« Sicurezza e relazioni internazionali » : différence entre les versions

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Al centro di questa proposta ci sarà il concetto di sicurezza umana.
Al centro di questa proposta ci sarà il concetto di sicurezza umana.


{{citation bloc|Il concetto di sicurezza è stato interpretato troppo a lungo in modo restrittivo, limitandolo alla sicurezza interna contro le aggressioni esterne, alla protezione degli interessi nazionali all'estero o alla sicurezza del pianeta contro la minaccia di un olocausto nucleare. Si applicava più agli Stati nazionali che ai singoli individui.|PNUD, ''Rapporto sullo sviluppo umano'',1994<ref>Human Development Report 1994. New York: Oxford UP for the United Nations Development Programme (UNDP), 1994</ref>}}
{{citation bloc|Il concetto di sicurezza è stato interpretato troppo a lungo in modo restrittivo, limitandolo alla sicurezza interna contro le aggressioni esterne, alla protezione degli interessi nazionali all'estero o alla sicurezza del pianeta contro la minaccia di un olocausto nucleare. Si applicava più agli Stati nazionali che ai singoli individui.|PNUS, ''Rapporto sullo sviluppo umano'',1994<ref>Human Development Report 1994. New York: Oxford UP for the United Nations Development Programme (UNDP), 1994</ref>}}


L'interpretazione del PNUS è restrittiva, sostenendo che d'ora in poi l'oggetto della sicurezza deve essere l'individuo. L'individuo sostituisce lo stato come oggetto di sicurezza. L'importante è che l'individuo si senta sicuro. I due termini che emergono più spesso sono l'idea che l'essere umano deve essere libero dalla paura e dal bisogno come individuo. Una delle implicazioni fondamentali di tale approccio è che quando l'oggetto della sicurezza diventa l'individuo, la sovranità dello Stato non è più un diritto inalienabile, ma la sovranità diventa una forma di responsabilità.  
L'interpretazione del PNUS è restrittiva, sostenendo che d'ora in poi l'oggetto della sicurezza deve essere l'individuo. L'individuo sostituisce lo stato come oggetto di sicurezza. L'importante è che l'individuo si senta sicuro. I due termini che emergono più spesso sono l'idea che l'essere umano deve essere libero dalla paura e dal bisogno come individuo. Una delle implicazioni fondamentali di tale approccio è che quando l'oggetto della sicurezza diventa l'individuo, la sovranità dello Stato non è più un diritto inalienabile, ma la sovranità diventa una forma di responsabilità.  

Version du 26 mai 2020 à 16:17


Utilizzeremo il concetto di sicurezza per mobilitare elementi dei temi precedenti. Per comprendere i problemi di sicurezza, sono necessari una serie di strumenti che vanno oltre un approccio più intuitivo o di buon senso.

Sicurezza: nozioni di base

Un concetto contestato

Non esiste una definizione di sicurezza condivisa. La definizione stessa di sicurezza è una questione centrale negli studi sulla sicurezza. La questione della definizione è fondamentale per gli studi sulla sicurezza.

In Security pubblicato nel 2009[9], Zedner dimostra che la sicurezza è un concetto con molteplici significati. Dobbiamo guardare alla sicurezza in quattro modi diversi, che sono quattro modi di affrontare l'argomento:

  • uno stato obiettivo: siamo di fronte a minacce e dobbiamo gestire queste minacce per essere sicuri. Si tratta di uno stato oggettivamente definito. Per esempio, quando un carro armato tedesco attraversò il confine francese nel 1940, l'oggetto era una minaccia alla sovranità e all'integrità territoriale della Francia. Esiste un rapporto funzionale con la sicurezza che implica che le minacce devono essere combattute per garantire la sicurezza;
  • uno stato soggettivo: la situazione dello stato oggettivo non è sufficiente, perché il sentirsi sicuri può, a seconda del contesto e della persona, essere molto più soggettivo, richiamando in particolare il sentimento di insicurezza. Non è un oggetto che automaticamente è una minaccia. La sicurezza è anche uno stato soggettivo; è qualcosa che vogliamo raggiungere, che sarebbe un "sentimento" di sicurezza. Sicurezza deriva dal termine latino "securitas" che deriva dal termine greco ataraxia che significa sicurezza interna.

Quando si parla di sicurezza oggettiva o soggettiva, in entrambi i casi si parla di uno stato. La sicurezza va di pari passo con la nozione di sicurezza. Uno stato di sicurezza è relativamente insoddisfacente come oggetto, perché è uno stato che deve essere raggiunto. La sicurezza non è uno stato.

  • nella ricerca della sicurezza: è tutto ciò che ci porta a raggiungere questo stato di pienezza e di tranquillità. Ci rendiamo conto che quando percepiamo la sicurezza come un inseguimento, essa apre la porta a molte domande e dubbi sull'idea di raggiungere sempre quello stato. Finché si tratta di un inseguimento, ci si chiede, per esempio, cosa ci permetterà di raggiungere lo stato di sicurezza. Fare sicurezza può rendere possibile fare delle cose, essere utile. Per i militari alla fine della guerra fredda, poter relegare il loro modo di essere permette loro di esistere attraverso nuove minacce. Ci rendiamo conto che la sicurezza diventa una ragione d'essere che porta benefici che legittimano certi attori;
  • un simbolo potente: la sicurezza diventa una merce, un prodotto e una merce. L'esempio del sistema di allarme antifurto richiede l'uso di persone che vendono sicurezza e la sensazione di insicurezza. L'acquisto di un sistema di allarme non ti fa necessariamente sentire più sicuro.

La sicurezza è un concetto intersoggettivo che farà parte di processi che riuniranno una serie di attori e pratiche.

Deregolamentazione di un concetto: verso approcci critici per la sicurezza

Ci si deve chiedere se la sicurezza sia un monopolio delle relazioni internazionali. Per molto tempo, coloro che si sono interessati all'oggetto della sicurezza sono stati interessati alla disciplina delle relazioni internazionali. Il più delle volte era il business delle relazioni internazionali, ma era anche il business dei neorealisti.

Il predominio dell'approccio neorealista ha creato un gran numero di studi. Per Walt in The Renaissance of Security Studies[10] pubblicato nel 1991, il focus della sicurezza è "facile da identificare... è la guerra". Se parliamo di sicurezza, parliamo di gestire la minaccia della guerra. La definizione di sicurezza a quel tempo era una definizione di sicurezza incentrata sullo stato e militare che ha prevalso fino agli anni Novanta. Lavorare sulla sicurezza durante la guerra fredda riguarda le cause della guerra, ma anche come gestire un dilemma di sicurezza, d'altra parte, siamo interessati alla questione nucleare. Questo è un campo che verrà gradualmente messo in discussione, soprattutto l'egemonia neorealista.

Alcuni autori attaccano la sicurezza come monopolio dei neorealisti. In People, States & Fear: The National Security Problem in International Relations[11] pubblicato nel 1983, Buzan dice che la sicurezza non è solo l'oggetto dell'esercito, perché altre cose minacciano altri oggetti, quindi il concetto deve essere ampliato. Fleuris, da lì molti studi che cercheranno di aprire il concetto di sicurezza come Critical Security Studies. Concepts and Cases[12] pubblicato nel 1997 da Krause & Williams. Stiamo assistendo a un ampliamento e a un approfondimento della sicurezza:

  • questo periodo vede l'emergere in particolare della sicurezza ambientale. Anche la sicurezza sta diventando economica. Nella grammatica della sicurezza, le cose minacciano un oggetto.
  • la sicurezza può anche essere regionale con il concetto di complesso di sicurezza.
  • un'altra forma di sicurezza è un approfondimento del concetto in cui l'oggetto della sicurezza non è più lo stato ma l'individuo. Si tratta di un grande cambiamento, perché l'obiettivo della sicurezza non è quello di assicurare uno stato. Prendere l'individuo come oggetto di sicurezza trasforma la percezione della sicurezza. La più potente di queste sfide è quella di mettere l'individuo al centro.

Sicurezza umana

Al centro di questa proposta ci sarà il concetto di sicurezza umana.

« Il concetto di sicurezza è stato interpretato troppo a lungo in modo restrittivo, limitandolo alla sicurezza interna contro le aggressioni esterne, alla protezione degli interessi nazionali all'estero o alla sicurezza del pianeta contro la minaccia di un olocausto nucleare. Si applicava più agli Stati nazionali che ai singoli individui. »

— PNUS, Rapporto sullo sviluppo umano,1994[13]

L'interpretazione del PNUS è restrittiva, sostenendo che d'ora in poi l'oggetto della sicurezza deve essere l'individuo. L'individuo sostituisce lo stato come oggetto di sicurezza. L'importante è che l'individuo si senta sicuro. I due termini che emergono più spesso sono l'idea che l'essere umano deve essere libero dalla paura e dal bisogno come individuo. Una delle implicazioni fondamentali di tale approccio è che quando l'oggetto della sicurezza diventa l'individuo, la sovranità dello Stato non è più un diritto inalienabile, ma la sovranità diventa una forma di responsabilità.

È un'agenda che cerca di trasformare una concezione della sicurezza perché si basa sulla premessa che la sicurezza può fare le cose. La sicurezza è eminentemente politica. Come mobiliteremo la sicurezza e cosa può fare la sicurezza per ottenere qualcosa? L'idea è quella di ottenere una trasformazione dell'agenda della sicurezza.

Questa idea ha avuto un certo successo. Bisogna considerare la sicurezza umana come un tentativo relativamente riuscito di usare la sicurezza nel senso che c'è la volontà di trasformare il programma di sicurezza. I paesi che hanno investito di più nella sicurezza umana sono la Norvegia, il Giappone e il Canada. Anche in Svizzera, presso il Dipartimento degli affari esteri, una visione è dedicata alla sicurezza umana. Per alcuni, la sicurezza umana è un concetto di media potenza. Tuttavia, si tratta di un concetto che ha avuto successo all'interno dei singoli Stati. Nella sicurezza umana c'è la volontà di influenzare i processi politici con l'idea di trasformare il significato di sicurezza.

Quando pensiamo alla sicurezza, c'è un'evoluzione non necessariamente lineare. Si moltiplicano le questioni legate alla sicurezza, come l'ambiente, le popolazioni e le malattie.

La centralità politica della sicurezza

Penser en termes de sécurité est penser comme un acte naturel. Il y a des moments où nous sommes mis en menace et il faut faire des choses qu’on ne ferrait pas d’habitude. Cela rend l’objet de la sécurité extrêmement fascinant. Par exemple, dans les démocraties vont avoir lieu des pratiques non-démocratiques.

Dans Security! What Do You Mean? From Concept to Thick Signifier[14] de Huysmans publié en 1998, il y a des situations où il n’est pas innocent de faire appel à la notion de sécurité. Si on analyse la réaction étasunienne suite aux événements du 11 septembre, c’est une réaction sécuritaire forte. Dans les années 1990, la France, suite à une série d’attentats, a préféré une gestion collective de la menace. Choisir une réponse spécifique n’est pas parce que c’est la réponse qui déboucle de la menace, mais il y a un choix de discours rhétorique et d’autre part la notion de sécurité permet de faire des choses.

Lorsqu’on commence à identifier une menace, on fait deux choses :

  • objectifier une angoisse sociétale : toute forme d’autorité produit une réponse à la menace. La sécurité a pour fonction de rendre réelles des craintes, des incertitudes et des anxiétés; on donne un sens concret aux menaces. Il est important de comprendre ce que la sécurité fait parce qu’elle à une fonction d’identifier et de rendre réel des choses qui ne sont pas nécessairement évidentes.
  • fonction d’ordonnancement : la sécurité va catégoriser, classifier, mais aussi définir la menace. La sécurité offre un prisme sur quelles sont les normes précisément parce qu’elle classifie et hiérarchise ce qui n’est pas normal.

Ce sont deux manières différentes de comprendre la sécurité comme un acte politique. La première dimension est que c’est un acte politique parce que c’est un acte nécessaire. Pour Huysmans, faire référence ou en appeler à la « sécurité » est toujours un acte politique, il n’est « ni innocent, ni neutre, ni inévitable ». Concrètement, la sécurité fait deux choses :

  • création d’un état hors du normal : on sort de la normalité politique avec un potentiel discours de délégitimation de la contestation parce que la sécurité est mobilisée pour sauver et faire face à une menace. On sort du normal.
  • mobilisation de ressources : lorsqu’on parle de la sécurité, il y a une capacité de mobilisation beaucoup plus forte que la norme. La guerre est un événement rare qui appel à la mobilisation de ressources humaines, matérielles, mais aussi idéelles qui vont au-delà de ce que l’on fait normalement. S’il s’agit d’un moment où il y a une capacité de mobiliser des forces et des ressources afin de répondre à un problème.

La sécurité peut être positive. Si on réfléchit en termes de comment la sécurité est pensée, on se rendre compte dans quelle mesure elle ouvre ou ferme une société. Faire appel à la sécurité est ouvrir la dimension de l’exception. En d’autres termes, la tension est celle de savoir si l’appel à la sécurité permet d’ouvrir ou de fermer la société.

Sécurité : condition de possibilité ou d’impossibilité

On peut voir la sécurité comme une condition de possibilité ou d’impossibilité. Lorsqu’on fait appel à la sécurité, on appelle à une suspension temporaire de l’état de droit. Guantanamo et Lampedusa sont des systèmes concentrationnaires d’un côté avec des personnes classifié comme terroriste et de l’autre comme une menace en tant que migrants. On ne s’attend pas à ce que l’État crée des systèmes concentrationnaires pour des délits mineurs. Toutefois, peu de personnes s’élèvent contre Guantanamo et Lampedusa parce que ce sont des individus qui sont présentés comme hors du normal. Les migrants sont présentés comme des potentielles personnes qui vont s’en prendre aux emplois.

L’État a un pouvoir discrétionnaire d’estimer comment les individus agissent par rapport aux autres. Par exemple, la frontière est un objet de différenciation. L’exception est souvent la norme, mais on ne la perçoit pas parce qu’elle ne nous est pas appliquée, mais les pratiques de l’État sont des pratiques où l’État s’arroge le droit de choisir qui est bon, ennemi et qui n’a pas besoin de se justifier. Guantanamo et Lampedusa nous amènent à réfléchir par rapport à l’autre et alors que souvent la logique sécuritaire va s’appliquer à tous comme c’est le cas de la NSA. Dans ce cas, la sécurité peut être justifiée comme préventive dans le cas d’une menace potentielle.

Un exemple est de comment la notion de sécurité permet de faire des associations d’idées qui n’ont pas de rapport entre elles. La sécurité crée une transitivité entre des domaines qui ne sont pas liés comme le souligne Bigo. Cela ferme la société. Les raisonnements sécuritaires créent des associations qui se répercutent souvent dans la presse. Cela amène à des réactions avec la création d’institutions afin de faire face à ce qui était avant. Les institutions ne s’effacent pas rapidement, mais restent.

Comme par rapport à la sécurité humaine, il y a des courants comme l’école galloise venant principalement de Aberystwyth ayant une vision critique liée à l’école de Francfort. Cette école va dire que la sécurité est fondamentalement quelque chose de bien. Les individus ont besoin d’un socle sur lequel se construire. L’école galloise s’intéressait à essayer de transformer l’idée de sécurité. Lorsqu’on pense sécurité, on dit « État », mais de quoi est constitué un État ? Un État est constitué de gens.

Pour Wyn Jones dans Security, Strategy and Critical Theory[15], il est possible parce que in fine la sécurité est liée au « corps, à l’existence matérielle et aux expériences des êtres humains. La sécurité devient un moment de possibilité pour Booth dans Security and Emancipation, parce qu’elle permet l’émancipation en « libérant le peuple (en tant qu’individus et groupes) des contraintes physiques et humaines les stoppant de faire ce qu’ils choisiraient de faire librement. [..]. L’émancipation, et non le pouvoir ou l’ordre, produit la vraie sécurité. L’émancipation, théoriquement, est sécurité ». Apparaît un contraste avec à une définition liée à l’État. C’est un rapport top-down dans une vision bottom-up, car c’est à travers l’individu que l’État va être jugé dans ses fonctions.

Il faut voir qu’il y a un changement quasiment paradigmatique de ce qu’est la sécurité. Avant, la sécurité dans le cadre du contrat social était quelque chose que l’État donnait. Désormais, la sécurité n’est plus quelque chose à laquelle on a le droit parce qu’on est citoyen, mais c’est parce qu’en tant qu’être humain on a une qualité propre que l’État qui est dans le devoir de nous protéger. Avant, il y avait un intervenant qui faisait que l’État allait devoir agir vis-à-vis de l’individu. Avec le changement paradigmatique, cela permet à toutes et tous, individus ou groupes, d’avoir une garantie universelle et globale à être dans une situation où l’émancipation est possible. On peut entrer sur une forme de gouvernance globale basée sur la notion de sécurité qui peut être positive.

Bilan

Définir et réfléchir sur comment on comprend la sécurité est un enjeu donne les clefs pour définir la sécurité. La sécurité est un concept contesté dont la définition est un enjeu central. Le concept de sécurité en relations internationales s’est progressivement ouvert vers de nouveaux espaces. La sécurité́ peut être centrée sur le peuple, l’individu, mais aussi liée à des enjeux militaires, à l’environnement ou encore à la santé.

La sécurité est une condition de possibilité du politique ainsi que sa limite et il y a une tension entre ces deux moments. Il peut y avoir un enjeu derrière la limitant à certains concepts. La sécurité possède un potentiel émancipateur en tant que concept ou pratique d’une part, et d’autre part, la sécurité possède un potentiel dystopique en tant que concept ou pratique. La sécurité est une pratique et un discours légitimant.

Sécurité : enjeux analytiques

Sécurité comme acte de parole

Le langage ne reflète pas la réalité politique et sociale, mais cette dernière est la résultante du langage. Parmi toutes les approches qu’il a pu y avoir en termes de philosophie du langage, une approche a eu beaucoup de succès en science sociale qui est l’approche par acte de parole élaboré par Austin en 1962 dans son ouvrage How to do things with words[16]. Cela renvoi à l’idée de « dire, c’est faire ».

Un acte de parole est que lorsque quelqu’un dit quelque chose, un effet peut être produit par une réaction dans un contexte spécifique. En d’autres termes, un acte de parole produit des effets dans certains contextes s’il est émis par un émetteur spécifique et qu’il est accepté par un public. Un acte de parole produit des effets.

L’approche de sécurisation/sécurisation appelée en anglais « securitization » se base sur l’idée que certains acteurs ont la capacité de dire la sécurité et dire une menace et que par la même ils créent la situation de sécurité. Il n’y a pas d’objet matériel qui puisse être objet de sécurité. Tout peut être sécurisé à partir du moment où il y a une interaction entre un émetteur spécifique et un public. Dans un acte de parole, il faut prêter attention au public puisque l’acte de parole va être évalué par le public. L’approche de sécurisation est un processus. Par l’acte de parole, on crée des objets référant qui vont définir comment on va agir par rapport à cet objet. C’est une situation intersubjective où il y a une relation entre un émetteur qui dit la sécurité et quelqu’un qui est en accord ou en désaccord.

L’école de Copenhague part du principe que si l’acte de parole produit de la sécurité alors on se retrouve dans une situation. Comme c’est un processus allant de non-sécurité à sécurité, alors on peut partir du principe qu’on peut désécuriser. Une fois que quelque chose est devenu un objet de sécurité, alors il est possible de le désécuriser.

La sécurisation

Dans Security. A new framework of analysis publié en 1998 et rédigé par Buzan, Barry, Ole Wæver, Jaap de Wilde, est postulé qu’« étudier la sécurisation est étudier le discours et des constellations politiques: quand est-ce qu’un argument, possédant une structure rhétorique et sémiotique spécifique, atteint suffisamment d’effet pour faire tolérer à un public des violations de règles qui devraient être suivies en temps normal? Si par le biais d’un argument sur la priorité et l’urgence d’une menace existentielle, l’acteur sécurisant a réussi à se libérer des procédures ou règles, il ou elle aurait normalement suivi, nous nous trouvons face à un cas de sécurisation ». Produire la sécurité et produire un effet concret qui est celui de retirer de la sphère publique quelque chose. Si on arrive à la solution de sécurité, c’est qu’il y a eu des débats dans lesquels des arguments sont produits. C’est l’idée dans laquelle on peut discuter de tout et tout le monde a les capacités de débattre. C’est l’idée qu’il y a une sphère publique ouverte à laquelle tout le monde peut avoir accès. L’idée de sécurisation est l’idée que si on dit sécurité alors on va créer une situation où on va pouvoir utiliser les moyens à disposition afin de réduire cette menace. Analytiquement, on essaie de comprendre ce qui se passe : qui dit quoi, quand, où, comment.

Quelles sont les institutions qui ont la capacité de produire le discours sécuritaire ? La théorie fait penser que tout le monde serait capable de le faire. L’important est de savoir qui a le capital afin de pouvoir dire la sécurité. L’un des acteurs premiers est l’État ou encore la figure de l’expert. Pas tout le monde peut dire la sécurité et notamment parler c’est s’exposer à l’insécurité. La vision traditionnelle de la sécurité est que ceux qui ont le pouvoir en sont capables.

L’objet référent dans Security. A new framework of analysis[17] sont des « choses qui sont vu comme étant existentiellement menacée et qui possèdent une demande légitime à la survie ». Un objet référent peut être menacé et cela peut être à peu près n’importe quoi. Cela est devenu une industrie. Il faut aussi voir les mesures d’exceptions produites à travers la production de la sécurité.

D’un point de vue de la sécurité, l’idée de migration dans jusque dans les années 1980 était traité du point de vue économique c’est-à-dire en tant que main d’œuvre. Il n’était pas question de savoir si les migrants étaient une menace pour la société. Au début des années 1980 et des années 1990, certains partis politiques vont faire des migrants un objet référent. L’acte de parole est de dire que « la barque est pleine », de dire que la société est danger à cause de la menace identifiée qui est la migration. Le fait que ces populations sont construites comme une menace a une répercussion sur la façon dont de objets politiques vont être adoptés. L’objet de « migration » est passé d’un traitement « normal » à un traitement de l’ordre de « l’exception ». Des acteurs ont la capacité de créer un objet comme un objet de sécurité, mais aussi de transformer un domaine de nono-sécuritaire à sécuritaire avec un certain nombre d’étapes.

Nous sommes menés à nous interroger sur 'qui peut produit la sécurité ?' il y a un biais euro-centré de dire que tout le monde peut s’exprimer. Il y a une dimension légitimatrice relevant d’un accord entre l’émetteur et un public. Une situation d’exception n’est pas une dérive de l’État, mais un accord que le public a donné à l’État, c’est un blanc-seing donné à l’État. D’autre part, nous sommes amenés a nous demander si 'quoi peut être sécurisé ?' S’il y a des limitations sur qui peut produire la sécurité, on peut commencer par réfléchir de savoir s’il n’y a pas des gens capables de définir l’objet. Sont-ils liés à des logiques de produire des biens communs ou liés à des groupes qui visent à produire de l’insécurité ?

Dans la théorie austinienne, on parle de perlocution. C’est lorsque le public réagit à ce qu’il a été invité à faire. L’idée de sécurisation est l’idée que le public et la population sont en accord. Il faut s’interroger sur la manière d’identifier, de mesurer, ce qui est extrêmement difficile. Un des seuls moyens est le cas suisse puisqu’il y a des votations régulières et des acteurs comme l’UDC qui peuvent produire une menace. Dans un cadre extrêmement spécifique et des cultures spécifiques, cela est possible, mais la plupart des pays n’ont pas ces moyens-là.

Le problème de cette approche est qu’intuitivement, cela semble logique, mais analytiquement, on se rend compte que cela est extrêmement difficile. C’est un cadre analytique difficilement opérationnalisable, mais paradoxalement cela a eu beaucoup de succès. L’importance d’un public est que cela jette un regard sur une approche intersubjectif, mais analytiquement on se rend compte que peut être tout ceci est un peu une illusion et cette approche n’est qu’une approche sophistiquée de dire ce qu’est la menace.

Comment analyse-t-on la production de sens lorsqu’on est face à un matériel qui n’est pas des mots ? Comment fait-on sens de quelque chose qui n’est pas linéaire, mais une floraison de production sémantique liée à une production d’image ? Hansen dans Theorizing the image for Security Studies: Visual securitization and the Muhammad Cartoon Crisis[18] publié en 2011 essaie de comprendre comment les dessins de presse danoise sur le prophète Mahomet ont eu des effets de type sécurisant.

La sécurité comme pratique

La sécurité occupe une place très importante dans notre quotidien que cela soit dans les médias ou même en termes de marchandise.

Il y a une approche sociologique qui s’inscrit en relations internationales dans la sociologie politique des relations internationales qui a comme point d’entrée un certain désaccord. Le fait de partir d’un autre point s’adresse à la question de la production du sens de la sécurité. Ce désaccord avec la théorie de la sécurisation met le focus sur le fait que d’avoir des hommes politiques qui parlent sur ce qu’est la sécurité vont produire de la sécurité est un discours trop simpliste dans le sens ou cela ne rend pas justice à la complexité de ces processus de sécurisation.

Le point de départ est de se demander pourquoi n’a-t-on pas une hiérarchie aussi déconnectée de la réalité. Cela montre que les choses sont un peu plus compliquées entre des phénomènes matériels. Quelque part, il y a une médiation qui se passe entre la matérialité de ces évènements et la manière dont ils apparaissent dans les agendas. L’idée est de s’interroger sur comment cela marche et comment et produit le sens de la sécurité. Il faut s’interroger sur les professionnels de la sécurité qui vont s’inscrire dans un espace social qui est le champ de la sécurité.

La théorie scientifique remet en question de savoir ce qu’est une théorie de la sécurisation. C’est en disant des choses qu’elles deviennent. On se rend compte que si on veut s’intéresser aux professeurs de socialisation, elles engagent certaines parties. Cela peut être simplifié lorsqu’on se rend compte que des problématiques peuvent être à la fois discursive et non-discursive. Par non-discursive on entend par exemple le savoir-faire des professionnels. L’idée est que l’on rentre dans une conception des pratiques qui dépasse une logique discursive. On entre aussi dans l’histoire. Le fait que certains principes historiques informent des agents va aussi contribuer à déterminer ce qu’est une question de sécurité légitime. Pour Bigo dans Security and immigration: toward a critique of the governmentality of unease[19], il faut « étudier les conditions sociales permettant la performativité des énoncés d’(in)sécurisation ainsi que les pratiques quotidiennes des agents sociétaux ». Sans prendre en compte les conditions sociales, on ne peut pas prendre en compte ce qu’est un processus de sécurisation.

La définition des pratiques est une forme de routinisation. Dans Toward a Theory of Social Practices. A Development in Culturalist Theorizing[20] publié en 2002, Reckwitz définit les pratiques comme « routinized [...] forms of bodily activities, forms of mental activities, ‘things’ and their use, a background knowledge in the form of understanding, know-how, states of emotion and motivational
knowledge ».

Autant, dans la théorie de la sécurisation, on va sécuriser une question en la sortant du politique, ici, on est dans une conception ou sécurité et insécurité sont indissociablement liées. Dans une approche foucaldienne, il n’y a pas l’un sans l’autre. On ne peut pas produire de la sécurité sans produire de l’insécurité. Du moment où on s’intéresse à la sécurité comme pratique, on est dans la constitution du sens de ce qu’est la sécurité, on va regarder des pratiques non-discursives mais aussi regarder les agents qui pratiquent de la sécurité s’inscrivant dans un espace précis qui est un champ de la sécurité. Il y a l’idée d’une division du travail entre ceux qui pratiquent et ceux qui l’étudient. Pour Balzacq, Basaran, Bigo, Olsson dans Security Practices, « Securitization consists of practices which instantiate intersubjective understandings and which are framed by the habitus inherited from different social fields ».

La fusion entre la sécurité interne et externe

Il faut s’intéresser sur la question de la fusion de la sécurité interne et externe. Il y a une dérégulation, de la sécurité touchant à d’autres champs de pratique que le domaine militaire comme le champ environnemental, le développement, l’humanitaire, l’environnement. Dans une approche sociologique par les acteurs soit des agents sociaux, on va regarder la sécurité différemment. Ce qui apparait comme transformation principale est l’idée qu’on a la remise en question de la distinction consécutive de la fabrique de la sécurité : interne policé v. externe anarchique. Au fil du temps, ce sont différenciées certaines pratiques : les affaires intérieures c’est la police et les affaires extérieures c’est l’armée.

L’observation que Bigo qu’a fait est d’observer qu’à terme, depuis les années 1970 et surtout depuis la fin de la Guerre froide, il y a une logique de dédifférenciation de ces pratiques. Il y a une logique de dérégulation. C’est l’observation d’un phénomène qui a débuté il y a un certain temps, mais surtout c’est une vue de l’esprit qui n’a jamais été hermétique. Il est intéressant de parler en termes de dédifférenciation parce que c’est une distinction qui s’érode.

Le terrorisme est un lieu de ce mélange des genres. À partir du moment où le terrorisme s’est posé comme un objet à gérer, les gens en charge se le sont approprié. Au 11 septembre, la réponse américaine a été militaire alors que la réponse européenne fut policière. Dans les pays om les événements sont arrivés les réponses vont être différente. Autour de la question du terrorisme vont se déployer différents savoir-faire, différentes personnes qui proposent leur façon de lutter contre ces menaces qui sont des définitions transnationales. Il y a un rôle joué par la transnationalisation des pratiques de gestion de la menace. Les pratiques contre-interactionnelle soulèvent un cadre d’analyse. Les pratiques contre-interactionnelle suite au 11 septembre vont revenir en interne. Si on pratique la contrinsurrection en matière de terrorisme en Afghanistan, il n’y a aucune raison de ne pas les réimporter sur le territoire national.

Les logiques des professionnelles et des praticiens de la sécurité ne sont pas nécessairement les mêmes de ce qui se passe dans le monde. On a à faire à des gens dont la profession est de faire de la sécurité. Chaque métier se retrouve dans des considérations sociales avec des enjeux propres à chaque métier. Il y a un décalage entre les phénomènes sociaux que l’on peut étudier d’avec l’espace social dans lequel sont produites ces réponses. La réaction d’une agence de sécurité à une menace ou une situation n’est jamais automatique. L’espace fait de médiation par rapport à la réponse à apporter aux problèmes.

Les professionnels de la sécurité

Il faut s’intéresser aux agents et aux experts de la sécurité. Cette approche met tous les acteurs qui font de la sécurité dans un espace commun. Intervient la théorie des champs de Bourdieu qui est un espace social au sein duquel tout le monde joue un jeu commun et/ou tout le monde partage un sens du jeu et la sécurité fonctionnerait de la même manière.

Si Bigo dans La mondialisation de l'(in)sécurité ? Réflexions sur le champ des professionnels de la gestion des inquiétudes et analytique de la transnationalisation des processus d'(in)sécurisation se permet une si forte intuition c’est parce que cela est lié a une transformation des pratiques de la sécurité dans un contexte de globalisation de la sécurité. Ce n’est pas que les phénomènes de sécurités sont objectivement globaux, c’est plutôt de se dire qu’opère à travers des questions notamment de terrorisme, un espèce de jeu global de la sécurité. Apparaissent des guildes transnationales des professionnels de la sécurité. La sécurité fonctionne beaucoup par métier et les gens de ce métier sont en relations entre eux. Du moment qu’un jeu se globalise, il va y avoir des réseaux d’acteurs de la sécurité qui vont se constituer et devenir de plus en plus important dans les luttes démocratiques et les façons de travailler.

Se constitue à terme l’espace transnational qui n’est pas forcément connecté à l’état réel de la menace. L’enjeu de cet espace dans lequel on peut positionner tout le monde est d’avoir la légitimité de dire ce qui est dangereux de pouvoir affirmer ce qui est plus dangereux qu’autre chose. Cette légitimité vient de la possession de certains capitaux et de certaines ressources. Dans la logique globalisée et le champ transnational de la sécurité, ceux qui vont être le plus sécurité sont ceux qui ont des ressources de connexions se basant sur un savoir-faire ou des connaissances spécifiques comme l’utilisation des données et des technologies qui va permettre soi-disant de gérer au mieux les problèmes d’aujourd’hui et cela et plus certains métiers que d’autres.

Lorsque l’idée de Schengen s’est mise en place, il y a eu l’ambition d’instaurer la liberté de circulation pour tous les citoyens de l’Union européenne. Se pose la question de la gestion des flux de circulation d’individus. Cela va donner un rôle prépondérant à Interpol reflétant une vision bien spécifique d’un métier de la sécurité qui est celui de faire de l’échange d’information et du fichage. Schengen a été fait par des gens dont le métier est de dire que les frontières est le monde d’avant et qu’il est plus efficace de mobiliser les technologies pour trier les flux qui passent. Il y a une réponse qui est propre aux enjeux d’un espace social qui est celui de sécurité.

Le problème est qu’il y a des effets politiques. Le fait de décider comment hiérarchiser la menace à des résultats assez catastrophiques parce qu’on a constitué un continuum de la sécurité en liant certaines problématiques qui étaient une façon de voir de certaines personnes. En imposant leur vision du métier, ils ont contribué à instaurer une situation où il y a toute une série de menaces qui convergent sur la figure de l’étranger. L’effet politique ultime est de générer de l’exclusion en mettant à l’écart une population pour faire qu’une certaine population puisse circuler librement. Si aujourd’hui la figure de l'immigré est si centrale, c’est peut être parce qu’on a une convergence avec d’autres phénomènes dont celui du processus de sécurisation.

Sintesi

La sécurité est un processus: quelque chose, quelqu’un est sécurisé ou dé-sécurisé. D’autre part, la sécurité tend à dépolitiser même si elle peut avoir des effets positifs. Cela nous amène à nous interroger sur qui produit la sécurité? Qu’est-ce qui peut être sécurisé? De plus, il y a une universabilité du cadre analytique qui met en exergue un
besoin d’étendre l’analyse aux pratiques non-discursives.

Annessi

  • Baylis, John. "The concept of security in international relations." Globalization and Environmental Challenges. Springer, Berlin, Heidelberg, 2008. 495-502.

Referenze

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  2. Page personnelle de Stephan Davidshofer sur le site du Geneva Centre for Security Policy
  3. Compte Twitter de Stephan Davidshofer
  4. Page de Xavier Guillaume sur Academia.edu
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  6. Page personnelle de Xavier Guillaume sur le site de Science Po Paris PSIA
  7. Page de Xavier Guillaume sur Academia.edu
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