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Questo fatto non detto, e la distinzione tra relazioni internazionali e scienza politica, viene forse riprodotto di nuovo. Ci troviamo spesso di fronte a persone in più posizioni in cui gli investimenti a livello internazionale dipenderanno spesso da un approccio nazionale. La questione di fondo è come la globalizzazione impone le idee, ma anche come combatterle. Così, ci sono fatti di potere nella globalizzazione, certe strategie generano effetti di potere e permettono la circolazione di certe idee.
Questo fatto non detto, e la distinzione tra relazioni internazionali e scienza politica, viene forse riprodotto di nuovo. Ci troviamo spesso di fronte a persone in più posizioni in cui gli investimenti a livello internazionale dipenderanno spesso da un approccio nazionale. La questione di fondo è come la globalizzazione impone le idee, ma anche come combatterle. Così, ci sono fatti di potere nella globalizzazione, certe strategie generano effetti di potere e permettono la circolazione di certe idee.


==Découplage==
==Disaccoppiamento==
Avec le néo-institutionnalisme, on étudie la circulation internationale de l’expertise. Avec la thèse de Meyer intitulé ''World Society and the Nation‐State''<ref>Meyer, Ohn W., John Boli, George M. Thomas, and Francisco O. Ramirez. "World Society and the Nation‐State." American Journal of Sociology 103.1 (1997): 144-81.</ref>, on est censé dépasser à la fois l’écueil de l’interétatique seul et de la globalisation qui anticipe le déclin des frontières. Les normes globales s’imposent, car se basent sur un socle commun. On est dans une volonté d’essayer de comprendre comment circulent les savoir-faire, mais on est dans une forme de « magie » de par qui cela passe et comment cela se diffuse.
Con le néo-institutionnalisme, stiamo studiando il flusso internazionale di competenze. Con la tesi di Meyer dal titolo''World Society and the Nation‐State''<ref>Meyer, Ohn W., John Boli, George M. Thomas, and Francisco O. Ramirez. "World Society and the Nation‐State." American Journal of Sociology 103.1 (1997): 144-81.</ref>, dobbiamo superare sia la trappola del solo interstatale che quella della globalizzazione, che anticipa il declino dei confini. Gli standard globali sono necessari perché si basano su una base comune. C'è la volontà di cercare di capire come circola il know-how, ma c'è una sorta di "magia" in chi lo trasmette e come viene diffuso.


==Van der Pijl – global rivalries==
==Van der Pijl – global rivalries==
Dans ''Global Rivalries From the Cold War to Iraq''<ref>Pijl, Kees Van Der. Global Rivalries from the Cold War to Iraq. London: Pluto, 2006.</ref>, la thèse de Van der Pijl est intéressante, car elle a la mérite de dépasser les thèses des Harts et Negri sur une absorption de l’État au profit d’un dispositif impérial. Il historicise son argument en disant qu’au niveau global on est dans une longue histoire de compétition entre deux modèles d’États qui s’opposent toujours dans l’espace international. Cette thèse d’inspiration marxiste s’intéresse aux enjeux entre les bourgeois et les élites. D’un côté, il y aurait l’État libéral anglo-saxon, de l’autre, l’État prussien. Cette thèse a quelque chose d’intéressant qui est que, comme par hasard, les pays qui s’en sont bien sortis dans ces dernières décennies sont les pays qui ont adopté un État prussien avant de se transformer en un État libéral. Des États vont se construire plus récemment et devenir des États libéraux dans le cadre d’une économie plus globalisée comme le Brésil ou encore la Corée du Sud dans le cadre de stratégies de décollages.
In ''Global Rivalries From the Cold War to Iraq''<ref>Pijl, Kees Van Der. Global Rivalries from the Cold War to Iraq. London: Pluto, 2006.</ref>, la tesi di Van der Pijl è interessante, perché ha il merito di andare oltre le tesi di Harts e Negri su un assorbimento dello Stato a favore di un dispositivo imperiale. Storicizza la sua argomentazione dicendo che a livello globale c'è una lunga storia di competizione tra due modelli di stati sempre opposti nello spazio internazionale. Questa tesi di ispirazione marxista si concentra su ciò che è in gioco tra i borghesi e le élite. Da un lato, ci sarebbe lo Stato liberale anglosassone, dall'altro lo Stato prussiano. C'è qualcosa di interessante in questa tesi, che è che, come per caso, i paesi che hanno fatto bene negli ultimi decenni sono quelli che hanno adottato uno Stato prussiano prima di trasformarsi in uno Stato liberale. Più di recente, gli Stati saranno costruiti più di recente e diventeranno Stati liberali nel quadro di un'economia più globalizzata, come il Brasile o la Corea del Sud nell'ambito delle strategie di decollo.


Il y a l’idée qu’au niveau global, se joue une lutte entre les élites de ces deux types d’États et que le modèle libéral est en fait en train de gagner parce qu’il a certains « avantages comparatifs », mais surtout historiquement il y a eu des phénomènes qui leur ont permis de s’imposer. Cette thèse montre qu’entre la crise de 1929 jusqu’à la fin de la Guerre froide, le modèle anglo-saxon n’a pas le vent en poupe. À la fin de la Guerre froide, il y a le retour d’une pensée néolibérale qui va s’imposer de nouveau au niveau global. C’est une lecture marxiste, mais qui a le mérite de ne pas donner dans les discours globalisants qui prennent la globalisation comme une donnée anhistorique permettant de mettre en perspective la contrerévolution libérale des années 1980. Avec les années 1980, on assiste a un démantèlement des États providences.
C'è l'idea che a livello globale ci sia una lotta tra le élite di questi due tipi di Stati e che il modello liberale sia di fatto vincente perché ha certi "vantaggi comparativi", ma soprattutto storicamente ci sono stati fenomeni che hanno permesso loro di imporsi. Questa tesi dimostra che tra la crisi del 1929 e la fine della guerra fredda, il modello anglosassone non aveva il vento in poppa. Alla fine della guerra fredda è tornato un modo di pensare neoliberale, che si imporrà ancora una volta a livello globale. È una lettura marxista, ma ha il merito di non cedere ai discorsi globalizzanti che prendono la globalizzazione come un fatto storico che ci permette di mettere in prospettiva la controrivoluzione liberale degli anni Ottanta. Con gli anni '80 stiamo assistendo a uno smantellamento degli stati assistenziali.


=La circulation internationale des idées=
=La circulation internationale des idées=

Version du 19 mai 2020 à 10:12


La globalizzazione avrebbe una visione "imperiale" o addirittura "imperialista" per i marxisti. I movimenti alterglobalisti mobilitano gli individui attraverso reti transnazionali attraverso un'altra globalizzazione. Intorno alla questione della globalizzazione, ci sono questioni politiche sul tipo di società. Torneremo alle principali tesi sulla loro rilevanza e alla loro analisi della posta in gioco del potere intorno alla globalizzazione.

La ragione imperiale e la sua denuncia

Come circolano i rapporti di potere o i testamenti "imperialisti"? Come si impone o non si impone questo potere? Come circola?

Castells e la globalizzazione contro-egemonica

Manuel Castells.

In The Information Age: Economy, Society and Culture[9] pubblicato in tre volumi, che è una bibbia dell'alterglobalismo sulla globalizzazione delle reti e del locale, mostra come la nuova società globale contribuisca alla formazione di un'opinione pubblica globalizzata da parte dei media, contribuendo ad accelerare la crisi degli stati nazionali. Attraverso la circolazione delle informazioni, c'è la consapevolezza globale di avere un progetto politico che si oppone a un progetto globale.

Stiamo assistendo a una delocalizzazione della politica a favore di istituzioni internazionali e sovranazionali che erodono il potere degli Stati. Si parla di neomedievalismo con un ritorno alle identità locali e regionali direttamente legate all'erosione dello Stato. In Empire de Hart et Negri[10], la dissoluzione dello Stato tenderebbe verso una sorta di impero imposto dai canoni liberali della globalizzazione, allontanando le élite dalle questioni locali e nazionali.

Questa transizione di potere a livello globale provoca un allontanamento delle élite tradizionali dalle questioni locali. Una parte di queste élite giocherà il gioco globale e perderà interesse per le questioni locali o rimarrà bloccata nel locale e a volte avrà anche posizioni basate sull'identità. Questa tesi dà un sostegno intellettuale alla causa alterglobalista, poiché dietro di essa c'è l'idea che le élite, in quanto agenti della globalizzazione, abbiano tradito la loro popolazione, da cui la necessità di opporsi a queste élite. Questa tesi permette una mobilitazione transnazionale contro le élite. Al di là della dimensione seducente di questo tipo di approcci, le cose sono un po' più ambigue. Questo approccio dal basso verso l'alto contro le élite cosmopolite è arrogante.

Alcune ONG con sede nella comunità sono, ad esempio, finanziate dall'Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale negli Stati in via di fallimento. Dipende davvero dalle strategie nazionali. Pensare che queste persone avranno cose in comune e lavoreranno insieme semplificherebbe la realtà. In questa volgare vulgata anti-globalizzazione, finiamo con l'avallare un'immagine molto semplicistica delle élite. In questa immagine, le élite sono vendute alla globalizzazione, oppure sono persone bloccate in questioni di identità. È una contrapposizione manichea delle élite che devono scegliere tra agenti della globalizzazione o campioni del locale. Ciò contribuisce a mettere queste due posizioni l'una contro l'altra come se delimitassero il campo politico.

Questo tipo di approccio trascura le specificità delle storie nazionali che possono spiegare l'interazione locale delle posizioni tra lo Stato e le ONG. Se non siamo interessati a questo, rimaniamo in un approccio asocioloqico nonostante il loro ufficiale attaccamento al costruttivismo nel senso che non siamo interessati al posizionamento sociale e alla contestualizzazione di questi agenti e attori nel loro paese d'origine; gli agenti non sono mai collocati negli spazi nazionali dove acquisiscono risorse familiari, scolastiche, ecc.

Questo fatto non detto, e la distinzione tra relazioni internazionali e scienza politica, viene forse riprodotto di nuovo. Ci troviamo spesso di fronte a persone in più posizioni in cui gli investimenti a livello internazionale dipenderanno spesso da un approccio nazionale. La questione di fondo è come la globalizzazione impone le idee, ma anche come combatterle. Così, ci sono fatti di potere nella globalizzazione, certe strategie generano effetti di potere e permettono la circolazione di certe idee.

Disaccoppiamento

Con le néo-institutionnalisme, stiamo studiando il flusso internazionale di competenze. Con la tesi di Meyer dal titoloWorld Society and the Nation‐State[11], dobbiamo superare sia la trappola del solo interstatale che quella della globalizzazione, che anticipa il declino dei confini. Gli standard globali sono necessari perché si basano su una base comune. C'è la volontà di cercare di capire come circola il know-how, ma c'è una sorta di "magia" in chi lo trasmette e come viene diffuso.

Van der Pijl – global rivalries

In Global Rivalries From the Cold War to Iraq[12], la tesi di Van der Pijl è interessante, perché ha il merito di andare oltre le tesi di Harts e Negri su un assorbimento dello Stato a favore di un dispositivo imperiale. Storicizza la sua argomentazione dicendo che a livello globale c'è una lunga storia di competizione tra due modelli di stati sempre opposti nello spazio internazionale. Questa tesi di ispirazione marxista si concentra su ciò che è in gioco tra i borghesi e le élite. Da un lato, ci sarebbe lo Stato liberale anglosassone, dall'altro lo Stato prussiano. C'è qualcosa di interessante in questa tesi, che è che, come per caso, i paesi che hanno fatto bene negli ultimi decenni sono quelli che hanno adottato uno Stato prussiano prima di trasformarsi in uno Stato liberale. Più di recente, gli Stati saranno costruiti più di recente e diventeranno Stati liberali nel quadro di un'economia più globalizzata, come il Brasile o la Corea del Sud nell'ambito delle strategie di decollo.

C'è l'idea che a livello globale ci sia una lotta tra le élite di questi due tipi di Stati e che il modello liberale sia di fatto vincente perché ha certi "vantaggi comparativi", ma soprattutto storicamente ci sono stati fenomeni che hanno permesso loro di imporsi. Questa tesi dimostra che tra la crisi del 1929 e la fine della guerra fredda, il modello anglosassone non aveva il vento in poppa. Alla fine della guerra fredda è tornato un modo di pensare neoliberale, che si imporrà ancora una volta a livello globale. È una lettura marxista, ma ha il merito di non cedere ai discorsi globalizzanti che prendono la globalizzazione come un fatto storico che ci permette di mettere in prospettiva la controrivoluzione liberale degli anni Ottanta. Con gli anni '80 stiamo assistendo a uno smantellamento degli stati assistenziali.

La circulation internationale des idées

Au-delà de la « magie » du découplage qui pense que l’international fonctionne de manière autonome par rapport au national, « les textes voyagent sans leur contexte ». Une œuvre écrite dans un pays, si elle va être traduite et circuler ce n’est pas nécessairement parce que c’est un superbe texte. On va se rendre compte qu’il y a des stratégies éditoriales, les textes ne circulent pas internationalement de manière linéaire.

Des auteurs se sont inspirés de cela disant que le transfert d’un espace national à un autre s’accomplit à travers toute une série d’opérations sociales par les importateurs en fonction de leurs positions et intérêts avec une sélection et une réinterprétation-marquage. Ce sont des opérations d‘import-export symbolique qui est un terme utilisé par Yves Dezalay et Mickael Rask Madsen dans Espaces de pouvoirs nationaux, espaces de pouvoirs internationaux : Stratégies cosmopolites et reproduction des hiérarchies sociales[13]. Il y aurait une exportation hégémonique des luttes domestiques.

Donc, il y a un besoin d’analyser les stratégies des passeurs en fonction des positions qu’ils occupent dans leurs espaces nationaux. Intervient l’idée qui est en fin de compte assez à contre-courant de ce qu’on peut lire. Le fait d’aller chercher une expertise à l’étranger serait indissociable de la reproduction des hiérarchies sociales dans les espaces nationaux des deux côtés.

Espaces de pouvoirs et circulations des savoirs

Ce type d’approche est inspiré par sociologie bourdieusienne racontant une histoire différente de la globalisation. Ils renvoient dos à dos les analyses de science politique et les discours promotionnels ainsi que prescriptifs sur la globalisation comme si le global vivait de manière autonome par rapport à l’État. C’est l’idée de remettre l’État au centre du débat tout en l’inscrivant dans des logiques d’interprétation multiscalaire parce que de nouveau, les études multiniveaux ont tendance à minimiser l’importance des institutions de l’État national comme si elles étaient court-circuitées par interactions directes entre le local et le local. Il faut prendre en compte l’importance des transferts internationaux de compétences et la circulation des experts entre les espaces nationaux. Ainsi, il faudrait repenser les relations entre le national et l’international en évitant un enfermement dans le paradigme étatique et en évitant de céder aux illusions des discours prescriptifs sur la globalisation.

Capital international

Dans Les classes sociales dans la mondialisation[14] publié en 2007, Wagner parle de capital international passant par l’acquisition de ressources internationales comme les langues, les codes culturels, mais encore les compétences d’interactions. Les agents disposent de plusieurs capitaux. Chaque agent à différents capitaux. Avec ce type d’outils sachant la sociologie bourdieusienne s’applique dans un champ national, alors qu’est-ce qui constitue un capital international ? Un capital international est justement, peut-être, la possibilité au niveau national de pouvoir obtenir des choses parce que l'on connaît des gens à l’extérieur. En d’autres termes, c’est l’articulation d’un capital international avec d’autres types de capitaux notamment économiques, scolaires ou encore culturels.

Le capital international ne s’acquiert pas facilement. Il s’articule autour de certains types de ressources. C’est l'articulation d'un tel capital international avec d'autres types de capitaux qui est décisive et permet de le maximiser. Wagner va dire qu’en France par exemple, ce sont les anciennes élites de certaines familles qui vont garder les commandes parce qu’elles ont obtenu un capital international.

Si on étudie sérieusement cette notion, on se rend compte qu’on peut avoir une autre lecture de la circulation de savoirs.

Dans La mondialisation des guerres de palais[15], Dezalay et Garth essaient d’expliquer en Amérique du sud pourquoi dans les années 1970 et 1980 se sont imposés toutes les forces néolibérales. Leur argument part du principe qu’on est dans deux stratégies nationales entre lesquelles il y a des logiques d’import- export. Aux États-Unis il y a les Chicago Boys qui sont les défenseurs des réformes libérales que l’on connait bien aujourd’hui.

En Amérique du Sud, ils vont s’intéresser surtout au cas du Chili où il y a une aristocratie qui a plutôt fait ses études en Europe et qui est plutôt proche de la démocratie chrétienne, mais, en même temps, Pinochet arrive avec de nouvelles personnes pour s’imposer. Il va y avoir des intérêts croisés qu’on appelle une « homologie » entre certains américains qui ont intérêt à exporter leur idée et en Amérique du Sud et il y a des gens qui vont importer ces idées parce qu’elles vont leur permettre de s’imposer au niveau national. C’est une lutte entre élites.

Dezalay va encore plus loin. En fin de compte, les enjeux des champs du pouvoir américain ont une influence sur ce qui se passe dans le reste du monde. Aux États-Unis on a assisté à une guerre entre « gauche » et « droite » où ceux qui ont perdu ont fait apparaître toute une série de gens qui ont investi d’autres lieux notamment des juristes qui ont investi des arènes comme les grandes ONG internationales. Il y a un développement des ONG internationales où ce sont des gens qui dans le champ du pouvoir américain se trouvent déclassés étant connecté. S’il y a des effets de pouvoir au niveau global, c’est là qu’ils sont. On observe quelque chose qu’on pourrait reproduire à plein de niveaux. Avec ce courtage de l’international, il y a un double jeu national/international qui équivaut à hégémonie des élites nord-américaines multi positionnées que l’on appelle aussi une « foreign policy establishment ».

Annessi

Corsi

Bibliografia

  • Leclerc, Romain (2013), Sociologie de la mondialisation, Paris: laDécouverte, 2013.
  • Sassen, Saskia (2009), La globalisation: une sociologie, Paris:Gallimard, pp. 17-50.
  • Dezalay, Yves, Madsen, Mikael R. (2009), « Espaces de pouvoirs nationaux, espaces de pouvoir internationaux »,Cohen, A., Lacroix,B., Riutort, P., Nouveau Manuel de Science Politique, Paris: La Découverte.
  • Bayart, Jean-François (2008), Le gouvernement du monde: Une critique politique de la globalisation, Paris: Fayard.
  • Cooper, Frederik (2001), «Le concept de mondialisation sert-il à quelque chose? Un point de vue d’historien» Critique internationale,10, pp. 101-12. *Dezalay, Yves, Garth, Bryant (2002), La mondialisation des guerres de palais, Paris: Seuil.
  • Madsen, Mikael R., Kauppi Niilo (2013), Power Elites: The NewProfessionals of Governance, Law and Security, London: Routledge

Referenze

  1. Page de Stephan Davidshofer sur Academia.edu
  2. Page personnelle de Stephan Davidshofer sur le site du Geneva Centre for Security Policy
  3. Compte Twitter de Stephan Davidshofer
  4. Page de Xavier Guillaume sur Academia.edu
  5. Page personnelle de Xavier Guillaume sur le site de l'Université de Édimbourg
  6. Page personnelle de Xavier Guillaume sur le site de Science Po Paris PSIA
  7. Page de Xavier Guillaume sur Academia.edu
  8. Page personnelle de Xavier Guillaume sur le site de l'Université de Groningen
  9. Castells, Manuel. The Information Age: Economy, Society and Culture. Cambridge, MA: Blackwell, 2000.
  10. Hardt, Michael, and Antonio Negri. Empire. Cambridge, MA: Harvard UP, 2000.
  11. Meyer, Ohn W., John Boli, George M. Thomas, and Francisco O. Ramirez. "World Society and the Nation‐State." American Journal of Sociology 103.1 (1997): 144-81.
  12. Pijl, Kees Van Der. Global Rivalries from the Cold War to Iraq. London: Pluto, 2006.
  13. Dezalay, Y & Madsen, MR 2009, 'Espaces de pouvoirs nationaux, espaces de pouvoirs internationaux: Stratégies cosmopolites et reproduction des hiérarchies sociales'. in A Cohen, B Lacroix & P Riutort (eds), Nouveau annuel de science politique. Dévouverte, Paris, pp. 681-693. Grands Repères Manuels
  14. Wagner, Anne-Catherine. Les Classes Sociales Dans La Mondialisation. Paris: La Découverte, 2007.
  15. Dezalay, Yves, and Bryant G. Garth. La Mondialisation Des Guerres De Palais: La Restructuration Du Pouvoir D'Etat En Amérique Latine, Entre Notables Du Droit Et "Chicago Boys. Paris: Seuil, 2002.