« Sociologia della disciplina delle relazioni internazionali » : différence entre les versions

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Pourquoi réfléchir sur la forme du champ et comment nous en tant que producteur de connaissances quelle sont nos pratiques ? Il y a un enjeu de savoir qui sommes nous. On raconte une histoire pour justifier qui somme-nous.  
Perché riflettere sulla forma del campo e su come noi, in quanto produttori di conoscenza, sappiamo quali sono le nostre pratiche? È importante sapere chi siamo. Raccontiamo una storia per giustificare chi siamo.  


Dans la sociologie et l’histoire de la « discipline », il y a un enjeu important pour l'identité d'un champ. Il faut une fonction légitimatrice de cette mytho-histoire mais l’importance d'avoir une distance critique [historiographique] par rapport à cette mytho-histoire.
Nella sociologia e nella storia della "disciplina", c'è una posta in gioco importante per l'identità di un campo. Ci deve essere una funzione legittimante per questa mitologia-storia, ma l'importanza di avere una distanza critica [storiografica] da essa.


Il faut se rendre compte de la distance critique par rapport à ce qu’on entend d’habitude. Il ne faut jamais croire de « but en blanc », cela veut dire qu’il y a des gens qui ne se rendent pas compte de leur effet sociologique.  
Dobbiamo essere consapevoli della distanza critica da ciò che sentiamo di solito. Non dobbiamo mai credere nel "but en blanc", il che significa che ci sono persone che non si rendono conto del loro effetto sociologico.


Pour Schmidt, il y a une surévaluation du poids des évènements extérieur et de l’autre la sous-évaluation des discours intérieurs. Pour Cox, dans son article ''Social Forces, States and World Orders: Beyond International Relations Theory'' publié en 1981 « Theory is always for someone and for some purpose », les théories ne sont pas neutres, il y a toujours des éléments qui sont cachés.
Per Schmidt c'è una sopravvalutazione del peso degli eventi esterni e una sottovalutazione dei discorsi interni. Per Cox, nel suo articolo ''Social Forces, States and World Orders: Beyond International Relations Theory'' pubblicato nel 1981 « Theory is always for someone and for some purpose », Le teorie non sono neutre, ci sono sempre elementi nascosti.


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Version du 16 mai 2020 à 12:48


Ci chiederemo prima di tutto come collocare i diversi approcci e le diverse teorie nel loro contesto di enunciazione, poi ci avvicineremo alla storia e alla storiografia delle Relazioni Internazionali. Poi guarderemo ai grandi dibattiti e analizzeremo la posta in gioco nella costruzione di questi dibattiti e la loro funzione mitica in questo approccio storico-sociale. Questo solleva i problemi della struttura del grande dibattito, che ci riporta alla struttura stessa della scienza, cioè che è il cumulabile di questi diversi approcci. Infine, esamineremo la storia della disciplina per concludere i grandi dibattiti per vedere i diversi temi che dovrebbero essere la storia e la narrazione della disciplina delle relazioni internazionali.

Cos'è la sociologia di una disciplina?

Di fronte a un testo, esso si troverà nel contesto di un approccio che fa riferimento a tutta una tradizione, ad altri autori e a una scuola di pensiero. Per avvicinarsi a questi testi, dobbiamo collocare questi discorsi nelle loro condizioni di enunciazione. Non si dovrebbe guardare esclusivamente alla qualità intrinseca di un argomento teorico per spiegarne il successo.

Ad esempio, il dibattito di Samuel Huntington sullo scontro di civiltà è rappresentativo di coloro che hanno successo nelle relazioni internazionali. E' multiposizionato in ambito accademico, ed è anche molto ben ascoltato in ambito politico.

Nella controversia tra lo scontro di civiltà e la fine della storia di Fukuyama, per Fukuyama, con la fine della guerra fredda, arriviamo in un mondo liberale che vede l'emergere di un mondo sempre più pacificato secondo i canoni del liberalismo.

Il modo in cui questi testi sono stati diffusi si riflette sulle persone che li hanno enunciati in un certo modo. Huntington aveva un discorso per una popolazione molto più pronta ad accettarlo, questa tesi aveva l'orecchio dei settori politici e di più circoli politici. Per questo dobbiamo rimettere i discorsi nelle condizioni in cui sono stati enunciati.

La lotta per la conoscenza è subordinata alla lotta per il riconoscimento. Scrivere nelle relazioni internazionali o in qualsiasi disciplina è scrivere per e in relazione ad altre persone. Le idee devono essere formattate in modo che possano passare. Ci troviamo di fronte a persone posizionate in un campo che hanno più o meno potere, con l'obiettivo di avere sempre più potere esprimendosi in campo scientifico sotto forma di riconoscimento.

Perché avvicinarsi alla storia e alla storiografia delle relazioni internazionali?

La storia e la storiografia delle relazioni internazionali devono essere affrontate. L'obiettivo è quello di confrontarsi con approcci concorrenti che non devono necessariamente essere affrontati come vengono presentati di solito. Ad esempio, la disciplina si trova ad affrontare molti dibattiti, a volte questi dibattiti non hanno avuto luogo o sono stati mistificati mentre diversi studiosi cercheranno di scrivere la propria storia della disciplina.

La storiografia stessa per de Certeau nel 1975 è "La scrittura storica è una pratica sociale che delinea i confini di un'identità e di un'altra". La sfida nelle relazioni internazionali è quella di esistere come disciplina, perché ha difficoltà a legittimarsi o a diventare autonoma rispetto ad altre discipline come le scienze politiche negli Stati Uniti o in Svizzera. L'IHEID è nata negli anni '20, dopo la creazione della Società delle Nazioni per formare le persone a lavorarvi. Questi sono i resti di un'altra visione delle relazioni internazionali, e la struttura stessa dell'IHEID ne è erede. IHEID è rappresentativo di un'altra storia della disciplina.

In altre parole, ci sono legami tra l'identità di una disciplina e la [ri]presentazione della sua storia, della sua giustificazione come disciplina che riflette le pratiche degli attori sul campo.

La funzione mitica dei "Grandi Dibattiti"

Spesso si tratta di una storia non del tutto onesta e fa parte di una visione naturalizzante della scienza come pratica, è naturale interessarsi alle guerre tra diversi Stati da un punto di vista realistico, ad esempio, poiché già nell'antichità esistevano conflitti armati, sarebbe la "natura dell'uomo".

Per fare questo, adotteremo un approccio scientifico. Le relazioni internazionali fanno parte di un approccio kuhniano, come si è visto nel corso introduttivo di Giugni sui metodi della scienza-politica. Un paradigma sarà sostituito da un altro dopo aver dimostrato che un paradigma era sbagliato.

L'idea è che una scienza viene migliorata portando nuovi eventi intorno a un nuovo paradigma che mira a illuminare lo scopo di quella scienza. Inoltre, l'interesse di presentarsi in questo modo è che c'è una logica di cumulabilità, altri approcci sviluppano la conoscenza che porta a una migliore conoscenza che è l'obiettivo di tutta la scienza.

Questo permette anche di impostare un discorso che legittima la sua scienza. Le relazioni internazionali sono estremamente dipendenti dalla scienza politica americana, che a sua volta ha subito una rivoluzione comportamentista negli anni Sessanta e Settanta con la scientificazione delle idee.

Affidarsi a un lavoro che assomiglia il più possibile alla dura scienza diventa un modo per legittimare le proprie idee di base, il che non significa che in alcuni casi ci sia un lavoro quantitativo rilevante. Siamo in una prospettiva più lunga della disciplina o di certe questioni, una scelta di scuole di pensiero che permette di strutturarsi in un dibattito, di squalificare l'altro, o di legittimare la propria visione del mondo, la propria identità. Questa struttura serve a collocare la disciplina delle relazioni internazionali all'interno di una visione naturalizzante della scienza come pratica.

Per Schmidt l'obiettivo è quello di "dimostrare che sono stati fatti progressi scientifici e che il settore nel suo complesso sta progredendo", ma anche che questa struttura serve a dimostrare "o la coerenza o l'incoerenza" all'interno della disciplina. Questa struttura serve quindi a dare un'identità alla disciplina delle relazioni internazionali.

I "Grandi Dibattiti": dal mito alla storia

Quando si racconta la storia, c'è sempre una certa teleologia. Si passa da un momento all'altro perché sta succedendo qualcosa e si cerca di spiegarlo. C'è un accumulo di conoscenza e noi progrediamo. Ci sono trasformazioni che devono essere integrate e spiegate per far emergere qualcosa. Per esempio, nel contesto della fine della guerra fredda, i neorealisti dicono che, essendo in una situazione bipolare, siamo in una situazione stabile, non c'è una grande guerra tra le potenze di questo sistema. Con la fine della guerra fredda, il neorealismo viene messo in discussione, dimostrando che ci sono altre dimensioni. C'è anche la guerra nell'ex Jugoslavia dove ci rendiamo conto che le identità sono importanti. Dobbiamo trovare modi e approcci teorici.

I problemi della struttura dei "Grandi Dibattiti

Per Schmidt, c'è una sopravvalutazione del peso degli eventi mondiali sulla disciplina, ed è per questo che adotta un approccio contestualista. È necessario capire come la disciplina affronta nuovi elementi, come nuove idee che falsificano la teoria. Schmidt dimostra che la presenza di nuovi approcci non può essere spiegata dalla presenza di questo contesto, c'è una sottovalutazione del posto dei "discorsi interni" nella disciplina. Come si spiega che il neorealismo sia ancora un approccio forte e vivace nelle relazioni internazionali quando è stato falsificato negli anni '90?

La storia è spesso quella dei "vincitori" o dei "dominanti" che chiamiamo "storia Whig". Quando si racconta la storia, c'è sempre una certa teleologia. Spesso sono i vincitori a raccontare la storia, sono quelli che hanno la capacità, il potere simbolico di legittimare la storia che inizierà a raccontarla. Questo permette di capire il perché del predominio delle relazioni internazionali anglo-americane. È una dimensione legittimante che Schmidt chiama "presentimento".

Se vogliamo davvero capire l'evoluzione degli approcci, perché gli approcci emergono e scompaiono, come ad esempio il luogo delle teorie internazionali di Nigerien all'inizio degli anni Settanta, dobbiamo considerare che l'evoluzione di questa disciplina non avviene perché gli eventi accadono. La disciplina a volte si evolve perché le persone parlano tra loro, questi sono discorsi interni. Gli elementi esterni non sono necessariamente importanti, ma li sopravvalutiamo per raccontare una storia in cui si progredisce.

Una (?) storia della disciplina

Prospettiva Contestualiste

La prospettiva contestualista di Schmidt mette in evidenza eventi importanti e approcci diversi. Questo grafico illustra come la storia possa essere raccontata in modo contestualistico. Ad esempio, il costruttivismo emerge dopo la guerra fredda perché prima non esisteva un fenomeno identitario, ma ovviamente questo non è vero. Per capire la storia, dobbiamo vedere gli eventi utilizzati come momenti chiave. Raramente troviamo una storia di relazioni internazionali che mostra la decolonizzazione come un evento importante.

Ri2 Perspective Contextualiste.png

Lettura del presenzialismo

La storia è strutturata in termini di dibattiti. In un dibattito, vince chi ha l'argomentazione migliore. Questa è l'idea dei "telos" [Τέλος], se prendiamo i dibattiti nella loro funzione di progresso scientifico. C'è una tensione creata dicendo che ci sono approcci che non permettono di capire qualcos'altro. Ci sono vincitori che spiegano che c'è progresso perché il vincitore è quello con il miglior argomento.

Ri2 lecture présentisme.png

Qui possiamo vedere la dimensione progressiva. Per alcuni, ci sono quattro dibattiti. Dipende dalla prospettiva che si dà, sapendo che Weaver è una grande teoria della sicurezza. Ricreerà il dibattito tra il "neo-neo". Questo dibattito è stato presentato sia dai suoi attori che da Waltz, dicendo che c'è un accordo fondamentale che è una struttura anarchica e che ci sono due modi di intendere la struttura anarchica:

  • High politics come parte della sopravvivenza dello stato con tutte le cose militari.
  • Low politics.

I neorealisti dimostrano che siamo giunti a un momento stabile in cui accettano di dividere il lavoro con i neorealisti che si occupano della guerra e dei liberali economici. Le relazioni internazionali sono terminate, come ha suggerito Fukuyama. Ciò che Weaver ha mostrato in modo abbastanza pertinente è come, leggendo questa tabella con la nozione di presentismo, i dibattiti costruiscono relazioni internazionali. Sono il culmine di una serie di tensioni e di impulsi nella disciplina.

Weaver è un ricercatore centrale di approcci critici alla sicurezza. Qui serve qualcosa di interessante. Sta facendo una sociologia della disciplina per tornare alla questione dei dibattiti, tornando egli stesso alle questioni in gioco nella costruzione della storia della disciplina. Egli stesso parlerà di un quarto dibattito e prenderà posizione.

Questo monito contro le letture teleologiche dei diversi approcci alle relazioni internazionali deve essere applicato a tutti i mondi, anche a quelli "presumibilmente" critici. In Who contextualizes the contextualizers ? Disciplinary history and the discourse about IR discourse, Gerard Holden porta questo dibattito. Sono strumenti che dobbiamo applicare a noi stessi.

Ri2 lecture présentisme 2.png

Forse dopo la guerra nell'ex Jugoslavia si pensava che il costruttivismo avrebbe avuto forza. Dobbiamo qualificare questo tipo di affermazione con una logica teleologica. Ciò che il costruttivismo apporta alle relazioni internazionali, soprattutto in campo linguistico, è qualcosa che si è sviluppato diversi decenni fa in antropologia e sociologia. Non è perché il contesto internazionale gli dà ragione che possiamo dirlo. Dobbiamo fare una distinzione tra il mondo sociale e i problemi delle persone che cercano di spiegare cosa sta succedendo.

Ci possono essere differenze nel numero di dibattiti. Questo dimostra che ci sono diverse posizioni. Sono queste persone che cercheranno di costruire questa disciplina mostrando perché sono rilevanti e perché dovrebbero essere ascoltate. Questi dibattiti si svolgeranno per cercare di imporre una narrazione per imporre il proprio approccio e il proprio posto nella disciplina.

Le premier débat : « réalistes » vs. « idéalistes »

Mytho-histoire

Ce débat a lieu dans l’entre-deux-guerres entre « réalistes » et « idéalistes » donnant lieu à une victoire incontestable des réalistes sur les idéalistes. Le président Wilson fait notablement partie de ces idéalistes avec son projet de Société des Nations.

Les idéalistes se sont lancés dans un optimiste sans limites après la Première guerre mondiale, mais la Deuxième guerre mondiale a réduit à néant ces illusions. Les idéalistes étaient enfermés dans une définition normative des relations internationales. La discipline s'est orientée vers une vision plus « réelle » des relations internationales et vers plus de scientisme.

Histoire

Edward Hallett Carr

Ce débat n’a pas eu lieu, c’est une invention de certains penseurs réalistes dont le principal artisan de la construction de ce débat est E. H. Carr qui propose une relecture dans son ouvrage La crise de vingt ans de l’entre-deux-guerres[9] comment à travers le réalisme sommes-nous arrivés à la Deuxième guerre mondiale.

Pendant l’entre-deux-guerres, il n’y avait pas vraiment de département de relations internationales la première date de 1919 à University College of Wales au Pays de Galle, le deuxième est l’IHEID à Genève. Cela nous mène à nous interroger sur la mauvaise foi des premiers grands penseurs réalistes en relations internationales qui vont « sortir la grosse artillerie » afin d’inscrire leur approche dans une vision naturalisante où depuis la Grèce Antique nous sommes face à de mêmes logiques entre dispositifs politiques, lorsqu’on sort de la hiérarchie c’est l’anarchie qui prime comme l’a décrit Thucydide.

Dans ce débat, il y a une véritable forme de malhonnêteté intellectuelle avec Carr, mais aussi Morgenthau qui a posé les canons du réalisme en relations internationales, mais qui reste encore pertinent pour bon nombre de chercheurs encore aujourd’hui. On ne juge pas la qualité des travaux, mais la stratégie pour légitimer la pertinence de leurs travaux.

L’idéalisme en tant que courant de relations internationales, il est possible de le dire sans exagérer que c’est une invention du réalisme. Il n'y a jamais eu de tradition « idéaliste » ou « progressiste » en tant que telle. Les propositions et positions des auteurs « idéalistes » ou « progressistes » ont été déformées et tronquées par les « réalistes ». Ainsi, le « Premier Débat » est le fruit d’une reconstitution arbitraire de la part de personnes comme Carr s’identifiant comme « réalistes ».

Le deuxième débat : « traditionalistes » vs. « behavioristes »

Mytho-histoire

Il faut comprendre la continuité avec le premier débat. Des auteurs comme Carr ou Morgenthau reconstruisent un certain nombre d’acteurs et d’auteurs pour créer un nouveau « puzzle ». Ces auteurs ont créé le courant idéaliste, c’est un « straw man ». Il est possible de comprendre en grande partie la prédominance du réalisme comme approche centrale des relations internationales, cette approche qui cristallise les relations internationales à partir des années 1950.

Avec le deuxième débat, on se trouve dans une situation paradoxale ou des gens viennent d’une tradition réaliste étant attaquée par d’autres réalistes. C’est la distinction entre « traditionalistes » et « behavioristes ».

Morgenthau a une pensée éthique très développée, il y a une pensée analytique et éthique fine. Dans son œuvre, il y a toute une dimension éthique sur la logique de décision, en 1945 – 1946 il a écrit un texte montrant pourquoi la prise de décision en relations internationales et difficiles, car les relations internationales est le monde du mal loin de l’approche kantienne. Morgenthau a développé une pensée subtile sur comment agit-on dans une situation où l’on doit faire des choix durs moralement. Carr est un très fin lecteur de l’histoire. Il s’est basé sur une réflexion historique et juridique.

Hedley Bull

Hedley Bull fut à la tête de l’école anglaise qui est très populaire en Grande-Bretagne qui est la synthèse de Carr et de Morgenthau avec la dimension juridique et normative. Cette école va faire du constructivisme surtout avec des textes dans les années 1950 et 1960. Ils cherchent à comprendre les relations internationales comme des relations de pouvoir, partants aussi du principe réaliste que nous sommes dans une situation d’anarchie, en même temps ils vont essayer de prendre en compte la dimension de la civilisation. Si on regarde l’évolution du « système international » plus précisément de la « société internationale », ils vont essayer de comprendre comment l’idée de civilisation va socialiser certains États à se comporter différemment.

Les « traditionalistes » représentent un peu la synthèse entre Carr et Morgenthau attachés à comprendre les relations internationales selon une perspective historique et juridique. Les « behavioristes » adoptent une approche différente disant qu’il faut faire des sciences, il faut objectiver, compter faire des statistiques, des modèles, faire de la science comme des sciences dures.

Ce sont les behavioristes qui ont gagné. Avec la dimension téléologique, nous allons vers plus de progrès. Comme nous sommes dans les sciences sociales, il faut faire comme la science et faire quantitatif. Le concept de paix démocratique est par exemple un raisonnement de type statistique. La discipline s'est orientée vers une conception plus scientifique, dans le sens des sciences naturelles.

Histoire

Morton Kaplan

Si on regarde l’histoire, Morton Kaplan se pose la question d’une discipline parce que les relations internationales ne produisent pas quelque chose de scientifique. Il n’est pas vraiment clair qu’il y eut un vrai débat. Il n’y a aucune trace de débat, rien ne montre dans les travaux des historiens internationaux l’existence du premier débat.

Pour ce débat des auteurs rentrent en confrontation par articles interposés, mais ce débat n’est pas clair. Ce que l’on peut constater est qu’il y a eu un tournant scientiste des relations internationales surtout à partir des années 1960 se trouvant essentiellement en Amérique du Nord.

Si on regarde concrètement il y a une distinction entre les relations internationales nord-américaines qui sont dans une position mimétique vis-à-vis de la sociologie nord-américaine et les autres perspectives européennes. L’école anglaise n’a toujours pas disparu.

Cela a éloigné la communauté épistémique des autres, mais aussi cela est lié à des phénomènes où les universités américaines ont pris de plus en plus de poids mondialement. En Asie, les professeurs ont étudié aux États-Unis ; en Turquie, les collègues scientifiques ont fait leur thèse de doctorat aux États-Unis.

Ce qu’il faut comprendre est que c’est un phénomène américain, mais il y a aussi des phénomènes de circulation de personnes importants avec ces logiques. Même si de facto ce débat n’a pas amené à une dominance des perspectives scientistes, on crée cette situation dans une certaine mesure. Dans les pays scandinaves, la dimension scientiste et dominante alors qu’en Grande-Bretagne elle est une parmi d’autres.

L’accord entre néolibéraux et néoréalistes se base sur l’acceptation d’une dimension scientiste de ce qu’est la science. La conséquence est l’éloignement des relations internationales de questions d’ordre politique ou normative qui vont réémerger dans les années 1980 à travers les perspectives dites critiques.

Ce deuxième débat se situe entre le milieu des années 1960 et des années 1970. Les années 1980 sont le moment du consensus strict entre les « néo-néo ». Bob Keohane a eu une influence extrêmement puissante sur la dénomination de ce qu’est la discipline des relations internationales.

Le troisième débat : « néopositivistes » et « postpositivisme »

Mytho-histoire

Ce sont des gens qui s’inscrivent dans la droite lignée des behavioristes entre « néopositivistes » et « postpositivisme ». Ceux qui ont émergé de cette victoire du second débat et confrontés au postpositivisme vont rejeter complètement ou partiellement cette vision scientiste avec une place pour l’analyse de discours.

L’enjeu de l’analyse de discours est de dire que la vision cognitive qui fait que le langage ne fait qu’aigrir ce que dit le langage et ne fait que décrire quelque chose qui existe indépendamment de ce qu’on dit. Pour les postpositivistes, il y a des effets de langages si on crée une situation à travers le langage. Dans le cadre de la sécurité, on peut créer par le langage de situations qui n’existent pas objectivement. L’immigration rentre dans cette vision, c’est un thème qui émerge à la fin des années 1980 et 1990 ou l’immigration devient un enjeu de sécurité alors qu’il n’y a aucun changement qui pourrait expliquer ceci. Il y a des gens qui font du « framing ». Le langage permet de créer une réalité sociale qui n’a pas forcément d’objectivité.

Alexander Wendt

Dans ce débat, on voit qu’émerge le « constructivisme » qui a une certaine naturalité parce que le constructivisme chez les gens comme Finnemore et Wendt vient de la même université avec Duvall comme directeur de thèse. Ces doctorants ont créé le constructivisme. La force des constructivistes est qu’il dit qu’ils pensent que le monde social et construit il y a des phénomènes intersubjectifs qui créés des phénomènes d’ordre normatif. Même si on part du principe que le monde est construit, nous allons le faire de façon scientifique, d’une manière dont le mode de raisonnement et d’explication du monde rentre dans le positivisme.

Ce qui est intéressant est que ce constructivisme a pris alors que des auteurs constructivistes dans les années 1980 ne se sont pas construit comme le constructivisme qu’on nous explique parce qu’ils ne font pas appelle à la science. Ils avaient une position historienne, historique, en utilisant le droit.

La discipline s’est stabilisée, tout le monde a eu un consensus et maintenant il y a une nouvelle division sociale du travail en « néo-néo ». Maintenant, il y a un troisième acteur qui est le constructivisme sur les normes et les identités. Toutefois, tout le monde devrait faire la même chose.

Histoire

Robert Keohane

Il n'y a pas eu de débat et la littérature. Wendt refait lui-même de la reconstruction de ce qui se passe, mais concrètement il n’y a pas de débat. Bob Keohane a écrit plusieurs articles dont un fameux disant qu’il y a deux façons de faire des relations internationales, il y a les « perspectivistes » et les « réflexivistes ». Il a créé la meilleure partie et pour les réalistes et néoréalistes et les constructions que s’ils s’accordent à nos idéaux. De l’autre côté, il tolère les réflexivistes, il faut bien des poètes…

Ce ne sont pas trois courants qui émergent, mais c’est une explosion de différents courants, les néomarxistes, le courant postcolonial, des réalistes néoclassiques comme Schweller revenant vers de dimension historienne pour faire du réalisme.

Ce cours permet de se rendre compte de l’élargissement et de cette explosion d’approches qui permet de comprendre ce que sont les relations internationales. Il faut comprendre le mécanisme entre ce qui se passe réellement comme avec la Guerre froide qui a permis aux relations internationales de se concevoir pour comprendre la complexité du monde. Les effets extérieurs on eut effet de créer des modes de pensée, des paradoxes afin d’expliquer le monde. Les relations internationales ne sont pas que les États, c’est aussi une servante philippine à Hong Kong qui se fait battre, car il y a une circulation de biens avec une fonction économique transnationale, des phénomènes interculturels, religieux et autres. Des gens vont s’intéresser à cette servante philippine et cela est tout aussi légitime que de s’intéresser à la Guerre froide entre superpuissances.

Il y a une multiplication du nombre d'approches liées aux traditions critiques, multiplication des objets d'étude et élargissement de la notion d' « international ».

Bilan

Perché riflettere sulla forma del campo e su come noi, in quanto produttori di conoscenza, sappiamo quali sono le nostre pratiche? È importante sapere chi siamo. Raccontiamo una storia per giustificare chi siamo.

Nella sociologia e nella storia della "disciplina", c'è una posta in gioco importante per l'identità di un campo. Ci deve essere una funzione legittimante per questa mitologia-storia, ma l'importanza di avere una distanza critica [storiografica] da essa.

Dobbiamo essere consapevoli della distanza critica da ciò che sentiamo di solito. Non dobbiamo mai credere nel "but en blanc", il che significa che ci sono persone che non si rendono conto del loro effetto sociologico.

Per Schmidt c'è una sopravvalutazione del peso degli eventi esterni e una sottovalutazione dei discorsi interni. Per Cox, nel suo articolo Social Forces, States and World Orders: Beyond International Relations Theory pubblicato nel 1981 « Theory is always for someone and for some purpose », Le teorie non sono neutre, ci sono sempre elementi nascosti.

Annessi

Bibliografia

  • Ashworth, Lucian M. (2014) A History of International Thought : From the Origins of the Modern State to Academic International Relations. London: Routledge
  • Cox, R. W. (1981). Social Forces, States and World Orders: Beyond International Relations Theory. Millennium: Journal of International Studies, 10(2), 126–155.
  • Callis, H. G. (1947) The Sociology of International Relations. American Sociological Review. [Online] 12 (3), 323–334.
  • De Certeau, M. (1975). L'écriture de l'histoire. Paris: Gallimard.
  • Donnelly, J. (2000). Realism and International Relations. Cambridge: Cambridge University Press.
  • Lapid, Y. (1989). The third debate: On the prospects of international theory in a post-positivist era. International Studies Quarterly, 33(3), 235–254.
  • Schmidt, B. C. (2002). On the History and Historiography of International Relations, in Walter Carlsnaes, Thomas Risse and Beth Simmons (eds.) Handbook of International Relations. London: Sage, 3–22.
  • Wæver, O. (1996). The rise and fall of the inter-paradigm debate, in Steve Smith, Ken Booth and Marysia Zalewski (eds.) International Theory: Positivism & Beyond. Cambridge: Cambridge University Press, 149–185.
  • Wæver, O. (1998). The sociology of a not so international discipline: American and European developments in international relations. International Organization, 52(4), 687–727.a

Referenze