« Decodificare la teoria delle relazioni internazionali: Le teorie e il loro impatto » : différence entre les versions

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La cooperazione è facilitata anche dai continui processi diplomatici. Il costante impegno diplomatico, sia attraverso vertici di alto profilo sia attraverso canali di comunicazione discreti, consente agli Stati di articolare i propri interessi, comprendere le posizioni degli altri e stringere accordi che vadano a beneficio di tutte le parti coinvolte. La storia della cooperazione internazionale è segnata da successi e fallimenti. La Società delle Nazioni, ad esempio, non è riuscita a prevenire la Seconda Guerra Mondiale, ma ha aperto la strada alla creazione delle Nazioni Unite, che da allora hanno svolto un ruolo fondamentale nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. I successi della cooperazione internazionale, quindi, si basano sulle lezioni apprese dalle esperienze passate, sull'allineamento degli interessi e sull'impegno degli Stati a lavorare insieme per il bene comune. In sostanza, il perseguimento della cooperazione internazionale è una risposta alle complesse dinamiche delle relazioni globali, dove l'assenza di un'autorità suprema costringe gli Stati a cercare modi per coesistere, collaborare e affrontare insieme le sfide comuni. Attraverso la creazione di istituzioni internazionali, trattati, partnership economiche e alleanze di sicurezza, nonché la coltivazione di norme condivise e la pratica della diplomazia, gli Stati si sforzano di creare un mondo stabile, prospero e pacifico.
La cooperazione è facilitata anche dai continui processi diplomatici. Il costante impegno diplomatico, sia attraverso vertici di alto profilo sia attraverso canali di comunicazione discreti, consente agli Stati di articolare i propri interessi, comprendere le posizioni degli altri e stringere accordi che vadano a beneficio di tutte le parti coinvolte. La storia della cooperazione internazionale è segnata da successi e fallimenti. La Società delle Nazioni, ad esempio, non è riuscita a prevenire la Seconda Guerra Mondiale, ma ha aperto la strada alla creazione delle Nazioni Unite, che da allora hanno svolto un ruolo fondamentale nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. I successi della cooperazione internazionale, quindi, si basano sulle lezioni apprese dalle esperienze passate, sull'allineamento degli interessi e sull'impegno degli Stati a lavorare insieme per il bene comune. In sostanza, il perseguimento della cooperazione internazionale è una risposta alle complesse dinamiche delle relazioni globali, dove l'assenza di un'autorità suprema costringe gli Stati a cercare modi per coesistere, collaborare e affrontare insieme le sfide comuni. Attraverso la creazione di istituzioni internazionali, trattati, partnership economiche e alleanze di sicurezza, nonché la coltivazione di norme condivise e la pratica della diplomazia, gli Stati si sforzano di creare un mondo stabile, prospero e pacifico.


==== Cultural, Religious, and Nationalistic Influences ====
==== Influenze culturali, religiose e nazionalistiche ====  
The role of culture, religion, identity, ethnicity, and nationalism in international society is profoundly significant, influencing the behavior of states and other actors in a myriad of ways. These elements often shape the underlying values, beliefs, and motivations that drive international interactions.


Culture, which encompasses the shared values, norms, and practices of a society, can deeply influence a state's foreign policy and diplomatic interactions. Cultural understandings and misinterpretations can either facilitate or hinder international cooperation. For instance, the concept of "face-saving" in East Asian cultures plays a critical role in diplomatic negotiations, requiring a nuanced approach that respects the cultural context. Religion, too, has been a potent force in international relations. It can be a source of conflict, as seen in various sectarian or religious conflicts around the world, but it can also be a powerful force for peace and reconciliation, as religious leaders and organizations often play key roles in peacebuilding and humanitarian efforts. The role of the Catholic Church in the Polish Solidarity movement of the 1980s, for example, illustrates how religious institutions can influence political change.
Il ruolo della cultura, della religione, dell'identità, dell'etnia e del nazionalismo nella società internazionale è profondamente significativo e influenza il comportamento degli Stati e di altri attori in una miriade di modi. Questi elementi spesso plasmano i valori, le credenze e le motivazioni sottostanti che guidano le interazioni internazionali.


Identity and ethnicity are central to understanding many international conflicts, particularly in areas where national borders do not align with ethnic or cultural boundaries. Ethnic tensions have been a driving force behind numerous conflicts, including the Yugoslav Wars in the 1990s. Ethnic identity can also influence state policies in more subtle ways, such as the preferential treatment of certain diaspora communities. Nationalism, or the belief in the superiority and interests of one's nation, often shapes a state's foreign policy. It can be a unifying force, fostering cohesion and collective identity, but it can also be exclusionary and lead to conflict with other nations. The rise of nationalism in various countries in recent years has had significant implications for international politics, affecting trade policies, immigration laws, and international cooperation.
La cultura, che comprende i valori, le norme e le pratiche condivise di una società, può influenzare profondamente la politica estera e le interazioni diplomatiche di uno Stato. Comprensioni e fraintendimenti culturali possono facilitare o ostacolare la cooperazione internazionale. Ad esempio, il concetto di "salvare la faccia" nelle culture dell'Asia orientale gioca un ruolo fondamentale nei negoziati diplomatici, richiedendo un approccio sfumato che rispetti il contesto culturale. Anche la religione è stata una forza potente nelle relazioni internazionali. Può essere una fonte di conflitto, come si è visto in vari conflitti settari o religiosi in tutto il mondo, ma può anche essere una forza potente per la pace e la riconciliazione, in quanto i leader e le organizzazioni religiose spesso svolgono ruoli chiave nella costruzione della pace e negli sforzi umanitari. Il ruolo della Chiesa cattolica nel movimento polacco di Solidarność degli anni Ottanta, ad esempio, illustra come le istituzioni religiose possano influenzare il cambiamento politico.


The interplay between these factors and international politics is complex. Constructivist theorists like Alexander Wendt argue that these social and cultural factors are not merely background conditions but actively shape state interests and identities. They can determine who is considered a friend or foe, what actions are deemed legitimate or illegitimate, and how states define their goals and interests. In practice, these cultural and social factors often intersect with more material aspects of international relations. For example, disputes over resources can be exacerbated by ethnic or religious differences, and cultural ties can influence economic partnerships. The China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), part of China's Belt and Road Initiative, is not only an economic project but also reflects the cultural and political affinity between China and Pakistan. In conclusion, culture, religion, identity, ethnicity, and nationalism are integral to the fabric of international society. They shape the perceptions, behaviors, and policies of states and non-state actors, influencing the course of international relations in profound and sometimes unpredictable ways. Understanding these elements is crucial for a comprehensive analysis of global affairs.
L'identità e l'etnicità sono fondamentali per comprendere molti conflitti internazionali, in particolare nelle aree in cui i confini nazionali non coincidono con quelli etnici o culturali. Le tensioni etniche sono state la forza trainante di numerosi conflitti, tra cui le guerre jugoslave degli anni Novanta. L'identità etnica può anche influenzare le politiche statali in modi più sottili, come il trattamento preferenziale di alcune comunità della diaspora. Il nazionalismo, ovvero la convinzione della superiorità e degli interessi della propria nazione, spesso plasma la politica estera di uno Stato. Può essere una forza unificante, che favorisce la coesione e l'identità collettiva, ma può anche essere escludente e portare a conflitti con altre nazioni. L'ascesa del nazionalismo in vari Paesi negli ultimi anni ha avuto implicazioni significative per la politica internazionale, influenzando le politiche commerciali, le leggi sull'immigrazione e la cooperazione internazionale.
 
L'interazione tra questi fattori e la politica internazionale è complessa. I teorici del costruttivismo, come Alexander Wendt, sostengono che questi fattori sociali e culturali non sono solo condizioni di sfondo, ma plasmano attivamente gli interessi e le identità degli Stati. Possono determinare chi è considerato amico o nemico, quali azioni sono considerate legittime o illegittime e come gli Stati definiscono i loro obiettivi e interessi. In pratica, questi fattori culturali e sociali si intersecano spesso con aspetti più materiali delle relazioni internazionali. Ad esempio, le dispute sulle risorse possono essere esacerbate da differenze etniche o religiose e i legami culturali possono influenzare le partnership economiche. Il Corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC), parte della Belt and Road Initiative cinese, non è solo un progetto economico, ma riflette anche l'affinità culturale e politica tra Cina e Pakistan. In conclusione, cultura, religione, identità, etnia e nazionalismo sono parte integrante del tessuto della società internazionale. Essi plasmano le percezioni, i comportamenti e le politiche degli Stati e degli attori non statali, influenzando il corso delle relazioni internazionali in modi profondi e talvolta imprevedibili. La comprensione di questi elementi è fondamentale per un'analisi completa degli affari globali.


=== IR Theories as Tools for Ethical and Normative Inquiry ===
=== IR Theories as Tools for Ethical and Normative Inquiry ===

Version du 29 décembre 2023 à 09:47

"Il mondo reale inizia qui.... Ciò che pensiamo di questi eventi e di queste possibilità [ad esempio, in luoghi come la Bosnia e il Ruanda, le guerre mondiali e le prospettive della politica mondiale nel ventunesimo secolo], e ciò che pensiamo di poter fare al riguardo, dipende in senso fondamentale da come li pensiamo. In breve, il nostro pensiero sul mondo "reale", e quindi le nostre pratiche, è direttamente correlato alle nostre teorie, quindi come persone interessate e preoccupate per il mondo reale, dobbiamo essere interessati e preoccupati per la teoria: Quali sono le eredità delle teorie del passato? Quali fatti sono stati più importanti nel formare le nostre idee? Quali voci sono state trascurate? Possiamo sapere e come possiamo saperlo? Dove sta andando la teoria? Chi siamo? Il mondo reale è costituito dalle risposte dominanti a queste e ad altre domande teoriche". Così scrivono Steve Smith, Ken Booth e Marysia Zalewski nell'introduzione a "Teoria internazionale: positivismo e oltre". Questa affermazione lega in modo intricato lo studio della teoria delle relazioni internazionali al tessuto stesso della nostra realtà globale. Sostiene che la nostra comprensione e le nostre interazioni con il mondo non sono indipendenti dai quadri teorici; piuttosto, sono profondamente intrecciate. È attraverso il prisma di queste teorie che interpretiamo eventi come i conflitti in Bosnia e Ruanda o contempliamo la forma della politica mondiale del XXI secolo.

Gli autori sottolineano che i nostri pensieri su questi eventi e le possibili azioni che intraprendiamo sono plasmati dal nostro punto di vista teorico. Sostengono che la teoria non è astratta, ma piuttosto uno strumento pratico che informa e influenza la nostra comprensione e le nostre azioni. Ci costringono a riconoscere l'importanza della teoria nel mondo reale e a riconoscere che le teorie non sono solo costrutti accademici, ma sono essenziali per plasmare la nostra percezione degli eventi globali e le nostre risposte ad essi. Gli autori ci sfidano anche a considerare l'eredità storica delle teorie IR. Esaminando il passato, possiamo capire come le idee precedenti abbiano influenzato le norme e le politiche internazionali attuali. Ci esortano a guardare con occhio critico a quali fatti hanno storicamente plasmato le idee dominanti e a chiedersi quali voci sono state emarginate in questo processo. L'invito all'inclusività e all'indagine critica è fondamentale nelle loro argomentazioni, che sostengono un approccio più completo che incorpori voci e prospettive diverse, soprattutto quelle che sono state storicamente trascurate.

Approfondendo la natura stessa della teoria, Smith, Booth e Zalewski ci chiedono di confrontarci con i fondamenti della conoscenza e dell'essere nelle relazioni internazionali. Essi lanciano una sfida ai presupposti epistemologici e ontologici standard, costringendoci a confrontarci con le questioni della verità, della realtà e della costruzione della conoscenza nel campo delle relazioni internazionali. Guardando al futuro, mettono in discussione la direzione della teoria delle relazioni internazionali e riflettono sull'identità e sullo scopo di coloro che sono coinvolti nel campo. Incoraggiano una posizione lungimirante e riflessiva sul ruolo dei teorici e dei professionisti nel plasmare il discorso internazionale. Infine, propongono che il "mondo reale" sia costituito dalle risposte alle domande teoriche. Ciò suggerisce che la teoria non è semplicemente descrittiva o esplicativa, ma costitutiva: è coinvolta nella creazione del mondo che descrive. In questo senso, teoria e pratica non sono separate, ma intrecciate, con la teoria che partecipa attivamente alla costruzione della realtà internazionale.

In sostanza, questa citazione di Smith, Booth e Zalewski non è solo una profonda dichiarazione di apertura per un corso di teoria delle relazioni internazionali, ma anche una dichiarazione esaustiva del ruolo imperativo che la teoria svolge nella comprensione e nella pratica delle relazioni internazionali. È un invito a intraprendere un viaggio che esplora l'intricata relazione tra teoria e pratica e pone le basi per un'esplorazione esaustiva del complesso mondo della politica internazionale.

Comprendere la teoria delle relazioni internazionali

Distinzione tra relazioni internazionali (maiuscole) e relazioni internazionali (minuscole)

Nel contesto della citazione dell'introduzione di Steve Smith, Ken Booth e Marysia Zalewski a "Teoria internazionale: positivismo e oltre", la differenziazione tra "relazioni internazionali" con lettere maiuscole e "relazioni internazionali" con lettere minuscole è significativa. Le "relazioni internazionali" (maiuscole) si riferiscono alla disciplina accademica che studia le relazioni tra i Paesi, compresi i ruoli degli Stati, delle organizzazioni internazionali, delle organizzazioni non governative e delle imprese multinazionali. Si tratta di un campo di studi all'interno delle scienze politiche o di una disciplina correlata che comprende una varietà di quadri teorici utilizzati per analizzare e comprendere i comportamenti e le interazioni su scala globale. D'altra parte, le "relazioni internazionali" (con la lettera minuscola) si riferiscono alle interazioni politiche, economiche, sociali e culturali che si verificano tra Stati sovrani e altri attori sulla scena internazionale. Sono questi gli eventi e le pratiche del mondo reale che il campo delle relazioni internazionali cerca di comprendere e spiegare.

La distinzione è fatta per differenziare tra lo studio e l'analisi teorica delle interazioni globali (Relazioni internazionali) e gli eventi e le azioni pratiche che hanno luogo tra gli attori sulla scena mondiale (relazioni internazionali). Si tratta di una separazione importante perché permette di fare chiarezza quando si discute dell'impatto della teoria sull'interpretazione e la comprensione degli eventi del mondo reale e viceversa. La comprensione degli aspetti astratti e concreti di questi termini è fondamentale per un impegno profondo con la materia, soprattutto nel contesto di un corso volto a decodificare la teoria delle relazioni internazionali e il suo impatto.

Distinguere l'"attualità" dalla "storia contemporanea"

Comprendere le sfumature tra "attualità" e "storia contemporanea" è fondamentale per comprendere la complessità del nostro mondo. L'attualità è costituita dagli eventi e dalle questioni immediate che catturano la nostra attenzione quotidianamente. Sono ciò che vediamo sui canali di informazione, leggiamo sui giornali e discutiamo con i colleghi. Sono gli avvenimenti che analisti politici come Fareed Zakaria commentano, fornendo una visione delle loro implicazioni immediate e dei loro potenziali esiti. Per esempio, le discussioni in corso sui negoziati sul cambiamento climatico, le ultime decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o l'impatto economico immediato di una decisione dell'OPEC sono tutti esempi di attualità. Richiedono una vigilanza e un adattamento costanti, in quanto modellano le decisioni politiche e le opinioni pubbliche del momento. Al contrario, la storia contemporanea guarda a questi stessi eventi con il vantaggio di una certa distanza temporale. Come avrebbe detto lo storico Eric Hobsbawm, si tratta di collocare gli eventi recenti all'interno di una narrazione più ampia per comprenderne il significato storico e gli effetti a lungo termine. Un evento come la caduta del Muro di Berlino nel 1989 ne è un esempio lampante. Durante il suo verificarsi, era un fatto di attualità; ora è un argomento di storia contemporanea, che offre spunti di riflessione sulla fine della Guerra Fredda e sulla riconfigurazione della politica globale. La storia contemporanea cerca di analizzare e interpretare le cause e gli effetti di tali eventi, avvalendosi del senno di poi e di una più ampia gamma di fonti che si rendono disponibili nel tempo. È qui che il discorso accademico gioca un ruolo fondamentale, dato che studiosi come Timothy Garton Ash hanno fornito resoconti esaustivi dell'epoca, arricchendo la nostra comprensione del contesto storico del periodo.

Mentre l'attualità si basa spesso su resoconti in tempo reale e analisi immediate, la storia contemporanea utilizza metodologie per valutare e contestualizzare criticamente gli eventi recenti. Per esempio, l'analisi in corso della Primavera araba da parte di accademici come il direttore del POMEPS Marc Lynch ha trasformato una serie di eventi attuali in un ricco campo di indagine storica, dimostrando l'impatto di questi eventi sul panorama politico del Medio Oriente. Entrambi i campi sono dinamici; con il passare del tempo, la linea di demarcazione tra di essi si confonde. L'attualità di oggi diventa la storia contemporanea di domani. L'analisi dell'attualità, informata dal contesto fornito dalla storia contemporanea, consente ai responsabili politici, agli studiosi e al pubblico in generale di dare un senso a un mondo in rapida evoluzione. Quando assistiamo allo svolgersi degli eventi, come lo sviluppo della pandemia COVID-19, li affrontiamo come fatti di attualità. Tuttavia, gli storici del futuro studieranno questi stessi eventi come parte della storia contemporanea, esaminandone le cause, l'efficacia della risposta globale e l'impatto a lungo termine sulla società. L'interazione tra attualità e storia contemporanea è essenziale per dare forma alla nostra comprensione collettiva della nostra posizione nel flusso del tempo e di come potremmo influenzare il corso degli eventi futuri. Sono due facce della stessa medaglia, che offrono lenti diverse attraverso le quali possiamo vedere e interpretare il mondo che ci circonda.

Esplorare l'ambito di indagine delle IR

Le relazioni internazionali (IR) come campo di indagine gettano una rete ampia e in continua espansione sulla miriade di modi in cui le entità politiche, economiche, sociali e culturali del mondo interagiscono tra loro. L'IR si occupa dell'esercizio del potere, sia attraverso la forza coercitiva della forza militare, come esaminato da scienziati politici come Joseph Nye, sia attraverso il potere morbido dell'influenza culturale e della diplomazia. Il campo cerca di comprendere le complessità del diritto internazionale, il funzionamento interno della diplomazia e il ruolo delle organizzazioni internazionali nel promuovere la cooperazione o la contesa tra gli Stati.

La dimensione economica dell'IR non può essere sopravvalutata. Il campo esamina i flussi commerciali, le complessità della finanza internazionale e i processi di globalizzazione che intrecciano le economie in una complessa interdipendenza, concetto esplorato da Robert Keohane e Joseph Nye. L'accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA) e il suo successore, l'accordo Stati Uniti-Messico-Canada (USMCA), sono tele reali su cui si giocano le teorie della cooperazione e del conflitto economico. Per quanto riguarda la società e la cultura, l'IR esplora il modo in cui le idee e i valori attraversano i confini, plasmando e rimodellando le nazioni. Lo scambio culturale che accompagna il commercio globale, l'immigrazione e le tecnologie di comunicazione rientra in questo ambito. Studiosi come Alexander Wendt hanno sostenuto che le identità e gli interessi stessi degli Stati sono costruiti attraverso queste interazioni sociali e culturali, che a loro volta influenzano le politiche estere e gli impegni internazionali.

Nel campo della sicurezza, l'IR affronta i problemi tradizionali della guerra e della pace, ma si avventura anche in nuovi ambiti come la sicurezza informatica, riflettendo su come le nazioni possano proteggersi nell'era digitale. La proliferazione delle armi nucleari, le teorie strategiche sulla deterrenza e la complessa politica dei negoziati per il disarmo sono argomenti trattati qui, con l'aiuto di Barry Buzan, esperto di sicurezza. L'ambiente è un'altra area critica di indagine nell'ambito delle IR, soprattutto perché questioni come il cambiamento climatico e la scarsità di risorse premono sulla coscienza globale. Accordi internazionali come l'Accordo sul clima di Parigi rappresentano tentativi pratici di tradurre le preoccupazioni ambientali in politiche internazionali, un'area in cui studiosi come Jessica Green hanno fornito spunti analitici.

Anche le considerazioni etiche occupano un posto di rilievo nelle IR. Il campo è alle prese con questioni di intervento umanitario, diritti umani e giustizia globale. I dibattiti sull'intervento della NATO in Kosovo nel 1999 sono un esempio concreto dei dilemmi etici che gli Stati devono affrontare nel sistema internazionale, dilemmi che teorici come John Vincent hanno cercato di analizzare. Infine, il ruolo della tecnologia nel rimodellare le relazioni internazionali è un'area di crescente interesse. Dall'influenza di Internet sulla Primavera araba all'uso dei droni in guerra, la tecnologia ridisegna continuamente la mappa delle interazioni e delle strategie internazionali.

In sintesi, l'IR è un campo ampio che cerca di comprendere e spiegare il complesso arazzo delle interazioni globali. Esamina gli eventi storici, l'attualità e gli scenari futuri, cercando di applicare le intuizioni degli studiosi ai problemi del mondo reale. Dalle aule accademiche, dove gli studiosi teorizzano la natura della politica internazionale, ai corridoi del potere, dove queste teorie vengono testate e applicate, l'IR rimane un'area di indagine essenziale per chiunque voglia comprendere o influenzare l'ordine globale.

L'esistenza e la necessità della teoria delle IR

Caso di studio: Obama e i missili in Europa

La teoria IR serve come impalcatura intellettuale per comprendere il complicato e interconnesso mondo degli affari internazionali. Esiste perché il regno delle interazioni globali è vasto e ricco di sfumature e, senza un approccio strutturato, il comportamento degli Stati e degli attori non statali può sembrare imprevedibile e caotico. Le teorie delle relazioni internazionali distillano queste complessità in modelli e paradigmi più comprensibili, permettendoci di navigare in un mondo pieno di correnti politiche, economiche, sociali e culturali diverse. La necessità della teoria delle relazioni internazionali diventa evidente quando si considerano le sue varie applicazioni. Essa fornisce a studiosi e professionisti quadri analitici per interpretare le azioni dei Paesi e delle organizzazioni internazionali, facendo luce sulle motivazioni sottostanti e sui probabili risultati di tali azioni. Ad esempio, quando Kenneth Waltz, figura di spicco della teoria neorealista, ha discusso l'equilibrio di potere, ha fornito una lente attraverso la quale vedere il comportamento degli Stati in termini di dinamiche di potere e di problemi di sicurezza. Questa prospettiva è preziosa per i politici che spesso devono prendere decisioni con importanti ripercussioni internazionali. Inoltre, la teoria delle IR è indispensabile per orientare le politiche. Prevedendo il comportamento degli Stati, le teorie possono suggerire le risposte politiche più efficaci. Possono anche offrire indicazioni sulle tendenze future, come l'ascesa delle potenze emergenti o l'impatto dei cambiamenti economici globali, consentendo alle nazioni di prepararsi e adeguare le proprie strategie di conseguenza. I fondamenti teorici delle relazioni internazionali non sono solo riflessioni accademiche, ma hanno implicazioni nel mondo reale, informando e talvolta mettendo in guardia da determinati corsi d'azione.

Per illustrare l'utilità pratica della teoria delle relazioni internazionali, si può guardare al caso del dispiegamento dei missili in Europa durante la presidenza Obama. Di fronte alla decisione di continuare o meno con il sistema di difesa missilistica previsto in Europa orientale, le deliberazioni dell'amministrazione sono state influenzate da una confluenza di intuizioni teoriche. Un realista potrebbe sostenere il dispiegamento come una misura necessaria per mantenere l'equilibrio di potere e dissuadere potenziali avversari. Un liberale potrebbe guardare alla situazione in modo diverso, suggerendo che il rafforzamento delle istituzioni e degli accordi internazionali potrebbe fornire un approccio alla sicurezza più efficace e meno conflittuale. Le considerazioni di tipo costruttivista si concentrerebbero sul potere delle percezioni e delle narrazioni, esaminando come lo schieramento potrebbe influenzare l'identità degli Stati Uniti come leader globale e le sue relazioni con altri Paesi, in particolare con la Russia. La decisione di Obama di rivedere la strategia di difesa missilistica esemplifica l'influenza della teoria IR sulla politica internazionale reale. La politica della sua amministrazione è stata una risposta sfumata che riflette una comprensione della natura multiforme delle relazioni internazionali, informata da quadri teorici. Ha dimostrato di saper trovare un equilibrio tra gli imperativi della sicurezza nazionale e il desiderio di promuovere migliori relazioni con la Russia e altri attori internazionali.

Gli eventi nelle relazioni internazionali presentano spesso una moltitudine di sfide, una delle più significative è la difficoltà di discernere le vere motivazioni e le intenzioni dietro le azioni dei politici e degli altri attori politici. Questa sfida deriva dalla natura complessa della comunicazione politica e dagli interessi strategici che le nazioni e gli individui devono gestire.

Gli attori politici operano spesso in un ambito in cui le loro dichiarazioni pubbliche e le ragioni che offrono per le loro azioni possono non essere del tutto in linea con le loro reali intenzioni o motivazioni di fondo. Questa discrepanza può essere dovuta a una serie di fattori, tra cui la necessità di mantenere una certa immagine pubblica, il desiderio di fare appello a diversi pubblici nazionali o internazionali, o il perseguimento di obiettivi strategici che potrebbero non essere graditi se espressi apertamente. Si pensi, ad esempio, alla retorica diplomatica che spesso circonda gli interventi militari. Uno Stato potrebbe giustificare pubblicamente le proprie azioni con motivazioni umanitarie, adducendo la responsabilità di proteggere i civili da un regime oppressivo. Tuttavia, un'analisi più approfondita potrebbe rivelare interessi strategici, come acquisire influenza in una regione geopoliticamente significativa o assicurarsi l'accesso alle risorse. Studiosi come Mearsheimer, che sostengono la teoria realista delle relazioni internazionali, suggeriscono che le vere forze trainanti delle azioni statali sono spesso gli interessi di potere e di sicurezza, anche quando si ammantano del linguaggio dell'umanitarismo o del diritto internazionale.

Sfide negli eventi delle relazioni internazionali

Un altro aspetto che contribuisce alla difficoltà di credere ai politici e di comprendere le "vere" ragioni dell'azione sociale è la pratica della segretezza e della riservatezza negli affari internazionali. Gli Stati spesso classificano le informazioni sulle loro decisioni di politica estera, sui negoziati e sulle valutazioni di intelligence, adducendo problemi di sicurezza nazionale. Questa pratica può portare a un divario significativo tra ciò che è noto al pubblico e i fattori reali che influenzano il processo decisionale. La sfida di arrivare alle "vere" ragioni dell'azione sociale nelle relazioni internazionali è ulteriormente complicata dalla molteplicità degli attori e degli interessi coinvolti. Oltre agli Stati, ci sono imprese multinazionali, organizzazioni internazionali, organizzazioni non governative e altri attori non statali, ognuno con le proprie agende e prospettive. Si crea così una fitta rete di interazioni in cui le vere motivazioni possono essere oscurate da strati di complessità. Questa complessità richiede un approccio critico allo studio delle relazioni internazionali, in cui studiosi e analisti si sforzano di guardare oltre le spiegazioni superficiali. Devono considerare una serie di fattori potenziali, dagli interessi economici alle ideologie politiche, dai pregiudizi culturali alle inimicizie storiche, per sviluppare una comprensione più completa degli eventi internazionali. Il campo della teoria delle relazioni internazionali, quindi, non serve solo a interpretare e spiegare, ma anche a mettere in discussione e scrutare le narrazioni presentate dagli attori politici sulla scena globale.

Nel campo delle relazioni internazionali, è una sfida profonda comprendere le motivazioni e le ragioni che stanno dietro alle azioni degli altri, e questa difficoltà si aggrava quando consideriamo la complessità delle nostre motivazioni. Quando gli attori politici prendono decisioni o intraprendono azioni sul palcoscenico internazionale, spesso si trovano a navigare in un labirinto di interessi contrastanti, sia personali che nazionali, palesi e occulti. L'intricato processo decisionale nelle relazioni internazionali implica la ponderazione di vari fattori: interesse nazionale, ideologia politica, guadagni economici, convinzioni personali e considerazioni etiche. Questi fattori possono allinearsi o entrare in conflitto l'uno con l'altro, creando un arazzo di motivazioni difficile da dipanare. Inoltre, gli attori politici devono fare i conti con l'opinione pubblica, l'influenza di consiglieri ed esperti, le pressioni di alleati e avversari e l'eredità delle relazioni storiche.

La sfida di comprendere queste motivazioni non è esclusiva degli osservatori; anche gli stessi attori possono avere difficoltà ad articolare l'intera gamma delle loro ragioni a causa delle influenze inconsce o della natura riservata di alcune informazioni. Inoltre, le ragioni e le motivazioni presentate al pubblico sono spesso narrazioni semplificate che servono a una particolare agenda politica o strategia diplomatica, mascherando la vera complessità del processo decisionale. Ad esempio, un leader di uno Stato potrebbe giustificare un intervento militare con la tutela della sicurezza nazionale, ma la decisione potrebbe anche essere influenzata da interessi economici nella regione, dal desiderio personale del leader di apparire forte e decisivo o dai vantaggi strategici derivanti dal cambiamento delle dinamiche di potere regionali. L'interazione tra questi fattori rende difficile individuare una motivazione univoca.

L'osservazione che è difficile capire le nostre motivazioni, per non parlare di quelle degli altri, è particolarmente pertinente nelle relazioni internazionali. È qui che la teoria delle relazioni internazionali diventa preziosa, offrendo modelli e quadri per analizzare azioni e comportamenti in modo sistematico. Il realismo, il liberalismo, il costruttivismo e le altre teorie delle relazioni internazionali forniscono metodologie diverse per spacchettare l'intricata rete di motivazioni che guidano la politica internazionale. La comprensione delle motivazioni nelle relazioni internazionali, quindi, richiede un approccio sfaccettato che consideri la possibile gamma di influenze sugli attori politici. Si tratta di un compito che richiede non solo un'acuta capacità analitica, ma anche un apprezzamento per la profondità e la complessità del comportamento umano e per la natura opaca del processo decisionale politico.

Le relazioni internazionali comprendono sia un mondo sociale che materiale, intrecciando risorse tangibili e dinamiche di potere con credenze intangibili, idee e costrutti sociali. Il mondo materiale delle relazioni internazionali è radicato nella realtà fisica in cui operano gli Stati e gli attori. Questo comprende i territori geografici, le risorse naturali, le risorse militari e i sistemi economici, elementi che sono spesso al centro delle teorie realiste e liberali delle relazioni internazionali. Per i realisti, il mondo materiale è il palcoscenico su cui si esercita il potere e si cerca la sicurezza. Gli Stati, nella loro ricerca di potere e sopravvivenza, misurano le loro capacità in termini materiali, come la ricchezza economica e la forza militare. La distribuzione di queste capacità materiali informa l'equilibrio di potere, che è una preoccupazione centrale della politica internazionale.

Il mondo sociale delle relazioni internazionali, invece, è composto da idee, identità, norme e valori che definiscono e modellano le interazioni tra gli attori. I teorici del costruttivismo, come Alexander Wendt, sostengono che il mondo sociale è tanto reale quanto quello materiale, affermando che i significati e le comprensioni che gli attori attribuiscono alle risorse materiali costituiscono in realtà il loro potere e la loro influenza. Ad esempio, il valore della moneta, la legittimità dei confini politici e l'autorità delle organizzazioni internazionali sono tutti elementi socialmente costruiti e mantenuti attraverso le credenze e le pratiche collettive. Nel mondo sociale, le forme di potere non materiali, come la cultura, l'ideologia e la legittimità, svolgono ruoli cruciali. La diffusione della democrazia, l'influenza del diritto internazionale e le norme sui diritti umani fanno parte del tessuto sociale delle relazioni internazionali. Essi modellano le aspettative, i comportamenti e i risultati nell'arena internazionale. Un esempio dell'interazione tra mondo materiale e sociale può essere visto nella risposta globale al cambiamento climatico.

Dal punto di vista materiale, il cambiamento climatico è una sfida che comporta cambiamenti fisici dell'ambiente e richiede risposte tangibili come la riduzione delle emissioni e la transizione verso fonti di energia rinnovabili. Dal punto di vista sociale, invece, il problema è inserito in una complessa rete di convinzioni, interessi e norme che danno forma a politiche e negoziati, come l'Accordo sul clima di Parigi. Il successo delle politiche ambientali internazionali non dipende solo dalle capacità materiali, ma anche dalla volontà sociale degli Stati e degli attori non statali di cooperare e rispettare gli impegni. Le relazioni internazionali possono quindi essere viste attraverso la lente del materiale e del sociale. Gli aspetti materiali forniscono le basi concrete su cui gli Stati e gli attori costruiscono il loro potere e interagiscono, mentre gli aspetti sociali forniscono il contesto, il significato e le norme che guidano e danno significato a queste interazioni. Entrambe le dimensioni sono parte integrante di una comprensione completa del funzionamento e dell'evoluzione delle relazioni internazionali.

Il legame tra teorie empiriche e normative nel contesto delle relazioni internazionali è inevitabile e intrinseco. Le teorie empiriche mirano a descrivere, spiegare e prevedere il mondo così com'è, sulla base di fenomeni osservabili e misurabili. Si occupano di fatti, modelli e relazioni causali. Le teorie normative, invece, si occupano del mondo come dovrebbe essere. Si concentrano sui giudizi etici, sui valori e sui principi che dovrebbero guidare il comportamento e le politiche. Questo legame è inevitabile perché la nostra comprensione del mondo (empirica) influenza e modella invariabilmente i nostri giudizi su come il mondo dovrebbe essere (normativa) e viceversa. Le teorie empiriche possono informare le teorie normative fornendo un controllo della realtà su ciò che è praticamente realizzabile, assicurando che i principi etici siano fondati nel regno del possibile. Al contrario, le teorie normative possono sfidare e ispirare la ricerca empirica mettendo in discussione le condizioni esistenti e proponendo nuove visioni per il futuro che la ricerca empirica può poi indagare e valutare. Per esempio, l'osservazione empirica dell'equilibrio di potere tra gli Stati può portare a una teoria normativa sull'importanza di mantenere tale equilibrio per prevenire la guerra. Allo stesso modo, il principio normativo dei diritti umani può portare a una ricerca empirica sulle condizioni in cui è più probabile che i diritti umani vengano rispettati o violati.

Lo studio empirico del funzionamento delle istituzioni internazionali e dei loro effetti sul comportamento degli Stati può informare le teorie normative sulla governance globale e sulla progettazione di istituzioni migliori. Viceversa, le idee normative sulla giustizia possono informare gli studi empirici sulla distribuzione della ricchezza e del potere nel sistema internazionale. Un esempio concreto di questa interazione può essere visto nei dibattiti sugli interventi umanitari. Le teorie empiriche potrebbero analizzare gli interventi passati per determinare i modelli di successo e di fallimento, quali Stati sono più propensi a intervenire e in quali circostanze. Le teorie normative prenderebbero poi in considerazione questi risultati e applicherebbero un ragionamento etico per argomentare a favore o contro gli interventi futuri, tenendo conto delle prove empiriche di ciò che è probabile che porti a risultati positivi. La ricerca empirica può stabilire i parametri per il dibattito normativo chiarendo ciò che è possibile, mentre la teoria normativa può ampliare la portata della ricerca empirica mettendo in discussione i paradigmi esistenti e suggerendo nuove aree di studio. Le due cose sono intrecciate in un dialogo continuo, ognuna delle quali spinge l'altra ad avanzare. Nello studio e nella pratica delle relazioni internazionali, riconoscere e abbracciare il legame tra teorie empiriche e normative è essenziale per una comprensione olistica del campo.

Lo scopo e l'impatto delle teorie dell'IR

Esaminare i problemi concettuali alla base degli eventi del mondo reale

Stato e attori non statali nelle IR

La teoria delle IR approfondisce le questioni concettuali fondamentali che informano e spesso guidano gli eventi del mondo reale che osserviamo. Al centro di questi problemi concettuali c'è il ruolo dello Stato nelle relazioni internazionali e il modo in cui interagisce con una serie di attori non statali. Lo Stato è stato tradizionalmente visto come l'attore principale nella teoria delle relazioni internazionali, soprattutto dal punto di vista del realismo classico, dove lo Stato è considerato un attore razionale e unitario alla ricerca di potere e sicurezza in un sistema internazionale anarchico. Realisti come Hans Morgenthau e Kenneth Waltz hanno sottolineato la sovranità dello Stato e il suo perseguimento degli interessi nazionali come elementi centrali per la comprensione delle dinamiche internazionali. Tuttavia, il ruolo dello Stato e le sue interazioni con gli attori non statali sono diventati sempre più complessi e significativi. Gli attori non statali, tra cui le organizzazioni internazionali, le organizzazioni non governative (ONG), le multinazionali (MNC) e persino le reti terroristiche, sono emersi come attori influenti sulla scena internazionale. Queste entità possono sostenere, sfidare o scavalcare il potere tradizionale degli Stati e operano all'interno e al di là dei confini nazionali in modi che le tradizionali teorie stato-centriche non avevano pienamente previsto.

Le teorie liberali, ad esempio, sostengono che la crescente interconnessione degli Stati e l'ascesa degli attori non statali contribuiscono a un ordine internazionale più cooperativo, facilitato da istituzioni e interessi reciproci. Le teorie dell'interdipendenza complessa, proposte da Robert Keohane e Joseph Nye, suggeriscono che gli Stati non sono gli unici attori significativi e che la forza militare non è l'unica o addirittura la più efficace forma di potere in tutte le circostanze. Teorici costruttivisti come Alexander Wendt hanno ulteriormente ampliato la concettualizzazione del ruolo dello Stato, sottolineando l'importanza di idee, identità e norme. Essi sostengono che il comportamento dello Stato non è solo il risultato del potere materiale, ma è anche plasmato da strutture sociali e significati collettivi. Per i costruttivisti, la comprensione del ruolo dello Stato richiede l'esame del modo in cui le identità statali sono costruite attraverso le interazioni con altri Stati e attori non statali.

L'aumento di questioni transnazionali come il cambiamento climatico, il terrorismo e le pandemie globali illustra anche la necessità di considerare gli attori non statali. Questi problemi spesso richiedono la cooperazione tra Stati e attori non statali, come si vede nella risposta globale al cambiamento climatico, dove coalizioni internazionali di Stati, ONG e imprese lavorano insieme per affrontare una sfida comune. In questo contesto più ampio, gli eventi attuali non possono essere compresi appieno senza riconoscere i problemi concettuali più ampi che la teoria IR cerca di chiarire. Il ruolo dello Stato rimane centrale, ma ora è visto come parte di un più ampio arazzo di attori e influenze che devono essere compresi nella loro interrelazione per dare un senso alle relazioni internazionali contemporanee.

Ordine internazionale e anarchia

Il problema dell'ordine internazionale senza un'autorità suprema rappresenta una sfida concettuale centrale nella teoria delle relazioni internazionali e riflette una condizione spesso descritta come "anarchia internazionale". In assenza di un sovrano globale o di un'autorità giuridica sovraordinata con il potere di far rispettare le regole e risolvere le controversie in modo autorevole, la teoria delle relazioni internazionali si interroga su come l'ordine venga stabilito e mantenuto tra gli Stati sovrani.

I realisti classici, come Hans Morgenthau, e i neorealisti come Kenneth Waltz, hanno sostenuto che in questo sistema anarchico gli Stati si preoccupano principalmente della loro sopravvivenza e sicurezza. Essi sostengono che, in assenza di un potere superiore che garantisca la sicurezza, gli Stati devono affidarsi all'auto-aiuto, portando a un dilemma di sicurezza in cui le azioni intraprese dagli Stati per garantire la propria sicurezza - come l'aumento delle capacità militari - possono inavvertitamente minacciare altri Stati e aumentare l'instabilità generale. Gli istituzionalisti neoliberali, come Robert Keohane, sfidano questa visione un po' pessimistica sostenendo che, anche in un sistema internazionale anarchico, gli Stati possono creare ordine attraverso la cooperazione e la formazione di istituzioni e regimi internazionali. Queste strutture facilitano la creazione di norme e regole che guidano il comportamento degli Stati, riducono l'incertezza e gestiscono la cooperazione su questioni di interesse comune. L'esistenza delle Nazioni Unite e di vari altri organismi internazionali sostiene l'idea che un certo grado di ordine internazionale sia raggiungibile anche in assenza di un governo mondiale. I teorici del costruttivismo, tra cui Alexander Wendt, offrono una prospettiva diversa, suggerendo che il significato di anarchia non è fisso ma costruito socialmente. Essi sostengono che la natura dell'ordine internazionale, o del disordine, è determinata dalle credenze, dalle culture e dalle identità condivise dagli Stati. Se gli Stati vedono il sistema internazionale come un regno di conflitto e competizione, agiranno di conseguenza. Se invece lo vedono come uno spazio di cooperazione, questo può portare a relazioni internazionali più pacifiche e stabili.

L'idea dell'anarchia internazionale solleva anche questioni sul ruolo del diritto e delle norme internazionali nel creare una parvenza di ordine. Sebbene il diritto internazionale non abbia l'applicazione coercitiva che si trova all'interno degli Stati sovrani, spesso modella il comportamento degli Stati attraverso una combinazione di obblighi legali, autorità morale e interessi reciproci. Gli Stati aderiscono al diritto internazionale non solo perché è nel loro interesse personale farlo, ma anche perché contribuisce alla prevedibilità e alla stabilità delle relazioni internazionali. Gli eventi del mondo reale mettono continuamente alla prova le teorie che cercano di spiegare come l'ordine sia - o non sia - raggiunto nel sistema internazionale. I conflitti, le alleanze, gli accordi commerciali, i trattati internazionali e l'evoluzione delle norme internazionali riflettono la lotta continua per stabilire un ordine stabile in assenza di un'autorità globale. Il problema dell'anarchia internazionale rimane una preoccupazione fondamentale della teoria IR, che cerca di comprendere le dinamiche che regolano il comportamento degli Stati in un sistema in cui non esiste un potere superiore che faccia rispettare le regole e risolva le controversie.

Dinamiche di potere e sicurezza

Il rapporto tra potere e sicurezza è uno degli argomenti più esaminati nella teoria delle relazioni internazionali (IR). Al centro di questa relazione c'è l'idea che il potere, sia esso in termini di potenza militare, capacità economiche o influenza diplomatica, sia essenziale per la sicurezza di uno Stato. Tuttavia, l'interazione tra potere e sicurezza è sfaccettata e complessa.

I teorici realisti, come Hans Morgenthau e Kenneth Waltz, sottolineano che il potere è la moneta principale della politica internazionale. Secondo loro, gli Stati cercano il potere per assicurarsi la sopravvivenza in un sistema internazionale anarchico, dove nessuna autorità centrale può proteggerli da potenziali minacce. Questa ricerca di potere porta spesso a una corsa agli armamenti o alla costruzione di alleanze, in quanto gli Stati cercano di bilanciare il potere degli altri, contribuendo così al dilemma della sicurezza - il paradosso per cui le misure adottate da uno Stato per aumentare la propria sicurezza possono far sentire gli altri meno sicuri, spingendoli a rispondere a loro volta, portando potenzialmente a un'escalation delle tensioni. I neorealisti, partendo da queste basi, hanno sviluppato il concetto di equilibrio di potenza come meccanismo che contribuisce alla sicurezza. Essi sostengono che un equilibrio di potere tra gli Stati può portare alla stabilità e alla pace, poiché nessuno Stato è in grado di dominare completamente gli altri. Questo equilibrio può verificarsi naturalmente, oppure può derivare da azioni deliberate da parte degli Stati attraverso politiche come il contenimento e la deterrenza.

I teorici liberali contestano l'associazione realista del potere con le capacità militari. Propongono che la sicurezza possa essere raggiunta attraverso l'interdipendenza economica e le istituzioni internazionali, che possono mitigare la natura anarchica del sistema internazionale incoraggiando la cooperazione e creando relazioni prevedibili e stabili tra gli Stati. In questa prospettiva, il potere non è solo coercizione, ma anche capacità di plasmare l'agenda internazionale e creare norme che definiscano le azioni legittime.

I costruttivisti offrono una visione più sfumata, suggerendo che il potere e la sicurezza non sono solo materiali ma anche costrutti sociali. Le teorie sostenute da studiosi come Alexander Wendt propongono che il modo in cui gli Stati si vedono reciprocamente, le loro intenzioni e le loro identità possono influenzare il loro senso di sicurezza. Ad esempio, se gli Stati si vedono come partner piuttosto che come avversari, possono raggiungere la sicurezza senza necessariamente aumentare il loro potere.

La teoria IR femminista apporta una lente critica alla discussione sul potere e sulla sicurezza, mettendo in discussione la priorità della sicurezza di chi e il modo in cui il potere è gestito in base al genere nella politica internazionale. Teorici femministi come Cynthia Enloe hanno evidenziato che le nozioni di sicurezza centrate sullo Stato spesso trascurano la sicurezza degli individui, in particolare delle donne e di altri gruppi emarginati.

In pratica, il rapporto tra potere e sicurezza può essere osservato in diverse dinamiche internazionali. La corsa agli armamenti della Guerra Fredda, la formazione della NATO, i partenariati strategici e le rivalità nella regione Asia-Pacifico e lo sviluppo dell'Unione Europea sono tutti esempi di come potere e sicurezza siano intrecciati. Potere e sicurezza sono quindi interconnessi nell'arena internazionale, con il potere percepito come un mezzo per raggiungere la sicurezza. Tuttavia, la natura di questa relazione è complessa e varia a seconda delle diverse prospettive teoriche, riflettendo uno spettro di convinzioni su come gli Stati possano garantire al meglio la loro sopravvivenza e la loro prosperità in un mondo in cui le minacce sono una preoccupazione costante.

Cause dei conflitti: Guerra, guerra civile, terrorismo

Le cause dei conflitti, comprese le guerre, le guerre civili e il terrorismo, sono diverse e sfaccettate e comprendono una serie di fattori politici, economici, sociali e psicologici. La teoria dell'IR fornisce diverse lenti attraverso le quali comprendere queste cause.

Le teorie realiste dell'IR, che affondano le loro radici nelle opere di studiosi come Tucidide e successivamente Hans Morgenthau, spesso citano la natura anarchica del sistema internazionale come causa primaria del conflitto. Secondo questa visione, la mancanza di un'autorità centrale porta gli Stati ad agire in modo auto-interessato per garantire la propria sopravvivenza, il che può portare a lotte di potere e guerre. I realisti sostengono che i conflitti nascono quando gli Stati cercano di massimizzare il proprio potere o quando una potenza in ascesa minaccia la posizione di una potenza consolidata, portando potenzialmente a una guerra egemonica.

Le teorie liberali, influenzate dalle idee di Immanuel Kant e altri, indicano come cause dei conflitti la mancanza di una governance democratica, l'interdipendenza economica e le istituzioni internazionali. I liberali sostengono che le democrazie hanno meno probabilità di entrare in guerra tra loro (teoria della pace democratica), che gli Stati con forti legami economici troveranno la guerra poco attraente a causa dei costi elevati (commercialismo liberale) e che organizzazioni internazionali solide possono fornire forum per la risoluzione pacifica delle controversie.

Le teorie marxiste e critiche guardano al conflitto attraverso il prisma della disuguaglianza e della lotta di classe. Suggeriscono che le guerre sono spesso il risultato dell'espansione capitalistica e della competizione per il controllo delle risorse e dei mercati. I teorici marxisti come Vladimir Lenin ritenevano che l'imperialismo, guidato dalla necessità degli Stati capitalisti di trovare nuovi mercati e risorse, fosse una causa fondamentale della guerra.

I teorici costruttivisti, come Alexander Wendt, sottolineano il ruolo dei costrutti sociali, delle identità e delle norme nel causare i conflitti. Per loro, le guerre non sono inevitabili, ma sono il risultato di come gli Stati si percepiscono reciprocamente e delle loro intenzioni. Se gli Stati costruiscono un'identità di inimicizia nei confronti degli altri, il conflitto è più probabile; se invece costruiscono un'identità di coesistenza pacifica, la guerra può essere evitata.

Quando si parla di guerre civili, studiosi come Ted Gurr hanno esaminato il ruolo della deprivazione relativa - la percezione di disuguaglianza e ingiustizia all'interno di uno Stato - che può portare a conflitti interni. Le rimostranze legate all'identità, all'etnia e all'accesso al potere e alle risorse possono alimentare le guerre civili, soprattutto in assenza di istituzioni forti e di una governance inclusiva.

Il terrorismo è un altro fenomeno complesso, con cause diverse, tra cui motivazioni ideologiche, rimostranze politiche e fattori socio-economici. Studiosi come Martha Crenshaw hanno sostenuto che il terrorismo è spesso una strategia scelta da attori non statali che ritengono di non avere altri mezzi per perseguire i propri obiettivi politici. Fattori come ideologie radicali, ingiustizie percepite, occupazione straniera e desiderio di autodeterminazione sono spesso citati come cause del terrorismo.

In pratica, le cause del conflitto sono spesso una combinazione di questi fattori. Lo scoppio della Prima guerra mondiale, ad esempio, può essere attribuito a un mix di politiche di potere, fervore nazionalistico e alleanze ingarbugliate. Le guerre civili, come il conflitto siriano, possono essere ricondotte a una combinazione di governance autoritaria, divisioni etniche e interventi esterni. L'ascesa di gruppi terroristici come l'ISIS è legata all'estremismo ideologico, alla fragilità degli Stati e ai vuoti di potere regionali. Le cause dei conflitti nelle relazioni internazionali sono complesse e spesso interconnesse, e richiedono un'analisi completa che incorpori diverse prospettive teoriche per comprenderne appieno le origini e le dinamiche.

Interazione tra potere economico e militare e influenza tecnologica

L'interazione tra potere economico e militare e il ruolo della tecnologia nelle dinamiche di potere sono considerazioni critiche nelle relazioni internazionali (IR). Il potere economico è la base su cui spesso si costruisce il potere militare; un'economia forte può sostenere ingenti spese per la difesa e capacità militari avanzate. Il potere militare, a sua volta, può proteggere ed estendere gli interessi economici di uno Stato assicurando le rotte commerciali e l'accesso a risorse vitali.

Teorici realisti come Morgenthau e Mearsheimer sottolineano che gli Stati cercano di bilanciare il potere economico e militare per mantenere la loro sicurezza e la loro posizione nella gerarchia internazionale. In questa prospettiva, la forza economica è necessaria per sostenere le capacità militari, che sono essenziali per la deterrenza e la difesa. Al contrario, il potere militare può essere utilizzato per salvaguardare gli interessi economici ed esercitare influenza sulla scena globale.

I teorici liberali, seguendo la tradizione di Adam Smith e di figure successive come Keohane e Nye, sottolineano l'interdipendenza tra gli Stati in campo economico, suggerendo che il potere economico può essere sfruttato più efficacemente attraverso contesti cooperativi piuttosto che con la forza militare coercitiva. Essi sostengono che l'interdipendenza economica riduce la probabilità di conflitto e che il soft power, compresa l'influenza economica, può essere significativo quanto il potere militare duro nel raggiungere gli obiettivi di uno Stato.

Le prospettive marxiste, informate dalle opere di Marx e Lenin, vedono l'interazione tra potere economico e militare attraverso la lente dell'imperialismo e della lotta di classe, sostenendo che le élite economiche possono spingere gli Stati verso il conflitto militare per assicurarsi il dominio economico e l'accesso alle risorse.

La tecnologia gioca un ruolo fondamentale in questo nesso di potere. Può essere un moltiplicatore di forze per le capacità militari, dando agli Stati con risorse tecnologiche avanzate un vantaggio sui loro rivali. Ad esempio, lo sviluppo delle armi nucleari ha cambiato la natura del potere militare e della deterrenza. Allo stesso modo, i progressi della tecnologia informatica hanno introdotto nuove arene per la competizione e il conflitto sia economico che militare. L'impatto della tecnologia sul potere economico è altrettanto profondo. L'innovazione tecnologica è un motore fondamentale della crescita economica, che consente agli Stati di sviluppare nuove industrie, aumentare l'efficienza e ottenere un vantaggio competitivo sul mercato globale. L'economia digitale, l'intelligenza artificiale e i progressi nella comunicazione hanno ridisegnato il modo in cui il potere economico viene accumulato e proiettato. Nel mondo contemporaneo, la tecnologia ha reso meno netti i confini tra potere economico e militare. Le capacità di guerra informatica, ad esempio, possono distruggere l'economia di uno Stato con la stessa efficacia di un'azione militare tradizionale, se non di più, senza sparare un solo colpo. L'uso di droni e di sistemi d'arma autonomi nelle zone di conflitto dimostra come la superiorità tecnologica possa tradursi in vantaggi militari e strategici.

Un esempio di queste dinamiche può essere visto nell'ascesa della Cina come potenza globale. Il boom economico della Cina ha consentito investimenti significativi nella modernizzazione militare, posizionandola come concorrente dell'egemonia militare degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, l'attenzione della Cina per la tecnologia, in particolare in settori come le telecomunicazioni (ad esempio, l'infrastruttura 5G di Huawei), l'intelligenza artificiale e l'esplorazione spaziale, illustra l'interconnessione tra sviluppo economico, potenza militare e progresso tecnologico.

Il potere economico e quello militare sono in sintesi intrinsecamente legati, con la tecnologia che funge da ponte e amplificatore cruciale tra i due. Comprendere le interazioni tra queste forme di potere è essenziale per analizzare il comportamento degli Stati e le dinamiche in evoluzione delle relazioni internazionali.

Fondamenti della cooperazione internazionale

La cooperazione internazionale è un obiettivo centrale delle relazioni globali, che cerca di portare ordine e pace in un mondo in cui nessuna autorità regna sovrana. La creazione di vari piani e leghe per la pace, come le Nazioni Unite e l'Unione Europea, nasce dal desiderio collettivo di affrontare sfide comuni e prevenire il ripetersi di conflitti. Queste entità forniscono una piattaforma agli Stati per deliberare, negoziare e risolvere le controversie, incarnando i principi della diplomazia e del dialogo che sono essenziali per la coesistenza pacifica. Storicamente, la devastazione della guerra ha spesso fatto precipitare la spinta alla cooperazione. Il Trattato di Versailles, pur essendo punitivo e controverso, ha rappresentato un primo tentativo di portare una pace duratura dopo gli orrori della Prima Guerra Mondiale. Allo stesso modo, le Convenzioni di Ginevra hanno stabilito regole per il trattamento umano dei combattenti e dei civili, riflettendo un consenso sugli standard di condotta in guerra. Anche l'intreccio delle economie e i vantaggi reciproci del commercio hanno costituito un forte incentivo alle relazioni pacifiche. Gli sforzi di integrazione economica, come la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, che ha gettato le basi per l'Unione europea, si basano sulla consapevolezza che i legami economici possono fungere da deterrente per i conflitti. Il principio è chiaro: quando gli Stati sono economicamente interdipendenti, i costi della guerra superano di gran lunga i benefici, favorendo così la pace attraverso la prosperità condivisa.

Le alleanze di sicurezza, come la NATO, rappresentano un'altra dimensione della cooperazione, basata sul concetto di difesa collettiva. Tali alleanze operano sulla base del presupposto che un attacco contro uno è un attacco contro tutti, scoraggiando così potenziali aggressori e fornendo un ombrello di sicurezza sotto il quale gli Stati membri possono prosperare. Oltre alle istituzioni e ai legami economici, le norme e i valori condivisi sono diventati una base sempre più importante per la cooperazione. Le norme sui diritti umani, ad esempio, hanno superato le frontiere e gli sforzi internazionali per combattere il cambiamento climatico, come l'Accordo sul clima di Parigi, hanno riunito gli Stati intorno a obiettivi ambientali comuni. Questi valori condivisi costituiscono una base culturale e normativa su cui si fonda la cooperazione. Inoltre, la presenza di minacce comuni, come la proliferazione nucleare, il terrorismo e le pandemie globali, ha unito gli Stati negli sforzi per proteggere i propri cittadini e mantenere la stabilità internazionale. La risposta globale alla pandemia COVID-19, ad esempio, ha dimostrato come la cooperazione possa essere galvanizzata di fronte a una minaccia universale che nessun Paese può combattere da solo.

La cooperazione è facilitata anche dai continui processi diplomatici. Il costante impegno diplomatico, sia attraverso vertici di alto profilo sia attraverso canali di comunicazione discreti, consente agli Stati di articolare i propri interessi, comprendere le posizioni degli altri e stringere accordi che vadano a beneficio di tutte le parti coinvolte. La storia della cooperazione internazionale è segnata da successi e fallimenti. La Società delle Nazioni, ad esempio, non è riuscita a prevenire la Seconda Guerra Mondiale, ma ha aperto la strada alla creazione delle Nazioni Unite, che da allora hanno svolto un ruolo fondamentale nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. I successi della cooperazione internazionale, quindi, si basano sulle lezioni apprese dalle esperienze passate, sull'allineamento degli interessi e sull'impegno degli Stati a lavorare insieme per il bene comune. In sostanza, il perseguimento della cooperazione internazionale è una risposta alle complesse dinamiche delle relazioni globali, dove l'assenza di un'autorità suprema costringe gli Stati a cercare modi per coesistere, collaborare e affrontare insieme le sfide comuni. Attraverso la creazione di istituzioni internazionali, trattati, partnership economiche e alleanze di sicurezza, nonché la coltivazione di norme condivise e la pratica della diplomazia, gli Stati si sforzano di creare un mondo stabile, prospero e pacifico.

Influenze culturali, religiose e nazionalistiche

Il ruolo della cultura, della religione, dell'identità, dell'etnia e del nazionalismo nella società internazionale è profondamente significativo e influenza il comportamento degli Stati e di altri attori in una miriade di modi. Questi elementi spesso plasmano i valori, le credenze e le motivazioni sottostanti che guidano le interazioni internazionali.

La cultura, che comprende i valori, le norme e le pratiche condivise di una società, può influenzare profondamente la politica estera e le interazioni diplomatiche di uno Stato. Comprensioni e fraintendimenti culturali possono facilitare o ostacolare la cooperazione internazionale. Ad esempio, il concetto di "salvare la faccia" nelle culture dell'Asia orientale gioca un ruolo fondamentale nei negoziati diplomatici, richiedendo un approccio sfumato che rispetti il contesto culturale. Anche la religione è stata una forza potente nelle relazioni internazionali. Può essere una fonte di conflitto, come si è visto in vari conflitti settari o religiosi in tutto il mondo, ma può anche essere una forza potente per la pace e la riconciliazione, in quanto i leader e le organizzazioni religiose spesso svolgono ruoli chiave nella costruzione della pace e negli sforzi umanitari. Il ruolo della Chiesa cattolica nel movimento polacco di Solidarność degli anni Ottanta, ad esempio, illustra come le istituzioni religiose possano influenzare il cambiamento politico.

L'identità e l'etnicità sono fondamentali per comprendere molti conflitti internazionali, in particolare nelle aree in cui i confini nazionali non coincidono con quelli etnici o culturali. Le tensioni etniche sono state la forza trainante di numerosi conflitti, tra cui le guerre jugoslave degli anni Novanta. L'identità etnica può anche influenzare le politiche statali in modi più sottili, come il trattamento preferenziale di alcune comunità della diaspora. Il nazionalismo, ovvero la convinzione della superiorità e degli interessi della propria nazione, spesso plasma la politica estera di uno Stato. Può essere una forza unificante, che favorisce la coesione e l'identità collettiva, ma può anche essere escludente e portare a conflitti con altre nazioni. L'ascesa del nazionalismo in vari Paesi negli ultimi anni ha avuto implicazioni significative per la politica internazionale, influenzando le politiche commerciali, le leggi sull'immigrazione e la cooperazione internazionale.

L'interazione tra questi fattori e la politica internazionale è complessa. I teorici del costruttivismo, come Alexander Wendt, sostengono che questi fattori sociali e culturali non sono solo condizioni di sfondo, ma plasmano attivamente gli interessi e le identità degli Stati. Possono determinare chi è considerato amico o nemico, quali azioni sono considerate legittime o illegittime e come gli Stati definiscono i loro obiettivi e interessi. In pratica, questi fattori culturali e sociali si intersecano spesso con aspetti più materiali delle relazioni internazionali. Ad esempio, le dispute sulle risorse possono essere esacerbate da differenze etniche o religiose e i legami culturali possono influenzare le partnership economiche. Il Corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC), parte della Belt and Road Initiative cinese, non è solo un progetto economico, ma riflette anche l'affinità culturale e politica tra Cina e Pakistan. In conclusione, cultura, religione, identità, etnia e nazionalismo sono parte integrante del tessuto della società internazionale. Essi plasmano le percezioni, i comportamenti e le politiche degli Stati e degli attori non statali, influenzando il corso delle relazioni internazionali in modi profondi e talvolta imprevedibili. La comprensione di questi elementi è fondamentale per un'analisi completa degli affari globali.

IR Theories as Tools for Ethical and Normative Inquiry

International Relations (IR) theory serves a vital role in examining the broader, larger, and enduring ethical or normative questions that underpin global interactions and policies. These questions delve into what ought to be rather than what is, challenging scholars and practitioners to consider the moral implications and values that should guide international conduct and decision-making.

One of the central ethical questions in IR is the issue of war and peace: under what circumstances, if any, is it justifiable for a state to go to war? Just War Theory, which has its roots in the works of philosophers like Augustine and Thomas Aquinas and has been developed further by contemporary thinkers like Michael Walzer, seeks to address this question. It provides criteria for judging when a war can be considered just and how it should be conducted to remain ethical. Another significant normative issue in IR is the responsibility of states towards their citizens and the international community. This encompasses questions of human rights, humanitarian intervention, and the responsibility to protect (R2P) doctrine. R2P, for instance, raises the question of whether and when it is appropriate for external actors to intervene in a state to prevent mass atrocities, balancing the principles of state sovereignty and the protection of human rights.

The equitable distribution of resources and wealth in the international system is also a profound ethical concern. Theories of global justice, such as those proposed by John Rawls and Thomas Pogge, explore how resources and opportunities should be distributed among states and individuals. These theories question the fairness of the current international economic system and suggest ways it could be reformed to achieve greater justice. Environmental issues, particularly climate change, present another area where ethical considerations are paramount. Debates over climate justice, including the responsibilities of developed versus developing nations in addressing environmental degradation, are deeply normative. They involve questions about intergenerational equity, the rights of nature, and the obligations of states and individuals to protect the global environment.

Furthermore, the rise of nationalism and populism in recent years has brought to the fore ethical questions about identity politics, the treatment of refugees and migrants, and the tension between globalism and localism. These issues challenge the traditional Westphalian notion of state sovereignty and require a rethinking of ethical obligations beyond borders. In essence, IR theory provides the tools and frameworks necessary to engage with these ethical and normative questions. It enables a critical examination of the principles that should govern international relations, encouraging a move beyond power politics to consider the moral dimensions of global interactions. This aspect of IR theory is crucial for developing policies and practices that are not only effective but also just and ethical.

Decision-Making on Force Utilization

Determining when, what, and to what degree to use force in international relations is a question that has continually challenged nations, particularly in the context of conflicts like those in Rhodesia, apartheid South Africa, Bosnia, Libya, Syria, Zimbabwe, the Congo, and Liberia. Each of these situations presented unique challenges and considerations, testing the international community's ability to balance state sovereignty, human rights, and practical intervention concerns.

In the cases of white-ruled Rhodesia and apartheid South Africa, the world community largely leaned towards economic sanctions and diplomatic isolation rather than direct military intervention. These measures were aimed at pressuring these regimes to change their policies without resorting to force. In Rhodesia, this approach played a significant role in the transition to majority rule and the birth of Zimbabwe. Similarly, in South Africa, sustained international pressure contributed to the dismantling of the apartheid system.

The Bosnian conflict during the 1990s, part of the larger Yugoslav Wars, highlighted the complexities of military intervention. Initially, there was a reluctance to use force, but the turning point came with the horrific events of the Srebrenica massacre in 1995. This atrocity spurred a more decisive military action by NATO and the UN, aimed at protecting civilians and bringing the conflict to an end.

In Libya in 2011, the intervention authorized by the UN was a response to the threat of mass atrocities by the Gaddafi regime. This action, rooted in the Responsibility to Protect doctrine, was initially hailed for preventing widespread violence against civilians, particularly in Benghazi. However, the intervention also faced criticism for leading to prolonged instability and a lack of effective post-conflict reconstruction.

The Syrian Civil War presented a significant dilemma for international intervention. Despite egregious human rights violations and the use of chemical weapons, the international community was largely hesitant to intervene militarily. This was due to the conflict's complexity, the involvement of various external actors, and concerns over the potential for broader regional escalation.

In other African states like Zimbabwe, the Congo, and Liberia, the responses to crises varied. Zimbabwe saw international sanctions and diplomatic efforts in response to its political and economic turmoil. In the Congo, the deployment of UN peacekeeping forces aimed to stabilize conflict-affected regions. In Liberia, the civil war ended partly due to the military intervention by ECOWAS, followed by a UN peacekeeping mission to ensure stability and support the transition to peace.

These varied cases reflect the nuanced and often contentious nature of deciding to use force in international affairs. The decisions are influenced by a mix of factors, including the severity of the situation, the legal and ethical justifications for intervention, potential success rates, the intervening states' interests, and the broader implications for international stability. They illustrate the ongoing tension between respecting the sovereignty of states and the imperative to protect human rights, between pursuing national interests and adhering to international law and moral principles. These situations underscore the complex and multifaceted nature of using force in international relations, a decision that requires careful consideration of both the immediate and long-term consequences for all involved.

Morality in Foreign Policy and IR

The place of morality in foreign policy and international relations is a subject of considerable debate and varied perspectives within the field of International Relations (IR). The incorporation of moral principles, such as human rights, religious freedom, and humanitarian concerns, into foreign policy reflects a significant shift from traditional views that prioritized state interests and power politics.

A human rights foreign policy involves a state's commitment to promote and protect human rights around the world. This approach often leads to diplomatic efforts, economic sanctions, or even military interventions aimed at preventing or responding to human rights abuses in other countries. The challenge here lies in balancing the moral imperative to defend human rights with respect for state sovereignty, as well as navigating the often competing interests within international politics. The promotion of international religious freedom is another aspect where morality intersects with foreign policy. States, particularly those with a strong commitment to religious liberty, may advocate for the protection and promotion of this right globally. This can involve diplomatic efforts to condemn religious persecution and support international initiatives that safeguard religious freedoms.

The United Nations' "responsibility to protect" (R2P) doctrine is a landmark in the moral evolution of international relations. Established to prevent mass atrocities such as genocide, war crimes, ethnic cleansing, and crimes against humanity, R2P asserts that when a state fails to protect its citizens from such crimes, the international community has a moral obligation to intervene, potentially including military intervention. R2P was a significant factor in interventions like the one in Libya in 2011, yet its application has been inconsistent, raising questions about the international community's willingness and ability to uphold these moral commitments. "Saving strangers," a term popularized by Nicholas J. Wheeler in his book on humanitarian intervention, encapsulates the moral duty to assist people in other countries facing grave humanitarian crises, even at the cost of breaching state sovereignty. This principle has underpinned various humanitarian interventions, where states or coalitions have intervened in countries to stop widespread suffering, often without the host nation's consent.

Humanitarian intervention represents one of the most direct applications of morality in foreign policy, wherein states or international organizations use military force to alleviate human suffering, especially in situations of genocide, war crimes, or widespread human rights violations. The NATO intervention in Kosovo in 1999 is often cited as an example of humanitarian intervention motivated by moral considerations rather than traditional state interests. However, the incorporation of morality in foreign policy also faces criticism and challenges. Realists argue that the primary duty of a state is to its own citizens and that moral considerations should not override national interests and security concerns. Additionally, the selective application of moral principles, often influenced by strategic interests, can lead to accusations of hypocrisy and undermine the credibility of moral arguments in international politics.

The place of morality in foreign policy and international relations is thus a dynamic and complex issue. It represents an ongoing struggle to align ethical imperatives with the practical realities of global politics, reflecting the tension between idealist aspirations and realist constraints. The pursuit of moral objectives in international relations underscores the evolving nature of the international system, one in which the traditional notions of state sovereignty and non-intervention are increasingly weighed against the global community's responsibility to uphold fundamental human rights and ethical principles.

National vs. Transnational Obligations

In the realm of political philosophy and international relations, the discussion of obligations owed to the state versus those transcending national boundaries is both intricate and multifaceted. Citizens generally have well-established obligations to their state, which can include adhering to laws, paying taxes, engaging in the democratic process, and sometimes participating in national service. These duties are often viewed as part of a social contract, where citizens agree to certain responsibilities in exchange for the state's protection and services. The nature and extent of these obligations can vary widely, with democratic societies typically emphasizing the protection of individual rights and freedoms, while more authoritarian regimes might demand greater compliance and control.

Beyond the confines of the state, the concept of obligations extends into broader ethical and moral realms. Humanitarian and cosmopolitan theories, influenced by thinkers like Immanuel Kant and contemporary scholars such as Peter Singer, advocate for duties that transcend national borders. These include providing assistance to those in need, irrespective of their nationality, and striving for global justice. In the sphere of international relations, these global obligations are evident in principles like the ‘responsibility to protect’, which posits that the international community has a duty to intervene in severe human rights violations.

Activities such as human rights advocacy and international development aid are practical manifestations of these transcendent obligations. Many argue that wealthier countries bear a moral responsibility to assist less developed nations through aid, fair trade practices, and collaborative efforts to address global challenges like climate change and health crises. However, balancing these global duties with obligations to one’s own state often presents challenges and tensions. Nationalist perspectives prioritize the state's interests and needs, arguing that national strength is a prerequisite for meaningful global contribution. In contrast, globalist or cosmopolitan viewpoints stress the importance of considering the welfare of the entire global community, sometimes advocating for policies that might compromise narrow national interests.

In practice, the degree to which individuals and states recognize and act on obligations beyond their borders varies significantly and frequently becomes a topic of political debate. Discussions around refugee policies, foreign aid, and participation in international environmental agreements all reflect varying perspectives on the extent and nature of a state's duties beyond its immediate citizenry and territory. The obligations to the state are clearly defined within legal and societal frameworks, but the notion of duties extending beyond national borders is more fluid and subject to ethical debate, international norms, and the changing dynamics of global interdependence. These broader obligations reflect an increasing awareness of the shared challenges and common destiny of humanity, pushing the boundaries of traditional state-centric views in international relations.

Ethics of Intervention: Military and Humanitarian

The debate over the rights and wrongs of intervention, encompassing both military and humanitarian actions, is a deeply complex issue in international relations, balancing ethical, legal, and pragmatic considerations. On the one hand, interventions are often justified on humanitarian grounds, especially when aimed at preventing gross human rights violations such as genocide, ethnic cleansing, or crimes against humanity. The concept of a 'responsibility to protect' argues that when a state fails to protect its citizens, or worse, perpetrates atrocities against them, there is a moral imperative for the international community to step in. However, interventions are defensible and more ethically sound when they have the backing of international law, typically through a United Nations Security Council resolution. This legal sanctioning ensures that the intervention isn't merely a cover for advancing a single nation's interests but is instead a collective response to a crisis. Interventions can also be justified for maintaining or restoring regional and global stability, particularly when a nation's conflict poses threats beyond its borders. Yet, interventions are fraught with challenges and potential pitfalls. A significant concern is the violation of state sovereignty, a core principle in international law and relations. Unilateral or inadequately supported interventions can be seen as infringements on a nation's right to self-determination. Furthermore, military interventions, even with the noblest intentions, risk escalating conflicts, causing civilian casualties, and creating long-term instability and power vacuums, as seen in the aftermath of interventions in Iraq and Libya.

Another critical issue is the apparent double standards and selectivity in interventions. Often, decisions to intervene seem inconsistent and driven more by strategic interests than by a steadfast commitment to humanitarian principles, leading to accusations of hypocrisy and undermining the moral basis for intervention. In regions with colonial histories, interventions by Western powers may be perceived as neocolonialist maneuvers, especially if the intervening nations have economic or strategic interests in the area. Humanitarian interventions, while aiming to alleviate suffering, are not without their controversies. They can sometimes be perceived as a front for geopolitical pursuits. Moreover, the effectiveness of humanitarian aid can be compromised by issues like corruption, logistical challenges, and a lack of understanding of the local context, which can lead to aid not reaching those who need it most or even exacerbating the situation.

The decision to intervene, whether militarily or in a humanitarian capacity, necessitates therefore a nuanced and comprehensive assessment. It requires balancing the immediate needs and the long-term impacts on the affected population and the international system. Ensuring that interventions are legally sanctioned, internationally supported, and effectively and responsibly implemented is crucial for maintaining their legitimacy and ensuring they do more good than harm.

IR Theory as a Problem-Solving Toolkit

International Relations (IR) theory, as conceptualized by theorists like Robert Cox, can be understood as a 'tool kit' or a type of 'problem-solving theory.' This characterization underscores the practical and analytical utility of IR theory in understanding and addressing the complexities of global politics.

As a 'tool kit,' IR theory provides a diverse array of concepts, frameworks, and paradigms that scholars and practitioners can use to analyze and interpret international events and relationships. This toolkit includes various theoretical approaches, each offering unique insights and explanations for the behavior of states and other international actors. For instance, realism focuses on power dynamics and security concerns, liberalism emphasizes cooperation and international institutions, while constructivism considers the impact of social constructs and identities on international politics. By applying these different theories, one can gain a more comprehensive understanding of international events, from wars and treaties to trade agreements and diplomatic negotiations.

In the context of Robert Cox's work, the description of IR theory as a 'problem-solving theory' highlights its pragmatic approach to dealing with the challenges of international relations. Cox distinguished between 'critical theory,' which seeks to understand and transform the world by questioning underlying structures and assumptions, and 'problem-solving theory,' which takes the world as it finds it and aims to make the functioning of these existing structures more efficient. In this sense, IR theory as a problem-solving tool focuses on managing and resolving immediate issues within the given parameters of the global system. It is about addressing specific problems in international relations by applying established theories and methods to understand and navigate these challenges effectively.

For example, in dealing with a diplomatic crisis, a problem-solving approach might involve using negotiation and conflict resolution techniques informed by IR theories to de-escalate tensions and find a mutually acceptable solution. In addressing global economic issues, theories like liberalism or neoliberalism might be employed to understand and enhance international trade and cooperation. However, it is important to note that while IR theory can be immensely useful as a toolkit for understanding and addressing international issues, it also has its limitations. Critics, including Cox himself, argue that by focusing on problem-solving within the existing order, such theories may overlook deeper structural issues and inequalities in the international system. IR theory, as a 'tool kit' or 'problem-solving theory,' thus offers valuable perspectives and tools for understanding and addressing the complexities and challenges of international relations. It equips scholars, diplomats, and policymakers with the analytical frameworks necessary to interpret global events and craft strategies for effective engagement in the international arena.

In the context of International Relations (IR) theory as a type of 'problem-solving' theory, the concept of 'efficient causation,' as originally conceptualized by Aristotle, becomes relevant in understanding how certain actions or events cause specific outcomes in the realm of international politics. Aristotle's notion of 'efficient causation' refers to a cause that directly brings about an effect. It's the kind of cause-and-effect relationship where the cause is seen as an active and primary factor in producing the effect. In IR, this concept can be applied to analyze how certain decisions or actions by states or international actors directly lead to particular outcomes or changes in the international system. For instance, when a country decides to impose economic sanctions on another, the 'efficient causation' would be the decision to impose sanctions, and the effect might be an economic downturn or a change in the targeted country's foreign policy. Similarly, a military intervention by one state in another can be seen as the 'efficient cause' of the subsequent changes within the intervened state, whether it be regime change, conflict resolution, or in some cases, further destabilization.

In the problem-solving approach of IR theory, understanding efficient causation is crucial for identifying the direct actions that can resolve specific international issues. This approach involves looking at the immediate causes of international problems and finding solutions that address these causes effectively. For example, in conflict resolution, identifying the immediate actions or events that led to the conflict (the efficient causes) is a key step in developing strategies to resolve it. However, it is important to note that while efficient causation focuses on direct and immediate causes, international relations often involve complex interactions where long-term and indirect causes (what Aristotle termed 'material,' 'formal,' and 'final' causes) also play significant roles. For instance, while a political decision or an act of aggression may be the efficient cause of a war, underlying economic conditions, historical grievances, and cultural factors (other forms of causation) are also crucial in understanding the broader context of the conflict. The concept of efficient causation in the framework of IR as a problem-solving theory helps to pinpoint the immediate and direct causes of international events and issues. This approach is instrumental in formulating practical and targeted responses to specific problems in the realm of international relations, although it is also essential to consider the broader and more complex web of causation that characterizes global politics.

The post-behavioral revolution in American political science, particularly during the tumultuous period of the Vietnam War, marked a significant turning point in the field's evolution, especially in International Relations (IR) theory. This revolution was a response to the dominant behavioralist approach, which heavily emphasized empirical, quantifiable research methods, akin to those used in the natural sciences. Behavioralism focused on observable, objective behavior and data, often at the expense of subjective factors such as ideology, ethics, and morality. The aim was to develop generalizable theories about political behavior based on empirical evidence.

However, the experiences and outcomes of the Vietnam War highlighted the shortcomings of this approach. Critics argued that the reliance on positivism and naturalism in political science, which influenced the strategies used in the Vietnam War, failed to capture the complex human dimensions of politics. This methodology was seen as overly reductionist, neglecting the ethical, normative, and subjective aspects of political decision-making and ignoring the cultural contexts and personal experiences of those involved. In response, the post-behavioral revolution called for a reevaluation of the methods and goals of political science. This new wave of thought emphasized the need to include ethical and moral considerations in political studies, arguing for an understanding of politics that encompassed both what is and what ought to be. It promoted methodological pluralism, encouraging the use of diverse research methods, including qualitative approaches, to better capture the richness and intricacies of political phenomena.

Another key aspect of this revolution was its focus on relevance. Post-behavioral scholars stressed the importance of addressing real-world issues and societal problems, rather than confining themselves to abstract theoretical or empirical research detached from the realities of everyday life. This shift represented a move towards a more socially engaged and reflective form of political science. Furthermore, the post-behavioral approach recognized the influence of researchers' values and perspectives on their work, challenging the notion of absolute objectivity in the study of politics. This acknowledgment of subjectivity marked a significant departure from the earlier belief in detached scientific neutrality.

In the realm of IR, the impact of the post-behavioral revolution was profound. It paved the way for the emergence of more critical and diverse theoretical frameworks, such as constructivism, feminism, and critical theory. These approaches sought to understand international relations in a manner that was more ethically informed and nuanced, acknowledging the importance of human values, subjective experiences, and ethical considerations in the analysis of global politics. This paradigm shift enriched the field of IR, offering a more holistic and reflective approach to studying international affairs, one that recognized the complexity and moral dimensions inherent in the world of global politics.

In the realm of International Relations (IR) theory, the distinction between explanatory theory as a form of social scientific theory and interpretive theory highlights different approaches to understanding and analyzing international events and phenomena. This distinction is well encapsulated in the contrast between the 'covering-law' model of explanation and the interpretive approach to understanding events in international relations. The 'covering-law' model, or the nomological-deductive method, is a hallmark of explanatory theory in social science. This approach seeks to explain events by subsuming them under general laws or regularities. According to this model, an event can be explained if it can be shown to be a specific instance of a general law. For example, in IR, a realist might use the concept of the balance of power to explain why states enter into alliances — the general law being that states seek alliances to balance against stronger powers. This model is characterized by its emphasis on objectivity, empiricism, and the search for causal relationships that can be generalized across different cases. In contrast, interpretive theory, as discussed by scholars like Hollis and Smith, aims to understand events in international relations by delving into their specific contexts and meanings. Interpretive theory is not primarily concerned with finding general laws or regularities. Instead, it focuses on understanding the subjective meanings and intentions behind actions and events. For instance, an interpretive approach to a diplomatic crisis might involve examining the historical, cultural, and ideological contexts that shape the perspectives and actions of the involved states, providing a nuanced understanding of the event that goes beyond general laws.

Interpretive theory aligns with the constructivist approach in IR, which holds that the realities of international politics are socially and culturally constructed rather than objectively given. Constructivists argue that the identities, interests, and actions of states are shaped by shared ideas, norms, and values, and thus, understanding these social constructs is key to understanding international relations. Both explanatory and interpretive theories offer valuable insights into international relations. The explanatory approach, with its focus on general laws and causal explanations, is useful for predicting events and formulating policies. On the other hand, the interpretive approach provides a deeper understanding of the complex social, historical, and cultural factors that influence international events and decisions. In practice, a comprehensive analysis of international relations often requires a combination of both approaches. While the explanatory theory can elucidate broad patterns and regularities in state behavior, interpretive theory can uncover the unique contexts and meanings that underlie specific international events. Together, these approaches provide a more complete picture of the dynamics at play in the world of international politics.

IR Theory: Critique and Prophetic Visions

International Relations (IR) theory can function as a form of critique of the existing international order, and this critique can take two primary forms: negative critique and prophetic critique. These approaches differ in their perspectives and objectives regarding the status quo of international relations.

Negative critique in IR theory primarily involves a critical analysis of the current international system, identifying and highlighting its flaws, contradictions, and injustices. This form of critique does not necessarily offer a clear path to a new or reformed system; rather, its focus is on deconstructing and challenging the existing structures and assumptions. Scholars who adopt this approach might scrutinize the power dynamics within the international system, the inequities produced by current global economic arrangements, or the failings of international institutions. For instance, realist critiques of international organizations often focus on their perceived inability to transcend the self-interest of powerful states, while Marxist critiques might focus on how international capitalism perpetuates inequality.

Prophetic critique in IR theory, on the other hand, goes beyond simply critiquing the current state of affairs. It also envisions and advocates for a radically different international order based on new principles and structures. This approach is characterized by its forward-looking perspective and its normative commitment to a more just and equitable world. Prophetic critiques often draw on ethical, philosophical, and ideological foundations to propose transformative changes. For example, critical theorists and constructivists might envision a world where international relations are governed more by shared norms and values than by power politics, and where global institutions are more democratic and responsive to the needs of all people, not just the interests of the most powerful states.

Both forms of critique play vital roles in the field of IR. Negative critiques are important for understanding the limitations and problems of the current international system, providing a necessary foundation for any meaningful reform or transformation. Prophetic critiques are essential for imagining alternative futures and motivating change towards a more just and sustainable global order. In academic discourse and policy-making, these critiques serve as a means of holding the existing system accountable and inspiring debates about potential pathways for change. They encourage a continuous re-examination of the principles, practices, and structures that govern international relations, fostering a dynamic and evolving understanding of global politics.

IR as Daily Social Practice

Viewing International Relations (IR) theory as everyday social practice involves understanding it not just as an academic discipline, but as something that is actively lived out and embodied in the daily interactions and activities of states, organizations, and individuals. This perspective emphasizes that the principles and concepts of IR theory are not merely abstract ideas confined to scholarly texts but are part of the ongoing, practical fabric of international politics. From this standpoint, IR theory as everyday social practice means that the behaviors, decisions, and policies of states and other international actors are continually informed by and reflective of theoretical principles. For instance, a state's foreign policy decisions are often based on realist principles of power and security, liberal ideals of cooperation and international institutions, or constructivist notions of social constructs and identity.

Moreover, this approach acknowledges that international relations are not only shaped by high-level diplomatic meetings or formal treaties but also by a myriad of less visible, everyday interactions. These can include business transactions, cultural exchanges, non-governmental organization activities, and even individual actions, all of which contribute to the broader dynamics of international relations. Seeing theory as everyday social practice also means recognizing that the concepts and models of IR are constantly being tested, modified, and reinterpreted in the light of real-world events. The practice of diplomacy, for instance, is not just an application of theoretical understanding but also a source of insights that can refine or challenge existing theories.

This perspective also highlights the role of non-state actors in shaping international relations. From multinational corporations influencing global economic policies to activist networks advocating for human rights or environmental protection, these actors engage in practices that both reflect and impact theoretical understandings in IR. In essence, considering IR theory as everyday social practice requires a broad lens that captures the diverse and dynamic ways in which international relations unfold in real-world contexts. It invites a more holistic understanding of global politics, one that bridges the gap between theory and practice, and acknowledges the multitude of actors and activities that shape the international stage.

Buzan and Little's Critique of IR as an Intellectual Project

Analysis of IR's Intellectual Failures

Barry Buzan and Richard Little, in their article "Why International Relations has Failed as an Intellectual Project," assert that despite its internal dynamism, the field of International Relations (IR) has remained curiously insulated from other social sciences and history. This critique highlights a significant limitation in the development of IR as an academic discipline. The authors argue that IR's isolation from other disciplines has hindered its ability to develop a comprehensive understanding of global politics. While IR has evolved and diversified in its approaches and theories, this evolution has largely occurred within its own silo, separate from the insights and methodologies of disciplines like sociology, psychology, economics, and history.

This insularity, according to Buzan and Little, has led to a certain narrowness in perspective and methodology within IR. By not fully engaging with the theories, concepts, and empirical findings of other social sciences, IR has missed opportunities to enrich its analysis and to understand more deeply the complex interplay of factors that shape international relations. This includes overlooking the historical processes that have shaped the modern state system, the economic underpinnings of international politics, and the psychological factors that influence decision-making at the international level. Moreover, Buzan and Little suggest that this separation from other disciplines has limited IR's ability to effectively address and solve real-world problems. They advocate for a more interdisciplinary approach, one that draws on the strengths and insights of various social sciences to create a more robust and nuanced understanding of international phenomena. While IR has made significant strides in developing its own theories and models, its progress as an intellectual project has been constrained by its relative isolation. To advance further, the field needs to open itself to cross-disciplinary influences, integrating broader social scientific perspectives and methods into its study of global politics. This approach would not only deepen the theoretical richness of IR but also enhance its practical relevance in addressing the complex challenges of the international arena.

Barry Buzan and Richard Little's observation about the limited outbound traffic from International Relations (IR) into other disciplines presents a noteworthy contradiction when considering IR's self-conception. IR often views itself as a discipline whose subject matter is inherently important and relevant, and as being inherently inter or multi-disciplinary. This self-perception, however, seems at odds with the reality of its engagement with other fields.

IR's self-conception as an important and relevant field is based on the premise that it deals with critical issues like war, peace, global cooperation, international economics, and human rights. These are topics of undeniable significance and global impact, and the field prides itself on tackling these complex and pressing global challenges. IR theorists and practitioners often emphasize the discipline's capacity to offer insights and solutions to some of the world's most critical problems. Additionally, IR has historically positioned itself as inter or multi-disciplinary, drawing theoretically and methodologically from a range of other disciplines, including history, economics, sociology, law, and political science. This interdisciplinary approach is seen as essential given the complexity and scope of international issues, which often cannot be fully understood through a single disciplinary lens.

However, Buzan and Little point out a contradiction in this self-conception: while IR may draw from other disciplines, there seems to be a limited flow of ideas and research from IR back into these other fields. This one-way traffic suggests a certain insularity within IR, where it benefits from the insights of other disciplines but does not equally contribute to or influence these fields in return. This contradiction might stem from several factors, including the specialized nature of IR that focuses primarily on state-to-state relations and the high-level politics of the international system. Such a focus might limit the applicability of IR insights to other disciplines that deal with different scales or aspects of human activity. Moreover, the theoretical and methodological approaches developed within IR might not seamlessly translate to other fields, which have their own established paradigms and research priorities.

Barry Buzan and Richard Little, in their critique of the field of International Relations (IR), disagree with the prevailing tendency to assume that theoretical fragmentation within the discipline constitutes an inevitable state of affairs. This prevalent view suggests that the diverse and often conflicting array of theories in IR—ranging from realism and liberalism to constructivism and critical theory—is a natural and unalterable condition that must either be endured or embraced. Such fragmentation is often seen as reflecting the complex and multifaceted nature of international relations itself. However, Buzan and Little challenge this perspective. They argue against resigning to or celebrating this theoretical fragmentation. Instead, they advocate for a more holistic framework for understanding international relations, one that can potentially harmonize the diverse perspectives within the field. They propose leveraging the interdisciplinary appeal of the concept of the ‘international system’ as a unifying framework.

The concept of the ‘international system’ is central to IR and refers to the structure and pattern of relationships among the world's states and other significant actors, governed by certain rules and norms. Buzan and Little suggest that this concept can serve as a common ground for different theoretical approaches, providing a comprehensive structure within which various perspectives can be integrated. By focusing on the international system, they believe it's possible to transcend the limitations of individual theories and create a more cohesive and comprehensive understanding of global politics. This approach would involve drawing on insights from various theoretical traditions to build a more nuanced and multi-dimensional analysis of the international system. For example, it could combine the realist focus on power and security, the liberal emphasis on institutions and cooperation, the constructivist attention to social constructs and identities, and the critical theories' concern with power dynamics and inequality. Buzan and Little's proposition for a holistic framework based on the concept of the international system aims to bridge the divides between different theoretical perspectives in IR. It represents an effort to move beyond theoretical fragmentation towards a more integrated and interdisciplinary approach to understanding the complexities of the international arena. This approach not only has the potential to enrich the academic study of IR but also to enhance the practical relevance of the discipline in addressing the multifaceted challenges of global politics.

Strategies for Revitalizing IR's Intellectual Contribution

Addressing the perceived failure of International Relations (IR) as an intellectual project, especially in the context of a global era marked by increasing globalization, requires a reorientation and expansion of its theoretical and methodological approaches. This reorientation involves moving beyond traditional frameworks and embracing more macro-approaches that are prevalent in other social sciences.

One direction that has been suggested involves moving beyond the 'world systems' theory, famously associated with Immanuel Wallerstein, which has its roots in Marxism and materialism. Wallerstein's world-systems theory views the global order as a complex system characterized by a capitalist world economy divided into core, periphery, and semi-periphery nations. While this theory has provided valuable insights into the economic structures of global inequality, critics argue that it focuses too narrowly on economic factors and class dynamics, overlooking other important aspects of international relations. In response, there is a growing interest in studying the international system, world system, and world society in a more holistic manner. This approach would involve integrating a broader range of factors beyond just economic ones, including political, cultural, technological, and environmental dimensions. It also suggests a need to understand the interactions not only between states but also between a wide array of non-state actors, such as international organizations, non-governmental organizations, multinational corporations, and transnational advocacy networks.

The study of the international system would continue to examine the traditional concerns of IR, such as power dynamics, state behavior, and international institutions. However, it would also incorporate insights from other disciplines, such as sociology, anthropology, and environmental science, to better understand the social, cultural, and ecological aspects of global politics. The concept of world society, on the other hand, extends the analysis to include the global community's collective norms, values, and identities. It emphasizes the role of transnational actors and networks in shaping global norms and practices, ranging from human rights and environmental sustainability to international law and global governance.

Moving beyond the 'Westphalian straightjacket' involves challenging the state-centric view of international relations that has dominated the field since the Peace of Westphalia in 1648. This perspective traditionally views sovereign states as the primary and most significant actors in the international system, with little regard for non-state entities or transnational forces. The suggestion to reverse IR's attitude toward history, particularly world history, is a call to broaden the scope of analysis beyond the narrow focus on states and their interactions. The English School of International Relations offers an approach that aligns with this broader perspective. It recognizes the importance of not just states but also international society — a concept that encompasses a wider array of actors and acknowledges the role of shared norms, values, rules, and institutions in shaping international relations. This school of thought emphasizes the historical and social dimensions of international politics, considering how historical events and processes have shaped the current international system.

By incorporating a more thorough understanding of world history, IR can move beyond the limitations of the Westphalian model. This involves recognizing the influence of historical empires, non-Western states, and transnational movements in shaping the global order. It also means acknowledging the impact of colonialism, economic globalization, and cultural exchanges in forming the current international landscape. Furthermore, reversing IR's attitude toward history entails recognizing the dynamic and evolving nature of international relations. It requires an understanding that the concepts and theories used to explain international politics must also evolve in response to changing historical circumstances. This approach challenges the static view of international relations as merely interactions among sovereign states, instead presenting it as a dynamic and complex web of relations influenced by a wide range of historical and social factors.

Incorporating world history into IR also allows for a more nuanced understanding of contemporary issues. For instance, current conflicts and alliances can often be better understood in the context of their historical underpinnings. Additionally, a historical perspective can provide insights into the development of international norms and institutions and help explain variations in the behavior of different states and societies. Moving beyond the 'Westphalian straightjacket' and embracing a more historically informed approach, as exemplified by the English School, allows for a richer and more comprehensive understanding of international relations. It acknowledges the importance of states while also recognizing the significance of historical processes, non-state actors, and transnational forces in shaping the global arena. This approach not only enriches the theoretical depth of IR but also enhances its practical relevance in addressing the complex challenges of the contemporary world.

Barry Buzan and Richard Little, in their critique of the field of International Relations (IR), address the issue of sectoral narrowness and what they describe as "a rather thoughtless embracing of theoretical fragmentation." This critique points to a tendency within IR to compartmentalize the field into distinct theoretical and thematic sectors without sufficient cross-fertilization or synthesis. Sectoral narrowness refers to the specialization within IR where scholars focus intensively on specific areas or themes, such as security studies, international political economy, or human rights. While such specialization has led to in-depth understanding and insights in these individual areas, Buzan and Little argue that it also results in a fragmented field where the broader picture is often lost. This fragmentation means that critical insights and developments in one sector of IR may not be adequately integrated into or recognized by others. The "thoughtless embracing" of this fragmentation, as Buzan and Little put it, suggests a lack of critical reflection on the limitations and drawbacks of having such sharply divided subfields. It implies a missed opportunity to develop more comprehensive and holistic approaches that draw on the strengths and insights of various sectors. For instance, understanding international security challenges fully requires not just a focus on military and strategic aspects (as in traditional security studies) but also an appreciation of economic conditions, cultural factors, and historical contexts.

To move beyond this sectoral narrowness, Buzan and Little suggest that IR should foster more interdisciplinary engagement and synthesis. This approach would involve creating frameworks and methodologies that bridge different sectors, encouraging scholars to incorporate insights from various areas of IR into their analyses. It also means promoting dialogue and collaboration among specialists from different subfields to address complex global issues in a more integrated manner. Such a shift would not only enhance the theoretical richness of IR but also increase its practical relevance. By breaking down the silos within the field, IR could offer more nuanced and comprehensive analyses of international phenomena, better equipping policymakers, diplomats, and other practitioners to navigate the complexities of the global landscape. In essence, moving beyond sectoral narrowness requires a conscious effort to build bridges across theoretical divides, fostering a more unified and collaborative approach to understanding and addressing the challenges of international relations.

Integrating world history into International Relations (IR) and aiming to recapture a vision of international systems as a grand theory represent an ambitious and significant shift in the approach to studying global affairs. This perspective underscores the importance of historical context in understanding the evolution and dynamics of international systems, advocating for a more comprehensive and holistic view of IR. Integrating world history into IR involves recognizing that current international systems, institutions, norms, and power dynamics have been shaped by historical processes. This approach acknowledges that the state-centric system, global economic patterns, and political ideologies are the products of historical developments, including colonialism, industrialization, wars, and cultural exchanges. By studying these historical trajectories, IR scholars can gain deeper insights into why the international system operates as it does today and how it might evolve in the future.

Moreover, a historical approach allows for a more nuanced understanding of non-Western perspectives and experiences, which have often been marginalized in traditional IR theory. This includes exploring the impact of imperialism and decolonization on state formation and international relations in the Global South, as well as understanding the roles of non-European empires and civilizations in shaping world history. Recapturing a vision of international systems as a grand theory means striving for an overarching framework that can explain the broad patterns and structures of international relations across different eras and contexts. This grand theory would aim to synthesize insights from various IR theories and historical analyses to offer a comprehensive understanding of how global politics work. It would address the power dynamics between states, the roles of non-state actors, the influence of economic and cultural factors, and the impact of technological and environmental changes.

To develop such a grand theory, IR scholars would need to engage in interdisciplinary research, drawing on insights from history, sociology, economics, political science, and other relevant fields. This would involve not only examining the historical roots of current international phenomena but also considering how historical patterns might inform future developments. Integrating world history into IR and working towards a grand theory of international systems represent a call for a more expansive and inclusive approach to studying global politics. This approach recognizes the value of historical context in understanding the complexities of the international arena and seeks to develop a comprehensive theoretical framework that can explain the intricacies and dynamics of global affairs, both past and present.

Appendici

Riferimenti