra l'80% e l'85% della popolazione, mentre non ci sono quasi nessuno in periferia. I sobborghi sono ricchi di bianco con posti di lavoro e il centro è povero, nero e non ci sono posti di lavoro. Qual è il livello di reddito medio nella città di Detroit? Meno di 17.000 dollari pro capite all'anno. Nelle aree più ricche dell'agglomerato, il livello medio è di oltre 57.000 dollari. Questa è una differenza da uno a tre. Si tratta di un divario maggiore rispetto a quello tra i comuni francesi, ma funziona anche per le città francesi con notevoli contrasti di ricchezza. Vi è una rottura nelle scale poiché vi è una disuguaglianza molto forte tra i continenti, forte tra i paesi, debole tra le regioni di un paese e ancora forte su scala nazionale. Si tratta di un modello centro-periferia.

Ci sono regole geografiche a tutti i livelli: a tutti i livelli di ricchezza e povertà c'è la tendenza a raggrupparsi facendo riferimento al fenomeno dell'autocorrelazione spaziale. Le principali disuguaglianze si riscontrano a livello globale tra i continenti e a livello locale in una città. Il problema metodologico del problema teorico è che le disuguaglianze che ci ossessionano sono le disuguaglianze internazionali. La questione sollevata è perché le disuguaglianze sono più marcate ad una certa scala che ad altre.

Le dimensioni della disuguaglianza

Il compito della geografia sarebbe su due livelli: da un lato, spiegare perché non avviene allo stesso modo a tutte le scale e poi prendere in considerazione i fenomeni di organizzazione dello spazio a queste scale di differenze. Ci sarebbero due ipotesi principali:

Il primo sarebbe quello di dire che ciò che spiega i risultati possono non essere processi economici in quanto tali, ma processi politici di compensazione che sarebbero sul posto di lavoro. L'idea è che ci sarebbe nella natura della geografia dello spazio il fatto di essere segnati da fortissimi contrasti di sviluppo e che questi sarebbero compensati a certi livelli, ma non ad altri. È possibile prevedere che se il mercato, ad esempio, produce uguaglianza locale, altri sistemi possano apparire come sistemi di donazione per donazione o di ridistribuzione che compensino le disuguaglianze da esso create. Ci sarebbero flussi di ricchezza che verrebbero attraverso una sorta di richiamo dal vuoto per cambiare le disuguaglianze create dall'economia. Ad esempio, nel contesto della ridistribuzione, deve esistere un'autorità che immagini un'autorità coinvolta nel rispetto della giustizia sociale e della giustizia spaziale che desideri che tutte le parti del territorio sotto il suo controllo beneficino di una situazione di parità. Possiamo immaginare, ad esempio, che uno Stato vorrebbe che tutte le regioni che comprende fossero trattate alla stessa stregua economica, in altre parole che vi siano tanti ospedali, tante università, tante caserme dei vigili del fuoco, eccetera, anche se le risorse di ciascuna di queste regioni non lo consentono necessariamente. Non possiamo accettare che in alcune regioni la sicurezza sia meno sicura e che l'istruzione sia meno buona o la salute sia trattata meno bene. Lo Stato interverrà prelevando ricchezza nelle regioni con un reddito elevato e trasferirà questo denaro per investire nelle zone a basso reddito. Ad esempio, a Ginevra e a Zurigo vengono stanziati molti soldi e invece di costruire altri ospedali a Ginevra e a Zurigo, dove l'offerta medica è già eccellente, intendiamo collocare questi ospedali in Ticino, dove il reddito è meno importante. Stiamo effettuando un trasferimento.

Questi trasferimenti di ricchezza possono compensare le disuguaglianze spaziali. Lo stesso vale per l'Europa, dove vi sono regioni molto ricche e povere. A livello di Unione europea esistono procedure che trasferiscono la ricchezza dalle regioni ricche a quelle povere sotto forma di imposte, da un lato, e di tasse e oneri e sovvenzioni, dall'altro, con gli investimenti, ma anche con gli aiuti. Si potrebbe quindi immaginare, sulla base di questa ipotesi, che le bilance con la minore disuguaglianza sarebbero in realtà quelle con i migliori circuiti di compensazione. Ciò che va spiegato non sono gli spazi in cui la ricchezza è disuguale, ma quelli in cui non è disuguale. Ciò che va spiegato è meno disuguaglianza dell'uguaglianza e la questione di quale sia il livello e come i sistemi di compensazione delle disuguaglianze territoriali siano più efficaci. Ad esempio, a livello di scala di vita, esistono buoni sistemi per compensare le disuguaglianze spaziali? La questione è di natura politica. Essa affronta due punti. Il primo riguarda l'esistenza di queste autorità, non esiste, ad esempio, un'autorità globale. In secondo luogo, i pregiudizi presi nel conoscere le scelte ideologiche, politiche ed economiche delle autorità. Per una città come Ginevra, ad esempio, la questione delle disuguaglianze di ricchezza tra i quartieri non è una priorità? Su scala regionale, questo è considerato scandaloso. Perché la giustizia sociale e spaziale non funziona allo stesso modo a tutti i livelli? Nemmeno l'idea che i problemi della giustizia razziale possano essere risolti attraverso la giustizia spaziale è ovvia. L'idea che la soluzione a un problema sociale abbia una soluzione spaziale non è ovvia.

Un problema francese è quello dei "grandi complessi". Da tempo si è ritenuto che per risolvere il problema dei "grandi complessi", città e periferia, la soluzione fosse nelle mani di urbanisti che devono trovare soluzioni urbane con nuove progettazioni edilizie, soluzioni architettoniche. Non è ovvio. Ci sono altre domande da porsi in relazione al periodo postcoloniale, al ruolo delle comunità in Francia, all'integrazione delle giovani generazioni che non sono questioni urbane. La giustizia sociale e la giustizia spaziale devono essere distinte, ma a volte le due cose lavorano insieme. Se si considera la separazione della situazione israelo-palestinese, è chiaro che si tratta di una situazione che non può essere risolta se non viene prima risolta spazialmente. Questo non significa che sia l'unico problema. Non tutte le disuguaglianze spaziali nella redistribuzione della ricchezza sono necessariamente un problema sociale. Non è necessariamente scandaloso.

A queste diverse scale, vediamo che la giustizia sociale e la giustizia spaziale non si sovrappongono del tutto. Per questo motivo, è logico che le comunità locali, a seconda della scala alla quale sono collocate, pensino che non sia sempre necessario compensare le eterogeneità spaziali della ricchezza. Ci sono scale per le quali è assolutamente indispensabile e altre per le quali non lo è. La capacità di una comunità di compensare una distribuzione iniqua della ricchezza dipende da due criteri:

  • c'è autorità su questa scala?
  • se tale autorità esiste, ritiene legittimo e prioritario risolvere questa eterogeneità?

E' evidente che la debolezza delle disuguaglianze regionali in Europa è uno degli effetti della politica economica europea.

In Germania, prima della caduta del muro di Berlino, prima del 1989, c'era ovviamente un fortissimo contrasto di ricchezza tra la Germania dell'Est, la RDT dell'obbedienza comunista e la FRG alleata del capitalismo. Uno aveva registrato un buon livello di sviluppo, mentre l'altro non presentava una grande differenza in termini di PIL. All'epoca, sarebbe stato impensabile trasferire ricchezza tra l'Occidente e l'Oriente per portare le due cose allo stesso livello. Non esisteva alcuna comunità tra la Germania orientale e quella occidentale e questa mancanza di comunità rendeva impossibile effettuare compensazioni sotto forma di trasferimenti in un circuito di ridistribuzione tra la Germania orientale e quella occidentale. Nel 1989, il muro cadde con grande sorpresa generale. Qualche anno dopo, i due stati tedeschi divennero un tutt'uno, e così a quel tempo, naturalmente, si formò una comunità. Questa comunità, che fa sentire a tutti i tedeschi di appartenere alla stessa nazione legittima, sia da est che da ovest, genera trasferimenti. In questo momento saranno avviati i trasferimenti, in modo che il livello di trasferimento di ricchezza tra la Germania orientale e occidentale sia ora basso. Non abbiamo recuperato completamente, ma c'è stato un recupero molto forte. Caricaturalmente, i tedeschi dell'Ovest pagarono un sacco di tasse per finanziare il recupero della Germania dell'Est. Lo consideravano "normale" perché aveva senso che la loro comunità nazionale lo facesse. Ha funzionato meno con la Grecia, perché era meno ovvio convincere i tedeschi di oggi a fare ciò che avevano fatto per l'Europa dell'Est per la Grecia, perché il senso di comunità non esiste.

E' molto chiaro come le questioni della comunità e dell'autorità si pongono ad un certo livello e non ad altri. La debolezza delle disuguaglianze tra le regioni svizzere e quelle francesi si spiega naturalmente con il ruolo che i due governi svolgono nelle loro politiche di pianificazione per riuscire a limitare gli immigrati.

L'unica spiegazione fornita per le disuguaglianze in un primo tempo è che l'accumulazione di ricchezza è dovuta a determinate cause e che queste agiscono in modo diverso a seconda del luogo o che lo sviluppo implica risorse e che queste risorse sono distribuite in modo disuguale nello spazio. Il problema è riportato più avanti. Per dirla in termini molto caricaturali, un esempio è che ciò che consente lo sviluppo è il clima temperato. Di conseguenza, questo fattore spiega la differenza di ricchezza tra i paesi del sud e quelli del nord. Sarebbe necessario trovare un fattore di risorse che spieghi lo sviluppo e che sia situato esattamente dove lo sviluppo ha avuto luogo è assente dai luoghi dove lo sviluppo non ha avuto luogo. L'eterogeneità della distribuzione della ricchezza è legata ad una distribuzione disuguale di questi fattori esplicativi.

La terza ipotesi è l'idea che la ricchezza diffusa, che ci siano effetti di contagio e che questa diffusione sia ostacolata dall'ostacolo della distanza. Questo potrebbe spiegare perché si sviluppano caminetti, caminetti di accumulazione di capitale, invece di diffondersi ovunque nello spazio a immagine di una tasca che contenga palline che si aprirebbero su un tavolo cerato e che lascerebbero in tutte le direzioni. Questa tasca di marmi che apriamo, cade come su un terreno sabbioso e rimane nello stesso luogo. Questa spiegazione non è affatto come pensare che sia il terreno stesso ad avere un diverso potenziale di formazione del tronco. I marmi cadono tutti nello stesso punto e non si diffondono allo stesso modo. Possiamo anche immaginare che sia il sistema di grondaie nel terreno che fa sì che i tronchi siano incanalati in una direzione e non nell'altra.

Se la prima spiegazione è un sistema di compensazione, la seconda è di proprietà dello spazio. Queste proprietà dello spazio sarebbero di natura diversa:

  • l'eterogeneità dello spazio: le risorse e le cause non sono distribuite nello stesso modo;
  • Opacità: cioè il freno che lo spazio è eterogeneo, isotropo, il freno che esso esercita sul movimento di ricchezza.

Fattori esplicativi

Dobbiamo tornare a un'opposizione già costituita in precedenza su giochi a somma zero, positivi e negativi. È necessario ritornare su questi tre modi di considerare gli scambi internazionali e vedere in che misura essi si prestano a spiegazioni diverse dei contrasti di ricchezza nello spazio.

Negoziare come un gioco a somma zero

In primo luogo, l'idea del commercio internazionale come gioco a somma zero è che il commercio internazionale non crea ricchezza. Se il commercio internazionale non crea ricchezza, o addirittura non la distrugge, l'arricchimento di alcuni è solo la contropartita dell'impoverimento di altri. In altre parole, tutto si riduce alla circolazione della ricchezza. I paesi ricchi sono paesi che riescono a catturare ricchezza durante la loro circolazione, mentre i paesi poveri non lo fanno. Ci troviamo nel contesto di spiegazioni esogene dello sviluppo, vale a dire che sono esterne al paese interessato. Un paese non è ricco perché ha ricchezza o risorse, è ricco perché è riuscito a catturare quelle altrui. Un paese di questo tipo è povero perché le sue risorse e la sua ricchezza sono state saccheggiate e catturate. Pertanto, l'arricchimento di una determinata area dipende dalla capacità della società interessata di far parte di un'economia, di un circuito economico e di catturare la ricchezza che passa attraverso questo circuito, ma anche dalla sua capacità di impedire ad altri di fare lo stesso. Questa visione piuttosto negativa del commercio internazionale era stata teorizzata dai mercantilisti: il commercio non arricchisce nessuno, ma semplicemente ridistribuisce la ricchezza. Se vogliamo arricchirci nel commercio internazionale, dobbiamo esportare il più possibile e non importare nulla.

Marxista, imperialista, termini di scambio, nuova divisione nazionale del lavoro e teorie dell'alterglobalizzazione hanno in comune l'idea che il commercio internazionale è qualcosa da diffidare a causa di questa cattura. Per tutte queste teorie, l'accumulo di ricchezza è legato a catture che sono fonti esogene. L'arricchimento prima dell'Inghilterra, poi degli Stati Uniti e dell'Europa, e infine del Giappone, sarebbe legato al modo in cui questi spazi, uno dopo l'altro, hanno prosciugato la ricchezza da Londra, Parigi, New York, eccetera, nel loro ambiente immediato, poi rapidamente su scala mondiale. Questo è qualcosa che sembra visibile quando si visita queste città, tutto il denaro è stato prodotto lì. Questo è ancora più visibile a Londra, dove la dimensione imperiale è evidente, e dimostra che Londra è una capitale dell'Impero per la natura delle attività economiche che erano importanti e anche attraverso il contesto urbano. Un accumulo di ricchezza che si è verificato a Londra deriva dal fatto che, prima la corona britannica e poi la City, è riuscito a trascinare la ricchezza che proveniva da tutto il mondo e, naturalmente, questo è legato all'Impero britannico. Non possiamo fare a meno di pensare che questo accumulo di ricchezza a Londra sia lì per controbilanciare le cose che sono scomparse, le lacune e i vuoti nei paesi che sono stati sfruttati.

L'idea della circolazione della ricchezza è che l'accumulazione di ricchezza in alcuni luoghi è legata al fatto che è stata saccheggiata altrove. Questa idea ha senso anche in momenti specifici della storia, quando vediamo le miniere del Sud America essere svuotate e le casse dei grandi aristocratici o dei grandi re d'Europa, Spagna e Portogallo essere riempito. Si parla anche molto di saccheggi economici quando le risorse naturali vengono trattate in questo modo. Questo è ciò che hanno fatto i conquistadores, arrivano a Lima, a Città del Messico, saccheggiando le ricchezze e poi rimpatriano tutti i profitti nel loro paese d'origine. Ciò che impariamo dalle teorie alterglobaliste, dalla teoria imperialista o dalla teoria della nuova divisione internazionale del lavoro è che oggi esistono forme nascoste meno chiare di questo tipo di sfruttamento. Dal momento in cui accettiamo questa idea, la soluzione per combattere i divari di ricchezza non è partecipare al commercio internazionale, ma rifiutarci di parteciparvi, soprattutto se siamo poveri.

E' una strana coincidenza che i paesi che hanno sempre spinto di più per il commercio internazionale siano i paesi più ricchi e che i paesi che sono riluttanti a commerciare a livello internazionale siano quelli che devono affrontare questa concorrenza e aggressività commerciale. Per ritirarsi dal commercio internazionale, si deve vivere in autarchia o commerciare solo con paesi con i quali non si è in concorrenza. I paesi della Comecon dell'ex comunità economica commerciavano con i "paesi sorelle" in una forma che ricorda molto il dare per dare. Si trattava dell'idea della nobiltà dello scambio tra partner simbolicamente vicini. All'epoca si pensava che se questi paesi si aprissero al mercato internazionale, la loro ricchezza sarebbe stata saccheggiata nell'ambito dello scambio commerciale di cui avrebbero beneficiato i paesi capitalisti.

La prima soluzione è autarchica, la seconda è quella di riservare il commercio ai paesi sorelle, la terza è basata sul protezionismo eccessivo e su una strategia di industrializzazione mediante sostituzione delle importazioni.

In Corea, ad esempio, si è fatto ampio ricorso a strategie di industrializzazione della sostituzione delle importazioni. L'idea è che, a causa dell'aumento dei rendimenti, gli Stati Uniti o l'Europa siano in grado di offrire sul mercato coreano automobili relativamente economiche e di buona qualità. Se la Corea vuole avviare un'automobile, lo farà all'inizio senza molto know-how e producendo un numero piuttosto limitato di unità nei primi anni. Così le auto che i coreani stanno per produrre stanno per essere auto di scarsa qualità e costoso. I coreani preferiranno automobili a buon mercato, il che è negativo per l'industria coreana. Questo è ciò che il modello Krugman di bloccaggio nel tempo e nello spazio offre vantaggi comparativi. Se non è possibile sviluppare il mercato a causa della concorrenza sleale e dell'aumento dei rendimenti, è necessario abbandonarlo, ad esempio per vietare l'importazione di automobili americane. Poi i coreani avrebbero comprato auto costose di scarsa qualità. Ciò sovvenziona di fatto l'industria automobilistica da parte dei consumatori. Invece di acquistare auto americane a buon mercato, si compra auto coreane costose. Questo blocco sarà mantenuto per 10 anni, dopo 10 anni l'industria avrà aumentato la sua produzione e i coreani potrebbero aver compiuto progressi e, in quel momento, saranno in grado di produrre automobili che saranno buone e a buon mercato come quelle giapponesi o americane. Solo così potremo aprire il mercato. Il termine industrializzazione attraverso la sostituzione delle importazioni significa che, invece di importare, produrremo industrialmente per soddisfare la domanda che era precedentemente soddisfatta dalle importazioni. Dobbiamo giocare su richiesta e questa domanda, invece di soddisfarla attraverso le importazioni, la soddisferemo attraverso la produzione locale. Il blocco dello spazio e del ciclo di vita dei prodotti si riferisce alla questione dell'innovazione tecnologica. Ciò significa non solo ritirarsi dal mercato, ma anche ritirarsi dal diritto internazionale in un certo modo.

Il ruolo dell'aiuto allo sviluppo nell'affrontare le disuguaglianze territoriali è un bellissimo argomento di dibattito. La soluzione sarebbe quella di fare in modo che il flusso sia invertito e di fare una parte. Uno dei grandi argomenti contro questo è che l'aiuto allo sviluppo è una "benda su una gamba di legno". Gli effetti perversi delle politiche di aiuto allo sviluppo sono infatti molto significativi. Forse il modo migliore per rinchiudere qualcuno in povertà è di rinchiuderlo nella carità.

Dal momento in cui pensiamo che le disuguaglianze di ricchezza siano legate agli effetti della cattura al fatto che quando si apre un circuito economico, i flussi in questa economia riusciranno a monopolizzare la ricchezza che passa con la diretta conseguenza che in altri poli ci sarà impoverimento. In questo caso, la spiegazione delle disuguaglianze di ricchezza non è economica, ma politica, cioè gli effetti della concentrazione delle disuguaglianze di scala nello spazio si spiegano con la concentrazione dei poteri e con gli effetti della dominazione o con gli effetti dell'egemonia. I paesi ricchi sono paesi che hanno avuto il potere di monopolizzare la ricchezza che ha circolato e i paesi poveri sono paesi che sono stati saccheggiati. La mappa delle disuguaglianze di sviluppo si sovrappone in larga misura a quella degli imperi coloniali. La colonizzazione è un passato che non è passato, di cui si possono ancora vedere le tracce.

La povertà che ancora imperversa in questi paesi, è un'ipotesi prevista, è attribuibile anche alle persone che vi abitano. Questo è un punto che è stato teorizzato molto. Spesso si sente che una spiegazione per l'affondamento dell'Africa nella povertà e nella colonizzazione, perché sarebbe paesi martirizzati dalla colonizzazione attraverso da un lato la tratta degli schiavi dell'Atlantico, saccheggiato la ricchezza naturale e poi anche un'assurda frammentazione dello spazio politico attraverso i confini coloniali il cui unico scopo era quello di dividere e conquistare e da cui risulta solo caos e violenza. Allo stesso tempo, è possibile dire che questa visione delle cose che consiste nel far sostenere all'uomo bianco un peso che non è quello della civiltà, ma quello della colpa coloniale pone ancora problemi perché è ancora una volta da considerare che, come ha detto l'ex presidente Sarkozy, l'"uomo nero" non è ancora entrato nella storia a sufficienza. Il Terzo Mondo sostiene che la responsabilità è l'eredità della colonizzazione, ancora una volta, priva gli africani del loro destino, nel senso che viene loro persino negata la responsabilità del loro presente. Molte altre analisi, al contrario, dimostreranno la responsabilità delle élite africane nella fuga di capitali, nel rifiuto di investire, nel nepotismo, nella corruzione e il ruolo e la loro responsabilità in questi paesi da cinquant'anni non sono ancora emersi.

Dal momento in cui ci troviamo in questo paradigma, che è un paradigma piuttosto negativo di effetti di saccheggio, le uniche soluzioni sono di combattere o cercare di compensarlo. Non è questa l'ideologia dominante. E' l'ideologia di molti intellettuali di "sinistra", è anche l'ideologia di molti movimenti di alterglobalizzazione, ma non è l'ideologia delle grandi organizzazioni internazionali che decidono come il WTO, la Banca Mondiale e i maggiori Stati che decidono gli accordi internazionali. Sono pochissimi i paesi che hanno guidato questo tipo di pensiero.

Gli scambi come gioco a somma positiva

L'ideologia prevalente è quella dello scambio come gioco di somme positivo. Funziona come un'ideologia. Siamo in un quadro di pensiero in cui lo scambio produce ricchezza. Lo scambio permette la specializzazione e autorizza la produzione di ricchezza. Questo tipo di sviluppo non è esogeno, ma endogeno. È la capacità di alcuni paesi di specializzarsi e aprirsi al commercio, di accrescere i loro vantaggi comparativi o di realizzare i loro crescenti profitti.

Siamo nel contesto della spiegazione deterministica dello sviluppo, che tenta di identificare una mappa che sarebbe anti-economico al fine di spiegare i contrasti nello sviluppo economico. Alcuni paesi avevano una capacità di sviluppo, una predisposizione allo sviluppo e altri no. Una volta mappate, queste predisposizioni ci aiuteranno a comprendere la mappa risultante dell'accumulazione di ricchezza. Occorre comprendere chiaramente che, inizialmente, se seguiamo Ricardo, non si tratta affatto di mappare il vantaggio comparativo, poiché tutti i paesi hanno un vantaggio comparativo. Dovremmo cercare di individuare le differenze nella capacità dei paesi di sfruttare il loro vantaggio comparativo, poiché tutti ne hanno uno. Tutti i paesi, secondo Ricardo, hanno un vantaggio comparativo, ma questo non significa che siano uguali e che siano tutti produttori di ricchezza, sviluppo, valore aggiunto e crescita. Ciò che è interessante in questo quadro di pensiero è l'idea che fondamentalmente lo sviluppo, l'industrializzazione, la ricchezza e la crescita sono normali, dal momento che tutti hanno un vantaggio comparativo. Ciò che è anormale e che vale la pena spiegare non è la ricchezza, ma la povertà. Di conseguenza, non dobbiamo guardare alla storia delle società più ricche che sono diventate più ricche, ma dobbiamo guardare a ciò che impedisce ai paesi poveri di diventare più ricchi. Questo è il ragionamento in termini di blocco.

Molte delle teorie economiche dello sviluppo e del commercio internazionale cercheranno di descrivere i blocchi con più o meno finezza. Una teoria molto alla moda nel 1960 è stata la teoria di Rostow dei divari di crescita, che aveva formulato la "teoria del decollo". Questa teoria è interessante storicamente. L'idea di Rostow era di aver esaminato attentamente lo sviluppo economico dell'Europa, dell'Inghilterra e degli Stati Uniti e di aver notato che aveva cinque fasi successive di sviluppo. Queste fasi sono state contrassegnate a metà da una fase di accelerazione. Osservando i dati di produzione, ad esempio i prezzi, si possono vedere i segnali di avvertimento poco prima del decollo e vedere che la fase di decollo ha avuto luogo. C'è una fase di elevata stabilità con molta ricchezza e un alto tasso di crescita è la modalità di sviluppo economico. Ogni paese sperimenterà questo tipo di sviluppo economico. E' un modello di transizione. La transizione è molto importante nella storia delle scienze occidentali e anche nella storia delle scienze sociali. Questa è la verità della transizione demografica. Gli indicatori demografici sono, ad esempio, il fatto che il tasso di natalità sta cominciando a diminuire, che la mortalità sta cominciando a diminuire e che decollerà. Queste teorie non sono teorie deduttive, ma sono teorie empiriche basate sull'esperienza dell'osservazione, su ciò che è accaduto, ma che sono state osservate. L'idea era che questo modello fosse universalista, che necessariamente tutti i paesi seguissero la stessa strada, che la transizione demografica e la crescita economica seguissero un percorso costante, un percorso che potesse essere intrapreso solo in un modo e in una direzione. Se la Corea del Sud vuole industrializzarsi, dovrà fare come l'Inghilterra nei secoli XVII e XVIII. Non è così che è successo. Non c'è un solo modello, ci sono più voci, ma non è necessariamente inevitabile. In altre parole, c'è solo crescita, ma la crescita non è inevitabile. Quindi i blocchi non sarebbe un momento come per Rostow.

Un'altra interessante teoria di blocco messa in atto da Nurske è la teoria del circolo vizioso della povertà, che è quindi molto più basata su una società nella sua capacità. Una società che investe poco è una società che produce poco e fa poco profitto e si blocca nella povertà. Questa idea spiega un blocco nei circoli viziosi della povertà e nei circoli virtuosi della ricchezza. C'è l'idea paragonabile a questi due modi di essere economico con un "regime basso" che è la povertà con le sue logiche e i suoi circoli viziosi e poi un "regime alto" di ricchezza con i suoi circoli virtuosi che lo fanno mantenere, ma non c'è modo di passare dall'uno all'altro. Queste teorie fanno sembrare normale la crescita e cercano fondamentalmente di spiegare la mancanza di processi di descrizione della crescita, ma non ne indicano le cause.

Dobbiamo andare oltre. Siamo andati a cercare tre tipi di spiegazioni:

  • il primo tipo è il determinismo demografico fisico;
  • il secondo tipo è quello delle spiegazioni sociali, storiche e culturali;
  • il terzo tipo tornerà a Krugman sono i rendimenti crescenti.

Ambienti naturali

C'è la questione dell'ambiente naturale e dell'ambiente. Se fossimo in grado di spiegare le disuguaglianze nelle risorse e nella ricchezza attraverso l'ambiente naturale, i geografi sarebbero molto in alto nella gerarchia universitaria e questo sarebbe un discorso molto privo di colpe. L'ambiente naturale non siamo noi, forse Dio, e quindi gli esseri umani non sono colpevoli di disuguaglianze. Questa spiegazione è rassicurante soprattutto per i ricchi. Non è stato stabilito alcun legame tra questo tipo di ambiente naturale e poi tra la ricchezza e la povertà. Questi due fenomeni non hanno nulla a che vedere con il fenomeno. Per secoli e millenni, questa idea ha avuto nomi molto diversi. Tra i greci, abbiamo anche parlato di teoria del clima, sotto Montesquieu e Bodin e poi abbiamo parlato di determinismo geografico o determinismo ambientale. L'idea era semplice: la geografia umana si spiegava con la geografia fisica. Ci sarebbero paesi che dispongono di buone risorse naturali e diventerebbero ricchi e paesi che dispongono di scarse risorse naturali e rimangono poveri. Questa idea è stata minata molto recentemente, dagli anni '60 e '70, e non solo dai geografi.

Una prima argomentazione è che non ci sono risorse naturali. Da un lato, una risorsa soddisfa un bisogno e i bisogni sono socialmente costruiti. La prima domanda è: ci sono bisogni naturali? Una risorsa che corrisponde a un bisogno sociale non è veramente naturale perché è solo naturale rispetto a un bisogno specifico. Questa esigenza è legata anche alle capacità tecnologiche. Nel contesto dell'evoluzione tecnologica, alcune risorse stanno diventando obsolete. E' sempre naturale, ma non è più una risorsa. Ciò che determina una risorsa è sociale, economico, politico e tecnologico. Non ci sono risorse in cui ci sia sempre cultura, politica, economia e tecnologia. In un certo senso, il petrolio è inventato, non è una risorsa naturale. Finché qualcuno non avrà inventato il motore a scoppio, non sapremo cosa fare dell'olio. Ci vuole una convergenza tecnologica molto importante perché il petrolio diventi una risorsa interessante. Questa convergenza non è solo economica e tecnologica, ma anche culturale. Ciò che costituisce il petrolio come risorsa sono le società. Questo argomento è essenziale perché significa che non si dà mai nulla in anticipo. Forse, se vogliamo invertire la logica, potremmo dire che i paesi ricchi sono paesi che sono riusciti a inventare le proprie risorse naturali. Per dirla in termini meno provocatori, i paesi ricchi sono paesi che sono riusciti a trasformare elementi del loro ambiente in risorse naturali.

Il secondo punto è che se ci fosse stato un legame tra le risorse naturali, il loro sfruttamento e il loro arricchimento, potremmo seguire l'accumulo di capitale a seconda di dove abbiamo operato un massiccio sfruttamento di questo luogo naturale. Le regioni più ricche sarebbero quelle in cui le risorse naturali sono state sfruttate maggiormente. Il capitale, il profitto generato, il capitale accumulato durante lo sfruttamento non rimangono sul posto. I fronti pionieristici, le regioni minerarie, sono luoghi abbandonati dal capitale che ha investito in grandi centri e capitali. Ad esempio, la ricchezza generata dai fronti pionieristici brasiliani si può vedere a San Paolo.

Il terzo motivo per dubitare di questo legame tra risorse naturali e ricchezza è la mancanza di correlazione tra le due. Ci sono troppi contro-esempi. Vi sono molti esempi di paesi che sono molto ricchi di risorse naturali e non hanno visto alcun decollo economico. D'altro canto, vi sono paesi con pochissime e pochissime risorse naturali che hanno conosciuto uno sviluppo significativo. Fanno eccezione i risparmi previdenziali. Non si può negare, ad esempio, che la ricchezza dei paesi del Golfo è legata al petrolio. Le scelte che Dubai sta facendo in Qatar dimostrano che stanno pensando al post-petrolio e stanno cercando di trasformare la loro economia in qualcosa di diverso da un affitto. Le risorse naturali non durano. Non sono le risorse naturali a farci capire i contrasti tra ricchezza e sviluppo.

L'altro lato è la questione dei vincoli, dei rischi e degli ambienti ostili. Ci sono ambienti ostili, difficili, complicati e altri che sono più favorevoli allo sviluppo umano. Esistono ambienti ostili e ambienti epidemiologici meno ostili. Se un paese ha malaria, ciclone, terremoto, vulcano, 40° all'ombra, umidità al 90 per cento, i vincoli sono tali e l'ambiente tanto che non è possibile. E' un'idea molto antica ed è reversibile. La ragione per cui ci siamo sviluppati in ambiente temperato è difficile perché abbiamo stagioni che cambiano, a volte è freddo, a volte è caldo, la terra non si nutre facilmente, è necessario sviluppare una civiltà, una tecnologia e una società gerarchica. Il fatto deterministico funziona in entrambi i sensi, ma logicamente non gli fa onore. Nemmeno questo va a suo merito, e giunge sempre alla stessa conclusione, che la zona intertropicale è condannata alla povertà, al sottosviluppo e non uscirà mai dall'"età delle caverne"; d'altra parte, la zona temperata è condannata alla civiltà, al progresso, allo sviluppo e alla ricchezza. Questa idea può essere trovata nella teoria dei climi, soprattutto tra i greci nel 500 aC. La percezione del nostro ambiente è legata alla nostra cultura e alle nostre aspettative.

Se da un lato c'è la questione delle risorse naturali, dall'altro c'è la questione dei vincoli. L'idea dei vincoli è stata spesso evocata come quella delle risorse. Si è cercato di spiegare che i paesi con molti vincoli naturali non erano in grado di svilupparsi o che, al contrario, quelli senza vincoli naturali non lo erano. Il primo è l'idea che ci siano ambienti ostili o a rischio, poiché la natura inospitale di un ambiente è sempre in relazione con certi tipi di vita e quindi con un punto di vista che spesso è esterno ad esso.

Così come non ci sono risorse naturali, non ci sono nemmeno pericoli naturali. Un rischio puramente naturale non può mai rappresentare un pericolo. Uno dei principali problemi legati ai pericoli naturali è rappresentato dalle questioni igieniche o dalle epidemie che si verificano dopo gravi catastrofi. Queste epidemie o questi problemi igienici sono spesso legati alle concentrazioni umane. Il pericolo è natura nell'espressione, ma la vulnerabilità di una società nei suoi confronti è sempre una costruzione sociale, storica, economica e politica. Ciò che in geografia viene chiamato "rischio" è la combinazione di pericolo e vulnerabilità. Per ridurre il rischio, non si può fare molto per i pericoli, ma si può fare molto per la riduzione della vulnerabilità. Da un lato, proclamiamo l'onnipotenza della natura e la sua sottomissione e, dall'altro, ci risulta difficile accettare l'idea che il pericolo possa avere cause diverse da quelle umane. I pericoli naturali non esistono in quanto tali e non costituiscono un ostacolo allo sviluppo né una spiegazione del contrasto della ricchezza.

Un'idea è che ogni società costruisce il proprio sviluppo economico sulla base del consumo di risorse naturali, nel senso che non vengono prodotte. Queste risorse naturali sono essenziali per il proseguimento della produzione e, se la produzione le distrugge, ciò pone un problema a lungo termine. Molto lavoro è focalizzato sul passato e ha cercato di spiegare una serie di gravi disastri di civiltà e la scomparsa di alcune civiltà da problemi di gestione delle risorse. Tra i due grandi esempi che si possono studiare, ha la scomparsa della civiltà Maya. Quando i conquistadores arrivarono in America centrale, i Maya erano già scomparsi. Un altro esempio è quello dell'Isola di Pasqua, che si è insediata tardivamente nell'ambito delle grandi migrazioni dei popoli polinesiani. E' molto famosa per le statue giganti che furono erette, ma anche per il fatto che queste statue testimoniano di una civiltà piuttosto potente e prospera, di una forte densità sull'isola, mentre quando i primi esploratori la raggiunsero nel XVIII secolo, trovarono una società in cui regnava la miseria, la carestia e con densità molto basse. Ovviamente l'isola un tempo era molto popolata e con un alto livello tecnologico oltre che di produzione e consumo e poi, quando arrivarono gli esploratori europei, questa civiltà era quasi scomparsa senza avere idea di quanto bene fossero stati scolpiti questi colossi, nelle cave, trasportati di tanto in tanto.

Una delle teorie è quella del Diamante che è quella della catastrofe ecologica. La sua teoria è che l'economia e la società Maya, così come l'economia e la società dell'isola di Pasqua polinesiana erano entrambe in sovrasfruttamento di un ambiente fragile. L'isola di Pasqua aveva una fitta copertura forestale e gli abitanti dell'isola hanno gradualmente disboscato l'intera isola in pochi secoli perché avevano bisogno di legno per trasportare il famoso colosso. Una volta che l'isola era completamente deforestata, il risultato fu l'erosione del suolo, un cambiamento negli ecosistemi che ebbe conseguenze catastrofiche. Secondo Diamon, molte aziende sono scomparse perché non sono riuscite a gestire le proprie risorse. Invece di preservare le proprie risorse nell'ottica della sostenibilità, hanno distrutto le proprie risorse con un atteggiamento suicida.

Questa tesi ha avuto una grande eco perché corrisponde a questioni importanti oggi sulle ansie millenarie sui limiti della crescita, sull'esaurimento delle risorse non rinnovabili e soprattutto del petrolio, sul riscaldamento globale con tutta la teoria dello sviluppo sostenibile che non permetterebbe di soddisfare i bisogni attuali a scapito di quelli delle generazioni future. E' la crescita economica che non mette a repentaglio le esigenze delle generazioni future. L'idea che se le aziende possono essere scomparse a causa della loro mancanza di precauzione nella gestione delle loro risorse, è un contro-esempio che è prezioso oggi. Le analisi di Diamond sono state molto contestate e battute. Quando oggi leggiamo la letteratura scientifica sull'argomento, è molto difficile formarsi un'opinione. Queste sparizioni rimangono piuttosto misteriose. L'angoscia per la gestione delle risorse è più il risultato di domande attuali che il frutto dell'esperienza storica.

Dobbiamo cercare di mettere in relazione tali questioni con l'uso che se ne fa e con il loro possibile uso nelle relazioni politiche e internazionali. Ci rendiamo conto che se ragionamo in termini di risorse naturali, di rischi naturali o di sviluppo sostenibile, ci troviamo spesso di fronte a un'opposizione nord-sud con i paesi del Nord che, dopo aver sperimentato l'industrializzazione, dopo aver sperimentato l'inquinamento, sono giunti a posizioni ragionevoli con una certa deindustrializzazione, una terziarizzazione dell'economia, una crescita debole e quindi una produzione essenzialmente legata a servizi di tipo poco inquinante, che consumano poche materie prime e quindi rispettano l'ambiente e garantiscono in ultima analisi uno sviluppo sostenibile, che rispetta le foreste e le rimboschisce. Dall'altro lato, ci sono i paesi del sud, che sono paesi poveri, che hanno ancora l'insolenza di una crescita a due cifre, che pretendono ancora di essere industrializzati, che ancora inquinano e che non rispettano gli imperativi che vorremmo imporre loro in termini di impronta di carbonio o di gestione ambientale.

Questa lettura pone diversi problemi, in particolare per quanto riguarda il patrimonio di risorse che non sono le nostre, con l'idea, per esempio, che la foresta amazzonica sia il polmone del pianeta. Un altro problema è quello di condannare la deforestazione e poi l'industrializzazione, che consuma risorse e inquina quando tutte le nostre società lo hanno fatto. Arriviamo sempre allo stesso modello, che è quello di una zona temperata dove va bene dove si crea ricchezza, una ricchezza sostenibile e poi un mondo intertropicale basato sull'ipotesi dell'ambiente naturale è che non riesce. Non possiamo spiegare i divari di ricchezza e lo sviluppo facendo riferimento all'ambiente naturale. Anche se riconosciamo che c'è un'influenza importante degli ambienti sulla società, non sono gli ambienti naturali, ma gli ambienti che vengono profondamente trasformati dall'uomo.

La démographie

L’idée que la richesse d'un pays est faite de sa démographie à la fois parce que la population est la force de travail donc que la production serait corrélée à la force de travail disponible donc à la population. Un développement plus récent de cette théorie est de mettre l'accent sur la population non pas en tant que force de travail, mais en tant que fruit de consommation. C’est-à-dire que des pays qui se sont développés sont des pays où il y a eu le développement d'un bassin de consommation importante et une demande importante. D'une part, il est très difficile de mettre en place des corrélations entre des cas de densité et des cas de développement et si les ressources naturelles et les risques naturels ne bougent pas, les populations en revanche migrent. Les grandes migrations du XIXème siècle et du XXème siècle sont des migrations de travail. Il n'empêche que sur la base de ce rapport entre la démographie et l'économie, se sont mises en place un certain nombre de politiques, mais ce ne sont pas des politiques qui ont visées à augmenter la population ou bien à augmenter la force de travail ou encore la consommation en travaillant la démographie, mais c’est plutôt l’inverse. Les corrélations ont été jugées trop importantes et puis la pauvreté et le risque ont joués un grand rôle au XIXème siècle et également XXème siècle avec l’idée qu’il y aurait une contradiction profonde entre les rythmes de la croissance démographique et les rythmes de la croissance économique et notamment les rythmes de croissance et de renouvellement des ressources.

Le modèle de Malthus est un modèle agricole et il est très simple de voir que le développement d'une société se fait à un rythme beaucoup plus rapide que sa capacité à mettre en valeur de nouveaux sols et à augmenter sa production agricole. Toutes les ressources vont connaître ce phénomène de décalage et de décrochage entre une population qui augmente de façon exponentielle et puis une production qui n'arrive pas à suivre avec à terme des prédictions catastrophiques sur un véritable effondrement. On n'est pas dans la théorie de la catastrophe écologique, mais plutôt dans celle d’une sorte fatalité. Cela s’est traduit par la mise en place de politiques malthusiennes qui visaient notamment à limiter le nombre de naissances ou à retarder l’âge du mariage. En Occident, on a laissé tomber ces politiques malthusiennes parce qu'on a arrêté de faire des enfants, mais on aurait bien aimé que ces politiques soient mises en place en Chine ou en Inde. Il y a le fantasme orientaliste d'une population animale visée qui ne peut contrôler sa natalité, ne peut contrôler sa population et qui se reproduit comme des « fourmis ». Le terme de « bombe démographique » était utilisé en ce sens. Cela n’est pas nouveau parce qu'on a vu effectivement dès le début du XXème siècle l’idée du « péril jaune ». Au de début c'est un péril politique et un péril économique qui était lié à deux événements traumatiques, le premier était la victoire des Japonais sur les Russes en 1905 et la révolte des boxers en Chine. Cette idée connaît comme une sorte de renouveau à la fin du XXème siècle avec l’idée de la « bombe démographie ».

Si on évoque l’idée d'une capacité de charge de la terre qui est l’idée que la terre ne pourrait contenir qu’un certain nombre de personnes et pas un plus, on est revenu sur cette idée. Le problème avec cette idée que l’on retrouve aussi avec l’idée du développement durable est que l'on fait des projections aujourd'hui sur la base de deux inconnues qu’on ne peut pas prendre en compte et qui pourtant sont essentiels : la première inconnue est l’évolution technologique et le deuxième problèmes est l'évolution des besoins.

En revanche, il est sûr qu'il y a un souci en Europe, en particulier, dans une moindre mesure en Amérique du Nord, sur la question du vieillissement. Leproblème n’est peut-être pas dans la quantité de la population, mais dans sa qualité à savoir les caractéristiques de cette population et notamment son âge. Ce qui est un problème est le rapport entre la population active et la population qui ne l’est pas. Le problème de la « quantité » est que dans les populations européennes ce rapport est de plus en plus déséquilibré. La deuxième, la « qualité » est celle du niveau de qualification et du coût de la main-d'œuvre. Ce qui importe aujourd'hui est moins la quantité de population que sa qualification et son coût avec deux configurations :

  • des espaces où les sociétés ont généralement un coût de la main-d'œuvre élevé et un niveau de qualification élevé comme typiquement les pays du Nord ;
  • d'autres configurations où on a une main-d'œuvre peu qualifiée avec un coût de la main-d'œuvre qui est bas typiquement comme les pays du Sud.

Culture et institutions

Ces deux types de main-d'œuvre ne permettent pas le développement du même type d'activité. Beaucoup de travaux ont porté sur le rôle de la culture, sur le rôle des institutions sociales en général et sur le développement. A été essayé de voir dans quelle mesure on pouvait corréler des types de sociétés, des modes d'organisation sociale et des valeurs sociales avec le développement économique. Comme souvent, ces civilisations ont été caractérisées d'abord par leur religion. Chez Weber, mais également chez Huntington avec sa théorie du choc des civilisations. De nombreux travaux ont essayé de réfléchir sur le lien entre certains types de religion et puis le développement économique à commencer par les travaux célèbrent de Weber qui datent de 1905 sur l'éthique protestante et l'esprit du capitalisme dans lequel il met en rapport la naissance du capitalisme marchand en Europe centrale et en Europe rhénane avec le développement du protestantisme. Il propose toute une série d'oppositions entre des valeurs ou des modes d'organisation sociale qui seraient liés au catholicisme et au protestantisme avec l'idée que si le capitalisme marchand s’est développé sur l'axe rhénan, c'est parce que les valeurs protestantes et la société protestante y étaient prédisposées. L’idée est que le protestantisme serait porteur des mêmes valeurs que le capitalisme alors qu'au contraire, le catholicisme promouvrait des valeurs où organiserait la cité de façon moins propice à ce développement. Du côté du protestantisme et du et du capitalisme, on trouverait l'importance de l'individu, de l'initiative et de la valeur de l'individu, la valorisation de la technique et du progrès, un accent mis sur l'importance de la réussite matérielle et puis une adhésion à la science et une valorisation des connaissances scientifiques. En revanche, le catholicisme ne serait pas très individualiste, mais il valoriserait plutôt des comportements et des valeurs de groupe et de communauté, il serait plutôt dans la valorisation de la nature plutôt que de la technique. La théorie de Weber est que les pays qui avaient les valeurs du premier groupe sont à la fois les pays qui ont connu le développement du protestantisme et du capitalisme. Ses travaux sont très marquants et toujours très contestés. Sur cette base, on a continué à essayer de faire des corrélations et des cartes entre les religions et puis la croissance.

Deux grandes hypothèses que l'on voit beaucoup est l'incompatibilité du bouddhisme et de l'islam avec le développement. Pour ce qui est de l'islam par exemple, il s'agit d’un état de faits, on ne voit rien de comparable à ce qui s'est passé au Japon, en Europe et puis aux États-Unis. Une autre interprétation consiste à dire que la vision de la société, la place de la femme, des libertés, du progrès, le rapport au temps ne sont pas compatibles avec le développement économique, industriel et marchand. Un exemple cité beaucoup est que l'islam condamne le prêt. Pour une raison théologique, c'est Dieu qui crée. Une solution est de se dire par exemple que l'intérêt n'est pas la pour rémunérer l'argent qu’on va prêter, mais pour compenser le manque a gagné du fait qu'on a prêté de l'argent. Il y a des solutions idéologiques possibles.

Le problème de ces explications est un peu comme les explications sur l'opposition Nord-Sud et puis sur la tropicalité. On trouve des raisons pour expliquer pourquoi il était logique, il était attendu que ce soit en Europe que les révolutions industrielles et que l'accumulation de richesses se soit produit. Il y a toujours le soupçon qu’on est dans des logiques et des rhétoriques de justifications.

Il est intéressant de mettre l'accent sur des questions d'organisation politique, sur l'importance de l'État est puis de poser la question du lien entre la démocratie et le développement du marché et le développement du capitalisme marchand. Il faut tordre le cou à cette idée que le marché est quelque chose qui apparaîtrait spontanément. II faut un État et un État fort pour qu’un marché se mette en place et ensuite pour que le marché s'organise, se structure et prospère, il faut que l'État soit présent, il faut qu’il soit respecté et il faut qu'il apporte un certain nombre de garanties. Ces garanties sont celles du droit et du droit commercial avec le fait que quand quelqu'un ne respecte pas son contrat, il y a des recours possibles et qu’il est possible d’aller devant la justice et faire confiance à la justice. Il y a l’idée qu’on peut faire confiance à l'État pour être violent. L’État a le monopole de la violence légitime, il faut que l'État exerce sa violence, mais il faut que ce soit le seul qui soit en mesure d'exercer cette violence.

Plus fondamentalement, cela veut dire que le marché, si on le conçoit ainsi, est gêné par les dictatures. Ce que le marché déteste est l’incertitude, ce sont des situations où on ne connaît pas les règles. Si on ne connaît pas les règles, on ne peut faire aucun pronostic, aucunes projections et ne faire confiance à personne. Or, le marché est fondée sur une certaine gestion du temps et de la confiance. Si le marché déteste les dictatures, c'est pas parce qu’elles ne sont pas stables, c'est-à-dire qu’avec une dictature, on ne sait jamais ce qui peut se passer. Il peut y avoir changement de juridiction et elle peut décider de nationaliser, d'évincer sans respect du droit. Il faut un État fort, il faut un État respectable, un État respecté et qui offre une stabilité des institutions permettant de faire des affaires. Il faut qu’il y ait une situation habituelle sur laquelle on puisse compter. L'État est un acteur économique extrêmement puissant jouant un rôle essentiel dans la construction du marché, c’est également un acteur qui intervient sur le marché, c'est un producteur, c'est un consommateur, il a un rôle d'impulsion majeur dans la production et dans la consommation. L'État est une condition nécessaire, mais non suffisante pour l'émergence du marché, du capitalisme et du développement. Dans toutes ces constructions théoriques, il est considéré comme allant de soi que le marché correspond à l’industrie qui correspond au développement et la création de richesse.

Après la chute de l’URSS, la Russie n’a pas connu une période de développement économique telle que celle qu’on aurait pu imaginer et la raison principale est l’insécurité matérielle et financière. Encore une fois pour les investisseurs étrangers, cela est très difficile à gérer. La disparition du régime communiste en Russie n'a pas donné l'occasion d'un développement d'une économie de marché, mais presque l'inverse. C’est faute d'un État fort et d’un droit respecté et imposé par une autorité monopolisée par l'État que ce pays n'a pas connu cette ruée des investisseurs qu'on aurait pu espérer. La raison pour laquelle les investisseurs continuaient à être réticents à s'impliquer dans les affaires en Russie n’est pas à cause d’un État fort, mais faute d’un État fort.

La deuxième question très intéressant est le rapport qui est fait entre le la démocratie et le développement économique à savoir la démocratie, le capitalisme, l'économie marchande ou encore le marché. Cette idée est très présente dans l'idéologie libérale et elle est très forte aux États-Unis. C'est vraiment une certitude américaine. La démocratie est le marché vont ensemble dans cette idée. La raison pour laquelle la politique étrangère des États-Unis tient tellement à faire entrer la démocratie là où elle n'existe pas assez et pour faire entrer ces pays dans le marché. Ce lien entre les deux est dans le sens du mot libéral en anglais qui renvoie à la fois à la liberté d'entreprendre et aux libertés individuelles qui se fait à travers la démocratie. Cela a été théorisé par Karl Popper dans le cadre de son idée de la société ouverte. Il oppose deux types de théories : des sociétés ouvertes qui se caractérise par la liberté, par la transparence, par la mobilité et puis des sociétés fermées qui se caractérisent par l'opacité, par le manque, de liberté et puis par l'absence de mobilité. Les sociétés ouvertes sont des sociétés démocratiques et seules les sociétés ouvertes seraient propices à l'installation d'une économie de marché.

Cela fait sens sur la question importante de la mobilité sociale. Peu de gens réussissent à connaître une ascension sociale et économique importante. On a peu d'exemples de réussite et puis même si on a ces exemples, de même s’il y en a, l’ascension sociale n’a pas forcement donné ce à quoi on avait ambitionné, c'est-à-dire la reconnaissance sociale, la reconnaissance politique ou encore le pouvoir. Or, même chez les plus intéressés d'entre nous, les raisons pour lesquelles il est tellement important de faire de l'argent est parce que l'argent est porteur de reconnaissance symbolique. L’admiration qu'on va avoir pour la réussite, la réussite symbolique que permet d'afficher la richesse ne vaut que dans le cadre d'une société où on peut espérer cette ascension. L'idée de la société ouverte est que tout est possible pour chacun. Néanmoins, tout ne sera possible pour tous. Les pays qui ne connaissent pas de mobilité sociale, c’est-à-dire où les pays où dès la naissance son destin est déterminé mettant à l'écart de leur économie une population qui n'a pas de raisons de s'y impliquer parce qu'elle ne peut rien en espérer. L'idée est qu’on peu attendre une forte implication, un fort investissement, beaucoup d'inventivité, beaucoup d'efforts, beaucoup de travail beaucoup d’élan de la population active, si elle peut espérer voir reconnu les fruits de son travail. Toutes les sociétés qui sont cloisonnées, où la mobilité n'est pas possible, l’ascension sociale n'est pas possible perdent toute une partie de leurs ressources faute de permettre la mobilité. C’est l’une des raisons pour laquelle la démocratie est une condition du marché. Si la corrélation entre les deux est aussi forte, imposer le marché c'est aussi imposer à terme la démocratie. Le libéralisme économique comme le respect des libertés politiques se fonde sur une reconnaissance de l’égalité de droit et des chances entre les acteurs et sur leur autonomie, sur leur capacité à être des agents économiques.

Un des grands leviers du développement va être l'ouverture de ces sociétés, le décloisonnement, le fait de faire sauter des verrous avec l’idée d’« empowerment » qui est le fait d'augmenter la capacité d'agir, d'augmenter l'autonomie, d'augmenter la capacité à être un acteur plutôt qu'un agent. Ce lien entre la démocratie est le développement du marché a une composante idéologique forte parce qu’il sert à la justification de la mondialisation. L’une des premières justifications est que la mondialisation rapporte de la richesse renvoyant à la théorie de Ricardo et à la théorie des avantages comparatifs, le deuxième argument est que la mondialisation diffuse les valeurs du marché et que diffuser les valeurs du marché revient à diffuser les valeurs de la démocratie.

Les scandales du rendement croissant

Ces explications sont insuffisantes. Nous allons revenir vers la théorie de Krugman et sur la théorie des avantages comparatifs parce qu'elle est plus pertinente, mais elle est plus pessimiste. Certains pays ont connu très tôt leur industrialisation, c'est l'Europe, le Japon et les États-Unis et ils ont acquis à cause de cela un avantage comparatif énorme sur les autres lié à leur antériorité. Depuis, ils capitalisent sur cette antériorité qui constitue pour eux un avantage comparatif à cause des rendements croissants garantis par cette antériorité. Tous les efforts sont faits pour verrouiller dans le temps et dans l'espace avec des brevets ces avantages comparatifs et ces savoir-faires. Les pays les plus riches et les pays où se concentrent la richesse sont simplement les pays qui ont les premiers connus le développement économique c’est-à-dire l'industrialisation. Pour les autres, le verrouillage des rendements croissants n’offre pas de porte de sortie.

Pour Krugman, « les pays sont riches parce qu’ils sont riches et les pays sont pauvres parce qu’ils sont pauvres ». La pauvreté entraîne l'appauvrissement et la richesse entraîne l'enrichissement. Donc, on est face à un système de décrochage systématique et inéluctable où les pays riches ont tendance à s'enrichir et les pays pauvres ont tendance à s'appauvrir parce que les premiers disposent de rendements croissants et que les seconds ne peuvent pas payer le coût d'entré sur le marché parce que les pays pauvres et les pays riches ne sont pas dans une situation de concurrence pure et parfaite.

Comment expliquer la théorie Krugman parce que cette théorie ne va pas permettre de comprendre comment par exemple la Corée du Sud a pu devenir une grande puissance industrielle. Un élément important est celui des coûts d'obsolescence et des coûts de conversion. Le développement économique industriel se fonde sur la destruction créatrice. Les produits, les uns après les autres se périment et les modes de production, les uns après les autres cessent d’être efficace, de fonctionner et d’être concurrencés. L’une des caractéristiques de l'économie capitaliste est qu’elle ne cesse de détruire en permanence ses produits et ses modes de production afin d’en adopter de nouveaux. C’est une économie qui est en permanence dans de larecréation et pas dans de la reproduction. Dans le système capitaliste, les seuls acteurs économiques qui survivent à long terme sont ceux qui ont réussi à abandonner ce qu'il faisait pour faire autre chose. Très régulièrement c’est l'impératif de l'innovation.

L’idée de la destruction créatrice est qu’on doit changer ce qu’on produit régulièrement pour pouvoir le vendre. Cela a des effets et le fait d'abandonner une production qui est liée à des infrastructures qui ont été mises en place, liée à une population formée qui a acquis une culture et des habitudes ne se fait pas très facilement.

Qu'est-ce qui fait que ces régions industrielles connaissent la crise ? C'est parce qu'elles ont été riches. C'est parce qu’il y a eu accumulation de richesses dans ces régions minières et ces régions d'industrie lourde qu’on y a construit tellement d'infrastructures, qu'on y a mis une population d'ouvriers dont aujourd'hui on ne sait plus quoi faire. La meilleure solution est de fuir, d'abandonner ces régions où se sont accumulées des structures de production obsolètes. Il ne s'agit pas seulement des hauts-fourneaux eux-mêmes, mais il s'agit aussi des canaux qui les desservent et il s'agit des populations ouvrières devenues encombrantes. Ces régions qui étaient les régions de l'accumulation de la richesse et de la production au XIXème siècle sont devenues aujourd'hui des régions qui sont évitées par les investisseurs précisément parce qu’elles ont ce passé glorieux. Il y a l'idée qu’une région industrielle devient toujours une ancienne région industrielle et donc une région en crise. Il serait dans la nature de l'activité capitaliste de se déplacer à cause de ces effets obsolescence. Comment investir dans une activité économique rentable dans ces bassins miniers ou ses bassins sidérurgiques aujourd'hui ? Où vont se développer les activités à hautes valeur ajoutée? Dans les endroits qui ne souffrent pas d'avoir été riches auparavant. Cela est lié à l'inertie de l'espace et au verrouillage spatial. On ne peut pas tirer un trait sur tout ce qui s'est accumulé dans une région et les reconvertir instantanément pour un autre usage.

La raison pour laquelle il y a encore de la sidérurgie en France est liée aux coûts de reconversion. On est dans un modèle qui est presque l’inverse de celui de Krugman où les régions les plus attractives pour le développement des nouvelles activités qui fondent la croissance économique sont des régions qui ne souffrent pas de l'accumulation des anciennes structures industrielles. Le bonus n’est pas pour les régions qui se sont développées en premier, mais pour celles qui sont toujours développées. Il y a l’idée que le verrouillage des avantages comparatifs est en quelque sorte un peu compensé par l'obligation qui est faite à l'activité économique de se renouveler en permanence et par le coût élevé de la reconversion des anciennes régions.

Mondialisation

Nous avons pour l’instant évoqué l’ambiguïté des mesures de la richesse. Nous allons insister sur la mondialisation et interroger le rapport entre l'évolution des inégalités et la mondialisation. Est-ce que conformément aux promesses libérales et au modèle de l'avantage comparatif, la mondialisation s'est traduite par un une réduction des inégalités ou est-ce que plutôt conformé à ce que Krugman laisserait craindre, le développement et l'augmentation du champ d'application du marché à la fois géographique et économique se traduit par un creusement des inégalités ?

Evolution des inégalités

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Le premier tableau est l'évolution du PIB par habitant en dollars internationaux de 1990. Aux États-Unis en 1500, le PIB par habitant était de 400 $ internationaux de 1990. Deux cents ans après, il était passé à 527. Il est possible d’avoir deux lectures de ce tableau : une lecture horizontale et une lecture verticale. Avec une lecture horizontale on va suivre par exemple pour le Mexique l'évolution du PIB par habitant par de 1500 à 2000. Avec une lecture verticale, on peut avoir une comparaison dans l’espace du PIB par habitant et par an en 1820 de la France, du Royaume-Uni, des États-Unis, du Mexique, du Japon et de la Chine. Donc c’est un tableau qui montre quel a été le niveau de richesse et le niveau de revenu dans tous ces espaces, entre ces pays entre 1500 et 2000. Le PIB est une mesure de la plus-value, de la l'augmentation, de la production et in fine du niveau de vie.

En 1500, il n’y a pas de différences entre le PIB de ces différentes parties du monde. Cela veut dire que les niveaux de production, les modes de production, les niveaux de vie et les modes de vie étaient les mêmes partout. Bien sûr, ils étaient à chaque fois sur des types de production différente, par exemple au Mexique sur le maïs, au Japon c’était sur le riz et en France sur le blé, mais induisant des types d'organisations sociales différents, des types de paysages différents. Chacun vivait à peu près dans les mêmes conditions sur la base de ces ressources. Cela ne veut pas dire que toutes les personnes étaient à égalité dans toute société. En revanche, très probablement, l'empereur de Chine, l'empereur du Japon, le roi de France et puis le seigneur Aztèque vivaient à peu près de la même façon et le paysan chinois, le paysan japonais, le paysan français et le paysan des hauts plateaux mexicains vivaient à peu près la même façon. On était face à une situation à peu près égale à l'échelle du monde. Il y a 500 ans, il n'y avait pas d’inégalité de développement.

La deuxième étape est l’invention de l’industrie qui déjà eu lieu XVIIIème siècle au Royaume-Uni et on voit très nettement un effet de décrochages d'un pays avant tous les autres. Le Royaume-Uni a une augmentation du PIB par habitant qui est très nette par rapport aux autres pays. Pour la France, ce décollage se fait entre 1820 et 1913, pour le Royaume-Uni ça décolle en fait plus précocement et moins brutalement dès le XVIIIème siècle, pour les États-Unis le décollage est très net et il est antérieur au décollage français puisqu’il se fait avant 1820. Pour le Mexique, cela est très tardivement au XXème siècle et pour le Japon un peu plus tôt, pour la Chine et pour l'Inde très récemment puisqu'il faut attendre les années 1980 pour que ce phénomène se produise.

Sont très intéressant les moments où le PIB par habitant baisse et on est capable, en 1913, de compter de façon plus précise ce qui se passe en Chine. On observe le même phénomène pour l’Inde avec une petite baisse qui est certainement due à la décolonisation avec un décollage très récent intéressant. Pour les États-Unis, on voit que ça se joue assez tôt et que c'est en fait dès 1950 que le revenu décroche. Le décrochage se fait après la Première guerre mondiale et on voit clairement comment la Première guerre mondiale puis la Deuxième guerre mondiale ont permis aux États-Unis d'assurer leur première place sur le plan économique. En 1500, tout le monde est sur le même pied, ensuite au XVIIIème et, au XIXème siècle, il y a quelquesdécollages avec le Royaume-Uni, les États-Unis et la France et puis au XXème siècle, il y a un troisième phénomène important avec les États-Unis qui décrochent vers le haut à l'occasion ou grâce aux deux guerres mondiales et puis le quatrième phénomène important est le décollage très récent qui est en cours de la Chine et de l’Inde.

On en était à cette idée que dans l'histoire à moyen terme de la mondialisation, l’émergence des inégalités est un phénomène qui est très récent qui date de quelques siècles et qui semble effectivement correspondre tout à fait au décollage industriel des pays en question. Les différentiels de taux de croissance qu'on observe actuellement entre les pays neufs et puis les vieux pays industrialisés laissent espérer un rattrapage. Il faut partir du principe que l'extension de la mondialisation qui va toucher de plus en plus de pays, mais qui va également diffuser le marché de plus en plus en profondeur dans les pays concernés se fonde sur l'idée de la production de richesses, de l'avantage comparatif, etc. Un des principaux arguments en faveur de la mondialisation est celui que ce serait une garantie pour les pays pauvres de trouver des modes de croissance et de s’enrichir. Il y aurait une promesse de réduction des inégalités derrière la mondialisation.

Pour mesurer ces inégalités, il y a beaucoup de méthodes qui sont disponibles, mais parmi les plus parlantes il y a la méthode des écarts. L’idée est que pour gommer les problèmes statistiques que posent les notions de moyenne, on va réfléchir sur le rapport entre les pays qui sont tout en haut du classement et les pays qui sont tout en bas du classement. Par exemple, on va parler d’écart interquartile si on compare le quart supérieur au quart inférieur. On va parler d’écart interdécile si on compare les 10 % supérieurs aux 10 % inférieurs.

Nous allons considérer l’indice qui permet de comparer les 15 pays les plus pauvres et les 15 pays plus riches dans la gamme des quelque 200 pays qui constituent le monde. Depuis une quarantaine d'années, depuis la mise en place de cette forme très récente de la mondialisation, qu'en est-il de ces fameux écarts entre les pays pauvres et les pays plus riches ? Dans les 1960, les quinze pays les plus pauvres ont en moyenne un revenu par habitant par an de 1,9 et il est de 26,6 dans les pays les plus riches. Cela représente un écart de 1 à 13. En 1980, la situation des pays les plus pauvres n’a pas évolué toujours à 1,9, mais pour les pays les plus riches cela a doublé passant à 51 soit un écart de 1 à 25. En 2001, on est passé de 1,9 à 2,3 dollars par habitant et par jour en parité de pouvoir d'achat et dans les pays plus riches on est arrivé à 80$. C’est un écart de 2 à 40.

Sur la base de ce simple bilan, est-ce que la mondialisation est contemporaine d’une réduction des inégalités ? Non, c’est le contraire. Elle est contemporaine d'une augmentation des inégalités massives sans précédent historique. Les riches sont de plus en plus riches et les pauvres sont de plus en plus pauvres. On ne peut pas dire ça que si on regarde la situation des pauvres des pays les plus pauvres, cela n’a pas vraiment empiré. On est passé de 1,9 à 2,3 ce qui correspond à une augmentation de 20 %. Les pays pauvres ne se sont pas appauvris, mais ils se sont juste beaucoup moins enrichis que les pays riches. Ce n’est pas un phénomène de divergences avec des pays qui s'enfoncent dans la pauvreté et d'autres qui décollent vers la richesse. C’est une situation où les pays les plus pauvres progressent très lentement alors que la croissance accumule de plus en plus de richesses dans les pays les plus riches. Le problème ce n'est pas l'appauvrissement des pays pauvres, mais dans l’enrichissement des pays riches.

Quel regard jeter sur ces chiffres ? Il est possible de se scandaliser, car on est face à un phénomène où les bénéfices effectifs sont comme monopolisés par les pays les plus riches. Si il n’y a pas d'appauvrissement et si il y a un enrichissement des riches, on serait plutôt dans un bilan positif : une augmentation des inégalités qui se fait vers le haut et pas vers le bas.

La richesse et la pauvreté sont aussi des notions relatives. Bien sûr, si on a besoin de se nourrir on est dans l’absolue. Les notions de richesse et de pauvreté ne se définissent pas par rapport à un absolu qui est celui des besoins physiologiques, mais le niveau de richesses va se caractériser par comparaison. On se définit comme riche pas dans l'absolu en fonction de ce qui est dans son portefeuille, mais par comparaison à ce que gagne ou ne gagne pas les gens autour de nous. La richesse et la pauvreté renverraient plus à une perception, un sentiment et à une comparaison.

Les plus pauvres, les habitants du Bangladesh ne passent pas leur temps à regarder ce qui se passe dans le quartier Beverly Hills, ils ne sont pas confrontés au quotidien et à ce dérapage. Mais, à la vérité, ils le sont. Par exemple, avec le cinéma d'Hollywood et avec le cinéma occidental, ils sont nourris en permanence par une vision du niveau de vie dans les pays riches. La télévision donne à voir la richesse. À l'échelle du monde entier et c’est un phénomène très récent, les pauvres sont confrontés non à la richesse, mais à l'image de la richesse. Le contraire n'est pas vrai, c'est-à-dire que les très riches ne sont pas confrontés à la pauvreté. L'image ne leur est pas imposée. Dans cette optique, ce décalage suscite d'autant plus de frustrations puisque ceux qui sont enfermés dans ces pays où le niveau de vie stagne à deux dollars par jour et par habitant sont confrontés à l'évidence de l'accumulation de richesses croissante dans les pays occidentaux telle qu'elle est exhibée notamment par la télé américaine, mais aussi par leur propre télé nationaliste. Cela suscite des frustrations qui existaient moins auparavant parce que l'espace virtuel des médias ou d'internet ne permettait pas cette confrontation entre d'un côté les pauvres et de l’autre côté les riches. C’est l’une des explications à la toute-puissance de l'appel d'air migratoire qui émane des pays riches qui est que les candidats à la migration dans les pays pauvres sont informés ou désinformés et disposent de beaucoup d'informations plus ou moins juste ou erronées à propos de la richesse des pays les plus riches. S’il n’y a pas un creusement des inégalités, il y a sûrement une augmentation du sentiment d’injustice et du sentiment de pauvreté.

Il faut revenir sur l'idée de l'avantage comparatif et sur l'idée que les échanges internationaux ne constituent pas seulement un échange de valeur, mais aussi une création de valeur. Si l'on met en parallèle les chiffres tels que donnés et l’idée de la taille du gâteau qui augmente, la seule façon de les rendre compatibles est qu’on change la taille des parts. C’est-à-dire que les pays riches se taillent des parts de plus en plus grande dans ce gâteau si bien que malgré l'augmentation de la taille du gâteau, la part des pays pauvres stagne. II y a création de richesses à travers la mondialisation et les échanges, mais elle ne profite pas à tout le monde parce que cette augmentation de richesses n'est pas également répartie entre les participants, elle est captée par certains d'entre eux. On n’est pas dans un système où il aurait une autorité qui réglerait la difficulté de la redistribution de cette richesse. On n'est pas dans un système où on serait d'accord sur des principes de justice, d'équité et d'égalité en fonction desquels les bénéfices de ces échanges seraient répartis de façon égale. En théorie, c’est le marché qui en décide, l'échange résulte d’un contrat et qu’il ne s'opère que quand les deux partenaires de l'échange sont satisfaits des termes de l'échange.

Si un des deux partenaires est lésé dans l'affaire, pourquoi il signe le contrat, pourquoi il s'engage dans l'échange si à travers celui-ci il fait peu de bénéfices ou pas du tout comparé à son autre partenaire. C'est une affaire de prix. Les prix sont fixés de telle façon que les échanges bénéficient aux pays riches. On retrouve la théorie de la détérioration des termes de l'échange. Les instruments qui permettent cette captation de la richesse dans l'échange sont en rapport avec le caractère asymétrique des rapports en rapport avec le caractère asymétrique des relations entre ces deux partenaires. C’est dans le cadre des rapports de pouvoirs, de ces obligations qui sont passées par contrat que s'opère la confiscation de la richesse.

Pour éviter les effets de pouvoir ainsi que la confiscation, la solution consiste à avoir un système de régulation qui va compléter ou surimposer au marché un circuit de redistribution. On voit, par exemple, à l'échelle de l'Europe des systèmes de redistributions qui font circuler la richesse entre les régions les plus riches et les régions les plus pauvres. À l'échelle du monde cela n'existe pas puisque les régulations ne se produisent pas à l'échelle de la planète.

Répartition de l’enrichissement

À qui profite les profits de la mondialisation ? L’idée est que la mondialisation pourrait profiter à tout le monde, mais ce n’est pas le cas. On va admettre la réflexion ricardienne des avantages comparatifs et réfléchir sur où sont actuellement les avantages comparatifs les plus importants et les avantages comparatifs majeurs ? On peut en distinguer deux types :

  • un avantage comparatif qui porte sur la qualification de la main-d'œuvre et le savoir-faire ;
  • un avantage comparatif qui porte le coût de la main-d'œuvre.

On assiste à une divergence économique avec :

  • les pays du Nord : dans les pays riches des populations hautement qualifiées qui s'occupent à des tâches complexes, qui font appel à des hautes technologies et qui produisent de l'innovation. Ce qui est moteur dans l'activité économique est la manipulation de symbole. On ne fait plus de l'argent en manipulant des objets, on fait de l'argent en manipulant des symboles, c'est-à-dire en ayant des idées et si possible des nouvelles. Cela suppose un capital culturel, un capital scientifique et capital technologique très important. C'est ce qu'on appelle le secteur quaternaire ou le secteur tertiaire supérieur adossé aux universités et aux laboratoires de recherche.
  • les pays du Sud : cette main-d'œuvre qualifiée n’existe pas ou si elle existe à l'étranger elle fait partie d’un système de drainage des cerveaux qui ne profite qu'aux États-Unis. Au contraire, on aurait trouvé une main-d'œuvre relativement peu qualifiée, mais très nombreux et très bon marché. C’est une main-d'œuvre affectée à des tâches répétitives et non pas à l’innovation, mais au contraire à la reproduction la plus exacte possible des mêmes gestes. Ce sont des choses que les machines encore n’arrivent pas faire alors que pourtant elles pourraient simplement le faire, mais les ouvriers sont pour l'instant moins chers que les machines.

Cette nouvelle division internationale du travail a des activités de conception, de recherche et de manipulation de symboles dans les pays du Nord et puis des activités de réalisation, de manipulation et de manufacture dans les pays du Sud. Le problème est que les activités de manipulation de symboles rapportent plus de plus-value que celles qui sont juste dans la reproduction de manipulation, et dans la théorie de la destruction créatrice de Schumpeter, il est dans la nature de l'activité économique d'innover. Non seulement, la manipulation d'objets rapporte moins que la manipulation, mais également, la manipulation d'objets produits moins de croissance alors que la manipulation d'objets de symbole produit de la croissance à travers l’innovation. Non seulement les pays riches, à travers la division des activités, monopolisent les profits, mais également la croissance.

Les effets induits, les effets d'entraînement et les coefficients multiplicateurs des industries manipulatrices de symboles sont très élevés et sont au contraire très faibles dans les industries qui ne manipulent que des objets. Ce serait une explication des écarts croissants entre les pays riches et les pays pauvres qui seraient liés au fait que les pays riches ont confisqué les activités les plus intéressantes à savoir la manipulation symbole et ont abandonné aux pays pauvres les activités qui produisent moins de richesse et de croissance et qui sont aussi les plus polluantes. Il y a un risque de dualisation de l'économie à l'échelle mondiale avec d'un côté des nations d'ingénieurs, des nations de chercheurs, des populations en col blanc ou en cravate très qualifiée et puis d’un côté des nations prolétaires, des nations manufacturières. D'un côté des pays avec des laboratoires et des bureauxet d’un côté des pays avec des usines et des manufactures.

Là où cette explication s'avère très vite insuffisante est qu’il n'y a pas que des riches dans les pays riches et il n'y a pas que des pauvres dans les pays pauvres. La richesse et la pauvreté sont à relativiser, il n’y a pas dans les pays riches que des ingénieurs, des avocats, des chercheurs, des publicistes, etc., il y a aussi des gens qui sont peu qualifiés, il y a aussi des gens qui ne sont pas utiles pour la manipulation de symboles. Pour une raison ou pour une autre, ils ne peuvent faire que de la manipulation d'objets. Tout le monde n’arrive pas sur marché du travail avec un diplôme. Dans les pays du Sud, il est aussi des ingénieurs, évidemment, il y a aussi une bourgeoisie, il y a des gens qui accumulent de l'argent. Notamment, dans des pays comme le Brésil ou l’Inde, il y a des gens riches et des gens très riches. Ce sont des pays où il y a une élite de la population qui a réussi à s'enrichir localement et qui continue à investir localement. Dans les pays du Nord, dans les pays riches, pour les gens qui sont très bien formés, ils ont tout à gagner de la mondialisation. Pour ceux qui n’ont que leur force de travail, ils sont confrontés à une concurrence « déloyale », celle des gens qui font la même chose dans les pays du Sud avec un salaire inférieur.

On a beaucoup évoqué l’idée d'une société en sablier avec une absence de classe moyenne et avec l'évolution vers une économie d'ordre domestique. Une des réponses est que la scène caricaturale à laquelle on arrive est qu’on à d’un côté dans des bureaux des gens très qualifiés qui gagnent beaucoup d'argent, mais rapportent également beaucoup d'argent en s'activant à la manipulation de symboles, de nouvelles idées sur leur ordinateur, ils valent très cher. Avant, le service domestique se faisait à l’intérieur de la maison bourgeoise. C’est une population peu qualifiée, mal payée et précaire qui n'a aucun bénéfice à attendre de la mondialisation sauf à ce qu’un État, quelque part, opère la redistribution. Le risque de dualisation de la division internationale du travail est surtout majeur au sein des pays riches. Un décrochage s’opère avec d'un côté des acteurs impliqués dans la mondialisation et qui en tirent parti et puis de l'autre une population qui était peu qualifiée et manufacturière qui avait son sens du temps où on fabriquait des objets dans les pays du Nord.

La question de la dualisation interne au sein des pays pauvres ne semble pas poser les mêmes problèmes qu’au sein des pays riches. À la vérité, ce n'est pas tout à fait exact parce que la main-d'œuvre qu'on considère comme une main-d'œuvre non qualifiée, celle qu'on peut employer dans les usines manufacturières, de reproduction de tâches standardisées, est d'une certaine façon déjà occidentalisée. Cela suppose un mode de comportement économique, linguistique et culturel qui suppose déjà qu'on est passé de la campagne à la ville et qu'on est passé à un type de fonctionnement économique de nature différente. Ce n'est pas parce qu'il y a des pauvres dans des pays du Sud que tout cela sont employable et employé dans l'industrie manufacturière. Il faut pour cela certaines qualités ou certaines qualifications de précisions, d'employabilités, appliquer des règles, des règlements, standardiser des procédures qui ne sont pas forcément envisageable pour n'importe quelle personne qui est candidate à la migration de la campagne vers la ville.

Géographie des inégalités

Ce qui est intéressant dans cette façon de réfléchir est le changement d’échelle du raisonnement. On ne raisonne plus seulement à l'échelle des inégalités entre les pays, mais on retombe sur le thème des inégalités à l'intérieur des pays. À ce moment, la géographie des échanges se pose en des termes nouveaux puisqu’au fond, il s'agit d'une géographie du travail. Ce sont des enjeux de localisation de la main-d'œuvre. Nous allons nous focaliser sur ce qui se passe à l'échelle à l'échelle nationale entre les pays et réfléchir à la différence en la matière entre les pays riches et les pays pauvres.

À l’échelle nationale

Pour les pays pauvres, l'avantage comparatif tient à une main-d'œuvre relativement peu qualifiée et bon marché. Cette main-d'œuvre est une main-d'œuvre qui est moderne, une main-d'œuvre qui répond à des horaires, qui répond à des standards et qui est ancrée dans la société ce marché. Il s'agit de la partie la plus occidentalisée des populations en question. C’est souvent une population qui s'oppose à des traditions et à des habitudes qui sont locales. On va souvent considérer l'opposition entre un littoral, des grandes villes et une certaine modernité et un arrière-pays moins urbanisé, moins connecté et moins occidentalisé. C’est effectivement auprès de cette population occidentalisée des grandes villes et du littoral où va se concentrer la croissance. Le décrochage dont on peut parler au sein des pays pauvres va se faire géographiquement entre la tête du réseau urbain, les grands ports, les littoraux d’un côté et puis de l'autre côté l'espace rural des petites villes avec la construction de façades maritimes ou d'un archipel métropolitain qui va concentrer la croissance et être le foyer de diffusion de modernité ou de l'occidentalisation et de la mondialisation.

Pour les pays riches, le problème est celui de la qualification de la main-d'œuvre : la question est où se trouve la main-d'œuvre qualifiée ? Dans les régions qui ont connues un développement précoce, on voit une accumulation de structures de production et de populations obsolètes. On n'a plus besoin de tout cela et ce qu'on veut est incompatible avec tout cela. Le fait qu'on n’ait plus besoin de la main-d'œuvre non-qualifiée, qu’on ait plus de place pour les industries dans les pays occidentaux, va précipiter dans la crise toutes les anciennes régions industrielles qui ont fait la richesse de ces espaces et qui sont aujourd'hui celle où se concentrent les fermetures d'usines et qui souffrent le plus de délocalisation sans que sur place se localisent les activités du secteur supérieur tertiaire et quaternaire productrice de plus-value et de croissance. Elles vont au contraire abandonner les régions sinistrées pour se localiser dans deux grandes directions qui sont :

- celles où on peut espérer trouver ou bien faire venir la population hautement qualifiée, c'est-à-dire les chercheurs, les cadres supérieurs, les ingénieurs ou encore les avocats et les banquiers d'affaires. On va retrouver ces populations d’abord à côté des centres de ressources de production à savoir les grandes écoles et les universités. Ce sont des zones de formation qualifiée.

- l'autre idée est de ne pas forcement se situer dans les grandes villes, mais de trouver des espaces qui ont été plus ou moins épargnés par l'industrialisation et l'urbanisation. La population très qualifiée va accepter de se déplacer en fonction de la qualité de vie. Les « quatre S » sont le Sable, le Soleil, le Ski et le Sérail. Les lieux de concentration du pouvoir, les lieux où il y a de la montagne, les littoraux avec le sable et puis les régions sud.

À l'échelle de chaque pays, on observe ce phénomène où il y avait une fuite à partir des régions industrielles et qui va profiter aux grandes métropoles, au sud dans son ensemble, aux régions de montagne et aux régions littorales. Ce déplacement représente bien le basculement d'une économie secondaire vers une économie tertiaire. Un point essentiel est la capacité de certaines grandes villes à se connecter à un réseau mondial. La mondialisation suppose une très bonne connexion aux réseaux de productions mondiaux des plus-values. L'interconnexion reste très focalisée sur des plates-formes aéroportuaires. Vont émerger dans chaque grande région économique quelques très grands pôles très bien connectés au reste du monde et dans lesquels on va avoir la même population qui se livre aux mêmes activités très qualifiées et très productrices de valeur ajoutée et qui vit de même façon.

Se forment des élites cosmopolites mondialisées. Souvent, les populations de l' « archipel métropolitain » qui est l'ensemble des villes mondiales interconnectées, sont très bien reliées les uns aux autres, mais sont relativement déconnectées de l'arrière-pays environnant. Une élite va circuler entre Singapour, Hong Kong, Dubaï, Francfort, Londres, New York, Miami, Los Angeles, Tokyo ou encore formant une sorte d'archipel parce que toutes les grandes métropoles constitueraient des îles déconnectées de leur environnement immédiat ayant peu de liens avec leur environnement immédiat, mais qui sont très connectées les unes aux autres. Ces îles sont liées par une culture commune et par des flux très importants qui sont non seulement des flux de personnes très qualifiées circulant entre ces grandes métropoles, mais également des flux financiers et puis des flux d'informations. On observerait l'émergence d'un nouvel espace de réseau qui serait un espace réticulaire :

  • on aurait d'un côté l'espace réticulaire en réseau des élites cosmopolites productrices de plus-values, manipulatrices de symboles et qui fonctionne à l'échelle mondiale ;
  • et puis d’un côté un vieil espace qui fonctionne tout à fait d'une autre façon et dont les modes de vie et les modes de consommation ne sont pas les mêmes.

L'émergence de la structure de l'archipel mondial métropolitain serait également porteuse de dualité géographique et d'inégalité géographique au sein de chaque pays. Le Nord mobilise l'essentiel de ce réseau où se concentre le savoir et la production de richesses. Ce qui importe est l'interconnexion, une population très qualifiée, également une qualité de vie très attractive. La qualité de vie peut pallier un certain isolement.

À l’échelle locale

La mondialisation et la production d'inégalités par la mondialisation méritent d'être analysées non seulement à l’échelle internationale, mais aussi par les effets qu'elle a au sein de pays et des effets de décrochage qui se produisent au sein de chaque pays.

Alors, à l'échelle microlocale qui est l’échelle résidentielle, lorsqu’on cartographie la population, on cartographie son lieu de résidence et ce n'est pas forcément l'endroit où sont les gens. Pendant une bonne partie de notre vie, nous ne sommes pas chez vous. Dans les pays riches, on distingue deux types de population :

  • les manipulateurs de symbole très qualifiés : très impliqués dans la mondialisation qui produit de la plus-value et en tire de hauts revenus ;
  • les travailleurs routiniers qui sont peu qualifiés : qui sont souvent cantonnés à des activités plus vraiment manufacturières et des services vraiment banals voire des services à la personne et des services domestiques.

Il y a deux types de population avec peu de mobilité entre les deux et qui sont impliquées très diversement dans la mondialisation donnait lieu à deux géographiques différentes. Selon les moments de la journée, on va les trouver dans des endroits différents et avec des effets de ségrégation. Dans le centre-ville ou dans les zones d'activité d'une grande métropole mondiale, on trouve les deux dans la journée, aussi bien le livreur de pizza que le cadre supérieur qui cohabitent. Mais ce n’est pas le cas de tous les métiers. La mondialisation dans les pays riches ne profite vraiment qu’aux plus qualifiés. On va se retrouver avec d'un côté une population qui est largement féminine, largement immigrée, ouvrière et qui ne profite pas beaucoup de la mondialisation, de l’autre côté une population plutôt masculine et qualifiée qui va occuper les fonctions les plus élevées dans la hiérarchie des métiers. Par exemple, le problème du travail domestique en Occident n’a pas été réglé, mais a juste été délocalisé. Les enjeux de genres sont majeurs, il y a une population qui est bien plus engagée dans la mondialisation ne serait-ce qu'à travers des questions de mobilité.

On va opérer ce genre de discrimination spatiale à l'échelle de chaque ville où on va trouver des effets de ségrégation avec certains éléments. Cette « nouveauté » a toujours existé et elle a simplement changé de nature. La ségrégation est plus horizontale avec une ségrégation qui se fait quartier par quartier. Par exemple, les « gated communities » sont des communautés très fermées, très homogènes socialement qui sont fermés par une barrière, contrôlée par une porte, il faut y montrer son droit d'accès. Pendant longtemps ces « gated communities » étaient réservées aux privilégiés. Au Brésil où la hiérarchie sociale s'avère très fine, on va voir maintenant aussi voir des « gated communities » de classes moyennes dans des quartiers pauvres. C’est un phénomène nouveau qui est la privatisation de l’espace public qui peut aller jusqu’à fermer des rues. Une sécession urbaine est le fait de se retirer de l'espace public. C'est le prétexte de l'entre soi, de la communauté, de la sécurité, mais cela est très lié à des phénomènes massifs de divergences sociales qui sont à la fois économiques et culturels et politiques. L'autre phénomène massif lié à l'urbanisation très rapide des années 1960 est le développement de l'habitat précaire. Autant les « gated communities » sont planifiées, désigné est construite pouvant aller loin dans la planification urbaine, autant un habitat spontané, de ce qu'on appelait quelquefois les « bidonvilles », est l'idée qu’une population exclue va s'emparer de partie négligée de l’espace urbain. C’est un habitat qui est « toléré ». Cela traduit dans l'espace un éclatement de la société urbaine entre une partie de la société qui n'a pas d'emploi, qui ne bénéficie pas des avantages urbains. Dans les pays du sud, ces logiques sont tout à fait liées au développement capitaliste dans ces pays. À l'échelle des villes, la mondialisation, en opposant ainsi les uns « inclus » et les « exclus » du développement économique, est productrice d’inégalité et éventuellement de violence.

Les phénomènes de gentrification est l'embourgeoisement et la réhabilitation des quartiers anciens et populaires. La population pauvre qui habitait dans des vieux taudis est remplacée par une population beaucoup plus aisée qui s'installe dans des taudis réhabilités. Le phénomène de la gentrification se traduit par une exclusion, c'est-à-dire que les populations pauvres qui vivaient en centre-ville sont exclues par des populations de jeunes urbains à mode qui vont habiter dans des quartiers souvent centraux et animés qui possèdent un « petit supplément d'âme ». Dans la littérature géographique, il y a toute une réflexion sur le rôle de la « classe créatrice » et notamment sur le rôle des homosexuels dans la gentrification urbaine, c'est-à-dire une population « à la mode », « branchée », qui sort beaucoup, qui aurait plus d’argent en moyenne.

On est face au même phénomène avec des populations qui sont cosmopolites des populations qui vivent sur plusieurs grades à la fois qui sont très branchés sur des réseaux, très informés et souvent très qualifiés avec des populations présentent depuis longtemps. Ces populations ne cohabitent pas dans l'espace. Les anciennes populations sont poussées souvent aux marges des villes loin des activités économiques et loin de ce pôle où se tissent les liens de la mondialisation.

Carte de la précarité à genève.jpg

C’est une carte de la précarité dans l'agglomération de Genève, mais qui est frustrante parce qu’on voudrait une échelle beaucoup plus fine. L’échelle va de 0 à 6. On veut mesurer la richesse, mais on a bien du mal. On construit des indices. Néanmoins, les indices ne permettent pas vraiment la comparaison. On voit bien qu’il y a une logique à la répartition spatiale : des zones vont concentrer des populations très favorisées et puis d'autres vont concentrer des populations très précaires.

Il faudrait lire cette carte avec en tête la carte des inégalités de richesses et de développement l'échelle du monde. Au fond c'est la même. Genève comporte plus 50 % d'étrangers, Genève est aussi le résultat de flux internationaux, de flux d'échanges, de flux d'informations qui sont mondialisés. On voit les effets de ségrégation sociale, les effets les décrochages entre les manipulateurs de symboles puis les manipulateurs d'objets.

Annexes

Références